Il partito libico italiano

L’incontro di domani a Milano fra Berlusconi e Jibril, capo del governo provvisorio di Bengasi, arriva tempestivo per marcare la presenza italiana nel momento in cui la confusa rivoluzione libica sembra compiersi. È stato organizzato in fretta, per marcare gli antesignani dell’intervento occidentale – Cameron e soprattutto Sarkozy – dei quali si annuncia addirittura un viaggio nella Tripoli liberata, si può immaginare con quale contorno di entusiasmo.
L’Italia, appesantita dalla storia e dalle relazioni privilegiate con Gheddafi, in questa vicenda è stata all’inseguimento, sempre un passo indietro. Lo sanno tutti, anche i libici che rimarranno comunque amichevoli, bisognosi come sono del massimo appoggio.

Vittorio Feltri ieri sul Giornale ha provveduto a chiarire le idee a chi non sapesse come la pensava (e tuttora la pensa) la destra italiana sulla Libia, con il racconto dettagliato e addolorato di come Berlusconi sia stato quasi fisicamente costretto all’intervento, che avrebbe voluto evitare in ogni modo. Come Bossi del resto: la Lega chiedeva di uscire dalla missione libica ancora tre giorni fa, alla vigilia della presa di Tripoli: pensate se fosse stata accontentata…
Lo sfondo ideologico di questa singolare affezione per gli autocrati in declino era fornito, sempre ieri, da un esagitato commento di Maria Giovanna Maglie su Libero. La prosa era sovraeccitata, la sostanza analoga a cose lette sul Foglio in questi mesi: l’Occidente si è suicidato preferendo le bande tribali (sospette o garantite di fondamentalismo islamico) alla garanzia di un dittatore laico normalizzato.

Sarebbe facile smontare queste elucubrazioni con l’evidenza di un processo sovranazionale che era impossibile fermare, e al quale sarebbe stato folle essere ostili: Angela Merkel, che in Italia è stata l’eroina di chi avversava l’intervento in Libia, è oggi criticata in patria per una scelta di neutralismo che avrà dei costi per la Germania.
Ma siccome c’è tempo perché le cose a Tripoli volgano al peggio, com’è sempre facile che accada soprattutto se chi può aiutare rimane alla finestra, oggi non cerchiamo rivincite contro il trasversale partito italiano di Gheddafi, ridotto all’impotenza non da noi ma da chi eterodirige anche la nostra politica estera oltre che la nostra economia.
Siamo solo felici per la Libia. Per un altro muro che cade, per un altro bunker espugnato.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.