In sei mesi la Gaza Humanitarian Foundation ha fatto solo danni
L’organizzazione fondata su impulso di Israele smetterà di operare nella Striscia, dopo stragi continue di palestinesi vicino ai suoi centri

Lunedì la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), la contestata organizzazione creata da Israele per controllare la distribuzione del cibo e degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, ha detto che fermerà le sue attività, dopo che il mese scorso le aveva sospese con l’inizio del cessate il fuoco.
Nel comunicato in cui è stata annunciata la decisione, il direttore John Acree ha detto che nei mesi in cui è stata attiva l’organizzazione ha raggiunto «con successo» il suo obiettivo iniziale, ossia «sfamare i civili in condizioni di disperato bisogno». È una valutazione estremamente distante dalla realtà: l’operato dell’organizzazione è stato fin da subito enormemente problematico per molti motivi, e ha creato le condizioni per stragi continue di civili palestinesi da parte dei soldati israeliani.
Nei pochi mesi in cui la GHF ha gestito la distribuzione di cibo e beni di prima necessità è stata dichiarata una carestia nel nord della Striscia, dove non c’erano punti di distribuzione, e un alto rischio di carestia nel centro e nel sud. Più di mille persone palestinesi sono state uccise dall’esercito israeliano o sono morte nella calca nei pressi dei suoi centri di distribuzione; solo poche persone hanno beneficiato dei beni forniti, rispetto a quante ne avevano bisogno.
Tutto questo è avvenuto principalmente a causa del modo in cui Israele (con il sostegno degli Stati Uniti) ha concepito e creato l’organizzazione: non come una ong, ma come uno strumento per usare la fame come arma contro i palestinesi.
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Uno dei punti di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation a Netzarim, ad agosto del 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
La GHF è un’organizzazione non governativa fondata dagli Stati Uniti su impulso di Israele. L’obiettivo dichiarato era sostituire la rete delle oltre 200 ong che da tempo gestivano oltre 400 punti di distribuzione del cibo in tutta la Striscia. L’organizzazione aveva iniziato a operare a fine maggio, dopo più di due mesi in cui Israele aveva bloccato completamente l’ingresso di qualsiasi bene di prima necessità nell’area.
Da subito però era stato chiaro che il modo in cui la Gaza Humanitarian Foundation aveva organizzato la gestione della distribuzione fosse problematico. Da 400 i punti erano diventati quattro, tutti nel sud della Striscia di Gaza, in linea con la volontà di Israele di rendere inabitabile per i palestinesi il nord della Striscia e di costringerli ad andarsene. I siti si trovavano all’interno di zone militari israeliane ed erano circondati da soldati israeliani e da altre persone armate che lavoravano per aziende di sicurezza private statunitensi. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie avevano immediatamente criticato questo sistema, ricordando che la militarizzazione dell’assistenza umanitaria è contraria al diritto internazionale.
Avevano anche ritenuto che la GHF, per via del modo in cui era stata creata, non rispettasse i principi umanitari fondamentali di neutralità, imparzialità e indipendenza: per questo si erano rifiutate di collaborarci.
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Il primo giorno di attività era stato un disastro: il sistema di distribuzione nell’unico centro aperto prevedeva che le persone palestinesi si mettessero in fila dentro a recinzioni circondate da filo spinato, fossero identificate dal personale di GHF e poi ricevessero un pacco di cibo. La situazione era degenerata rapidamente e i soldati israeliani che si trovavano nei paraggi avevano sparato, colpendo diverse persone palestinesi. Da lì in poi le cose non erano migliorate: le stragi di civili palestinesi vicino ai centri di distribuzione erano diventate quasi quotidiane.
Nonostante la pericolosità, migliaia di persone palestinesi ogni giorno si mettevano comunque in cammino da diverse parti della Striscia, partendo anche nella notte, per sperare di riuscire a prendere uno dei pacchi della GHF. Anche arrivare troppo presto davanti ai punti di distribuzione, che erano aperti solo per poche ore al giorno, poteva però essere pericoloso: trovandosi dentro a zone militari israeliane, in diverse occasioni l’esercito ha detto di aver sparato a persone non identificate che si avvicinavano, e che poi era stato appurato fossero solo dei civili arrivati in anticipo per mettersi in coda.
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Dall’inizio del cessate il fuoco, lo scorso 10 ottobre, il numero di camion carichi di cibo e altri beni essenziali che entrano nella Striscia è molto aumentato, pur senza essere sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione. Solo una piccola quantità dei beni è distribuita gratuitamente e molti sono venduti dalle attività commerciali della Striscia, dove i prezzi sono ancora alti e dove i beni venduti non sono sempre adatti a soddisfare i bisogni delle persone malnutrite e indebolite da due anni di guerra e dalla carestia.



