L’Emilia-Romagna non ce la fa più a ricevere pazienti da altre regioni
Il presidente Michele de Pascale dice che continuano ad aumentare, intasando il sistema sanitario regionale

Il presidente dell’Emilia-Romagna Michele de Pascale ha detto che gli ospedali emiliani e romagnoli sono sotto pressione a causa dei tanti, troppi pazienti che arrivano da altre regioni per farsi curare: «In questo momento il problema principale dell’Emilia-Romagna è il nostro storico motivo di orgoglio, e cioè l’enorme pressione di persone da fuori regione che si vengono a curare qui, intasando il sistema».
L’Emilia-Romagna insieme alla Lombardia e il Veneto è tra le regioni che accolgono più pazienti da altre regioni. Tecnicamente viene chiamata mobilità sanitaria. È un problema storico, sintomo di un Servizio sanitario nazionale squilibrato, che non garantisce ovunque lo stesso livello di qualità.
La mobilità sanitaria si distingue in mobilità attiva, cioè la capacità delle strutture sanitarie di una regione di attrarre pazienti da altre regioni, e passiva, cioè la necessità di molti pazienti di spostarsi fuori regione a causa della mancanza di strutture specializzate, per via di inefficienze e tempi di attesa elevati. La differenza tra mobilità attiva e passiva mostra la capacità di una determinata regione di attrarre pazienti, ed è considerata quindi un indicatore della qualità del servizio sanitario offerto.
L’Emilia-Romagna è una regione di riferimento soprattutto per le prestazioni sanitarie complesse come la cardiochirurgia, l’onco-ematologia, i trapianti, l’ortopedia avanzata, ma anche per la terapia delle malattie croniche. Negli ultimi anni tuttavia gli ospedali emiliani e romagnoli hanno accolto anche persone provenienti da altre regioni da sottoporre a interventi poco invasivi, di routine, oltre che pazienti che volevano solo essere visitati più velocemente.
Per certi versi la mobilità sanitaria è un fenomeno positivo, perché aiuta a garantire il principio di universalità del Servizio sanitario nazionale. Ma ci sono anche molte conseguenze negative: le regioni da cui partono molti pazienti fanno fatica a sviluppare servizi d’eccellenza e spesso la mobilità sanitaria nasconde una quota di operazioni e ricoveri non necessari, inutili, e difficili da controllare.
Secondo i dati più recenti diffusi dall’AGENAS, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nel 2023 l’Emilia-Romagna aveva il saldo tra mobilità attiva e passiva più alto in Italia. «Abbiamo avuto un trend di crescita fortissimo della mobilità da altre regioni dopo il Covid, ma non possiamo accrescere l’offerta all’infinito», ha detto de Pascale. «Non è solo questione di risorse, che ci vengono rimborsate solo parzialmente: quello che manca è il personale».
I funzionari dell’assessorato alla Sanità stanno lavorando a un accordo con i colleghi della Calabria per analizzare meglio il fenomeno e provare a contenerlo. I trasferimenti da una regione all’altra saranno più controllati per capire se ci siano esigenze particolari su alcune patologie e soprattutto evitare che ci siano prescrizioni improprie.
De Pascale non ne fa una questione di egoismo. Anzi, dice che garantire servizi sanitari omogenei è una questione di unità nazionale: «Le nostre eccellenze sanitarie sono un patrimonio del Paese e saranno sempre a disposizione, ma questo non vale per la bassa complessità. E quello che dico è condiviso da tutti i presidenti di regione italiani, soprattutto al Sud. Loro di fatto pagano due volte, per il reparto che non sfruttano e per i loro cittadini che vengono a curarsi qui da noi».



