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  • Giovedì 11 dicembre 2025

Due accordi di pace di Trump si stanno già sfaldando

Quello tra Thailandia e Cambogia e quello tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda, dove si continua a combattere

Donald Trump in Egitto a ottobre 2025 (Yoan Valat, Pool photo via AP)
Donald Trump in Egitto a ottobre 2025 (Yoan Valat, Pool photo via AP)
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Donald Trump si vanta di frequente del gran numero di guerre a cui sarebbe riuscito a porre fine da quando è tornato alla presidenza degli Stati Uniti, a gennaio. A volte dice di aver contribuito a cinque accordi di pace, altre volte a sei o sette, comunque abbastanza da fargli meritare, secondo lui, il premio Nobel per la Pace.

La scorsa settimana la sua amministrazione ha diffuso il Documento sulla strategia per la Sicurezza nazionale, che definisce in modo ufficiale la propria visione e i propri obiettivi in quell’ambito. Lì le “paci” di Trump sono diventate otto: Thailandia e Cambogia; Kosovo e Serbia; Repubblica Democratica del Congo e Ruanda; Pakistan e India; Israele e Iran; Egitto ed Etiopia; Armenia e Azerbaijan; e Israele e Hamas. La realtà è che in alcuni di questi casi non sono stati realizzati veri accordi di pace, e in altri il contributo di Trump è stato spesso limitato (ne abbiamo parlato qui). Soprattutto, due di questi accordi si stanno già sfaldando, dato che nei paesi in questione i combattimenti sono ripresi.

Il primo accordo che si sta sfaldando è quello tra Thailandia e Cambogia. La guerra tra i due paesi era cominciata lo scorso luglio, quando per cinque giorni c’erano stati attacchi e bombardamenti in varie località sul confine che sono da tempo contese, per ragioni militari ma anche storiche e religiose. A luglio i combattimenti si erano conclusi con un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti, e Trump aveva sottolineato il proprio ruolo nella fine delle ostilità, che sono riprese pochi giorni fa.

All’inizio di questa settimana la Thailandia ha fatto una serie di bombardamenti lungo il confine con la Cambogia. Complessivamente sono state uccise almeno 15 persone, tra militari e civili thailandesi e cambogiani. Più di 500mila persone che vivono nelle zone di confine interessate sono state sfollate. I paesi si stanno accusando a vicenda di avere ricominciato le ostilità.

– Ascolta Globo: Politica e guerra in Thailandia

Martedì, il giorno dopo la ripresa degli scontri, Trump ha detto: «Mi pesa dirlo, ma Cambogia e Thailandia hanno ricominciato oggi [in realtà era il giorno prima, ndr], e domani dovrò fare una telefonata». Ha poi aggiunto: «Chissà, magari farò una telefonata e fermerò la guerra tra due paesi molto importanti?».

Parlando con i giornalisti il primo ministro della Thailandia, Anutin Charnvirakul, si è detto scettico: «Non è semplice come alzare la cornetta e chiamare. Ci devono essere appuntamenti e punti di discussione concordati. Serve tempo per preparare queste questioni e per organizzare questo tipo di negoziati».

Persone sfollate in Thailandia, 10 dicembre 2025

Persone sfollate in Thailandia, 10 dicembre 2025 (AP Photo/Wason Wanichakorn)

Quasi contemporaneamente sono ricominciati i combattimenti anche in un’altra delle guerre “risolte” da Trump. Più che una guerra formale, è in realtà uno scontro decennale tra la Repubblica Democratica del Congo e vari gruppi di miliziani e ribelli, il principale dei quali è l’M23. Secondo moltissimi esperti, analisti e anche agenzie di intelligence di vari paesi occidentali, il gruppo è armato e finanziato dal vicino Ruanda (che nega ogni coinvolgimento).

– Leggi anche: Tutti i modi in cui il Ruanda appoggia il gruppo armato congolese M23

Nonostante questo, da mesi la diplomazia statunitense cerca di negoziare un accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, senza coinvolgere la leadership dell’M23 (che sta conducendo trattative separate mediate dal Qatar). È una situazione un po’ paradossale, dato che formalmente i due paesi non sono in guerra, e non è del tutto chiaro quanto il Ruanda possa davvero controllare i miliziani dell’M23. I rappresentanti di Congo e Ruanda hanno firmato vari accordi di pace in questi mesi, l’ultimo dei quali la settimana scorsa a Washington, in presenza di Trump. In tutti questi mesi però i combattimenti non si sono mai fermati del tutto.

Solo pochi giorni dopo l’M23 è tornato ad attaccare l’est della Repubblica Democratica del Congo: negli scontri sono state uccise centinaia di persone, e circa 200mila sono state fatte evacuare. Mercoledì l’M23 ha detto di aver conquistato la città di Uvira, l’ultima che era ancora controllata dal governo della Repubblica Democratica del Congo nella provincia di Sud Kivu. A gennaio i miliziani avevano già occupato Goma, il capoluogo del Nord Kivu, e quindi ora controllano interamente la regione. Negli ultimi giorni migliaia di persone avevano lasciato Uvira per sfuggire ai combattimenti tra l’esercito congolese e i miliziani dell’M23.

Il dipartimento di Stato statunitense ha condannato gli scontri, ma Trump non si è espresso. Mercoledì la ministra degli Esteri congolese ha fatto capire che è molto scontenta degli Stati Uniti, e ha detto che il governo statunitense deve «recuperare la credibilità» nei suoi sforzi per promuovere la pace.

Trump con i presidenti di Ruanda e Repubblica Democratica del Congo a Washington, 4 dicembre 2025

Trump con i presidenti di Ruanda e Repubblica Democratica del Congo a Washington, 4 dicembre 2025 (AP Photo/Evan Vucci)