• Lunedì 8 dicembre 2025

Un anno dopo la caduta di Assad la Siria è piena di speranze e dubbi

Il nuovo leader Ahmed al Sharaa ha promesso di pacificare e ricostruire il paese, finora con successi molto parziali

Una bambina sventola la bandiera siriana durante le celebrazioni per il primo anniversario della caduta del regime di Bashar al Assad, a Damasco l'8 dicembre 2025 (AP Photo/Omar Sanadiki)
Una bambina sventola la bandiera siriana durante le celebrazioni per il primo anniversario della caduta del regime di Bashar al Assad, a Damasco l'8 dicembre 2025 (AP Photo/Omar Sanadiki)
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Lunedì in tutta la Siria ci sono stati grandi festeggiamenti per il primo anniversario della caduta del brutale regime della famiglia Assad: il nuovo presidente, Ahmad al Sharaa, ha partecipato a una parata militare nella Moschea Omayyade, uno dei luoghi più importanti della capitale Damasco, mentre in città e nel paese venivano sparati fuochi d’artificio e sventolate le nuove bandiere nazionali. Dalle macchine per le strade si diffondeva musica festosa e i cartelloni appesi in giro recitavano slogan come «Un paese, un popolo» e «L’epoca buia è finita», ma il primo anno sotto il nuovo governo ha dimostrato chiaramente che il processo di ricostruzione in Siria è ancora molto lungo.

Il regime di Hafez al Assad e di suo figlio Bashar, iniziato nel 1971 e durato 54 anni, fu brutale. Nel 2011 iniziò una guerra civile, che proseguì in maniera sanguinosa per 13 anni: terminò in modo inaspettato un anno fa con la conquista di Damasco e la cacciata di Bashar al Assad, fuggito a Mosca, da parte del gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham. Il suo capo era al Sharaa, che si fece rapidamente nominare presidente e abbandonò il nome di battaglia con cui era noto fino ad allora, Abu Mohammad al Jolani, e le vesti militari che indossava abitualmente in pubblico (ma se le è rimesse in occasione delle celebrazioni dell’anniversario).

Al Sharaa promise da subito di ricostruire la Siria e di proteggere le numerose minoranze etniche e religiose che ci abitano, dopo decenni di violenza politica e settaria. Fin da subito è apparso un compito estremamente difficile, e molti aspetti della figura di al Sharaa, legata a milizie sunnite radicali, hanno sollevato qualche dubbio sulla sua adeguatezza sia fra i siriani che temono di finire marginalizzati sia nella comunità internazionale. Lunedì il presidente si è dimostrato molto ottimista: ha detto che «nessuna sfida, non importa se grande o pesante, ci ostacolerà» e che «nessun ostacolo ci farà desistere».

L’economia continua a essere in uno stato disastroso, ma c’è la speranza che la rimozione di quasi tutte le sanzioni internazionali possa aiutarla a ripartire (e quindi a riaccogliere i milioni di rifugiati scappati all’estero). A ottobre ci sono state le prime elezioni legislative dalla fine della dittatura, che però non sono state pienamente democratiche dato il caos amministrativo in cui versa gran parte del paese: sono stati eletti principalmente uomini sunniti.

Molti temono che il nuovo governo possa adottare politiche discriminatorie verso i gruppi etnici e religiosi non sunniti (l’Islam sunnita è la confessione maggioritaria in Siria). Nei mesi scorsi ci sono stati scontri e massacri tra milizie sunnite legate al governo e comunità non sunnite: gli alawiti, nella provincia di Latakia, sulla costa; i drusi, nella provincia meridionale di Suweyda a luglio, e i curdi, che controllano una vasta zona nel nordest del paese, a ottobre. In tutto sono stati uccisi migliaia di civili.

– Leggi anche: La nuova vita di Bashar al Assad a Mosca