Gli Stati Uniti hanno bombardato l’ISIS in Siria
Sono state colpite decine di basi e strutture del gruppo come ritorsione per i tre statunitensi uccisi la settimana scorsa a Palmira

Gli Stati Uniti hanno compiuto diversi attacchi aerei contro lo Stato Islamico (ISIS) in Siria. L’operazione militare è stata definita una ritorsione per l’uccisione di due soldati e un interprete statunitensi, la settimana scorsa. Erano state le prime persone statunitensi uccise nella regione dalla fine del regime di Bashar al Assad, un anno fa.
L’esercito statunitense ha detto di aver colpito più di 70 obiettivi nel nordest e nel centro della Siria, tra cui magazzini di armi e strutture logistiche del gruppo. Ha sostenuto anche che l’operazione abbia ucciso un capo dell’ISIS e vari combattenti. Non sono state diffuse informazioni più precise e, per ora, i media siriani si sono limitati a riferire delle esplosioni. All’operazione hanno partecipato aerei da caccia ed elicotteri d’attacco, col sostegno dell’aviazione giordana.
I tre statunitensi erano stati uccisi il 13 dicembre da una persona che faceva parte delle forze di sicurezza siriane, senza ruoli di comando, e che l’esercito doveva valutare se congedare per via delle sue idee estremiste. L’azione non era stata rivendicata da nessun gruppo, ma l’intelligence statunitense l’aveva attribuita all’ISIS.
Il presidente Donald Trump aveva promesso «ritorsioni molto serie». Venerdì il suo segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha commentato in modo ambiguo e un po’ minaccioso gli attacchi (a settembre l’amministrazione aveva cambiato il nome del dipartimento in dipartimento della Guerra). Da un lato Hegseth ha sostenuto che continueranno, dall’altro ha detto che «non è l’inizio di una guerra: è una dichiarazione di vendetta».

Trump, Hegseth e il capo dello Stato maggiore Dan Caine, durante i funerali delle tre persone uccise in Siria, il 17 dicembre nella base militare di Dover, Delaware (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)
Gli attacchi della notte tra venerdì e sabato, così come la prospettiva di un intensificarsi delle operazioni antiterrorismo in Siria, vanno visti in un contesto in cui gli Stati Uniti hanno ridotto considerevolmente la loro presenza militare nel paese, dove oggi hanno circa mille militari contro i duemila di inizio 2025. È anche una conseguenza della normalizzazione dei rapporti con la nuova leadership siriana del presidente Ahmed al Sharaa, che si è impegnato a combattere quanto resta dell’ISIS in Siria (di cui fino al 2013 aveva fatto parte). Venerdì Trump ha detto che l’operazione è avvenuta col «pieno sostegno» del governo di al Sharaa e il ministero degli Esteri siriano lo ha confermato.
Anche se molto indebolito rispetto alla sua fase di massima espansione, si stima che l’ISIS abbia ancora circa 7mila combattenti tra Siria e Iraq. Il gruppo aveva cercato di approfittare della caduta di Assad, e a gennaio gli Stati Uniti avevano bombardato preventivamente alcune sue basi. Negli ultimi due anni l’ISIS è riuscito a compiere gravi attentati in Iran e Russia, e si è allargato in Asia. Ha ispirato anche il recente attentato contro la comunità ebraica in Australia, secondo la polizia australiana.
– Leggi anche: Lo Stato Islamico dopo la fine del regime di Assad



