Cosa è andato a fare Trump in Asia
Come primissima cosa quello che lui ha definito un «accordo di pace», che però non lo è; e poi un sacco di incontri, tra cui soprattutto quello con Xi Jinping

Domenica Donald Trump è arrivato a Kuala Lumpur, in Malaysia, per iniziare un viaggio di quasi una settimana in Asia, il primo in questa regione del suo secondo mandato da presidente degli Stati Uniti. Dopo la Malaysia Trump andrà in Giappone e in Corea del Sud e in questi paesi incontrerà almeno altri dieci leader della regione, fra cui il presidente cinese Xi Jinping. Molti di loro sono a capo di paesi ampiamente dipendenti dall’esportazione di merci negli Stati Uniti, e sperano quindi di riuscire a stabilizzare i loro rapporti con Trump e convincerlo ad abbassare gli alti dazi che, seppur minori di quelli originariamente annunciati, sono ancora in vigore. In Malaysia e in Corea del Sud ci sono state proteste contro l’arrivo di Trump.
Trump vede questo viaggio come un’occasione per rafforzare la sua immagine di leader pacificatore e di abile negoziatore, a cui tiene moltissimo. Per questo motivo una delle prime cose che ha fatto domenica in Malaysia è stata presidiare alla firma di un «accordo di pace», come l’ha definito lui, fra i leader di Cambogia e Thailandia: a luglio i due paesi si erano scontrati e bombardati a vicenda in una zona di confine contesa, prima di accordarsi per un cessate il fuoco di cui Trump si era preso grandi ed eccessivi meriti.
La cerimonia della firma di domenica era per Trump un altro modo per intestarsi questo successo, che però è più di forma che di sostanza: si tratta infatti di un accordo piuttosto modesto, non molto diverso da quello dello scorso luglio, e che il ministro degli Esteri thailandese ha definito una «dichiarazione congiunta» e un «percorso verso la pace», piuttosto che un accordo di pace (Trump invece, con la solita enfasi, l’aveva definito un «passo monumentale»).
Nonostante questo, la cerimonia è avvenuta perché Trump l’aveva posta come condizione necessaria per la sua partecipazione alla riunione dell’ASEAN (l’Associazione dei paesi del Sudest asiatico) che si sta svolgendo in questi giorni a Kuala Lumpur. Domenica Trump ha anche stretto accordi commerciali bilaterali di intesa (che dovranno quindi essere finalizzati in futuro) con Vietnam, Malaysia, Cambogia e Thailandia. Fra loro, la Malaysia in particolare si è impegnata a investire 70 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi dieci anni, un tipo di condizione che Trump pone spesso quando si tratta di negoziare l’abbassamento dei dazi (che al momento sulle merci malaysiane sono del 19 per cento).

Donald Trump posa con leader di paesi membri dell’ASEAN in Malaysia, il 26 ottobre 2025 (AP Photo/Mark Schiefelbein)
Lunedì Trump volerà in Giappone, dove incontrerà la nuova prima ministra Sanae Takaichi, molto conservatrice e prima donna ad avere questo ruolo nella storia del paese. Si prevede che il loro incontro si concentrerà sulla definizione di un accordo commerciale bilaterale firmato a luglio. Al tempo il Giappone aveva ottenuto una diminuzione dei dazi statunitensi dal 25 al 15 per cento, ma in cambio si era impegnato a investire 550 miliardi di dollari nell’economia statunitense: l’area in cui questi soldi verranno spesi è il punto di contesa principale.
Venerdì inoltre Takaichi ha annunciato che il Giappone arriverà a spendere il 2 per cento del suo prodotto interno lordo nel settore della difesa entro marzo del 2026, con due anni di anticipo rispetto al previsto. L’annuncio è stato interpretato come un tentativo del governo giapponese di agire in anticipo, dato che si aspetta che Trump le chiederà di aumentare la spesa militare, per controbilanciare le mire espansionistiche cinesi nella regione.
Mercoledì Trump andrà in Corea del Sud, dove incontrerà il presidente sudcoreano Lee Jae-myung e alcuni leader stranieri che sono nel paese per partecipare alla riunione dell’APEC (l’organo di cooperazione economica dell’Asia-Pacifico), che inizierà il 28 ottobre. Lo scorso luglio la Corea del Sud aveva firmato un accordo di intesa con l’amministrazione di Trump per evitare l’imposizione di dazi elevati sulle sue merci, in cambio di un investimento da 350 miliardi di dollari nel mercato statunitense. Da allora però i negoziati si sono trascinati senza risolversi in niente: con l’incontro di questa settimana Lee spera di chiudere la questione. I due si erano visti l’ultima volta lo scorso agosto alla Casa Bianca, in un incontro in cui Lee aveva fatto di tutto per ingraziarsi Trump, definendolo anche l’unica persona in grado di migliorare i rapporti fra il suo paese e la Corea del Nord, guidata dal dittatore Kim Jong Un, con cui Trump si vanta di avere un ottimo rapporto.
Trump e Kim Jong Un si erano incontrati più volte durante il suo primo mandato, ma ancora non l’hanno fatto da quando Trump è stato rieletto presidente. Domenica, mentre era a bordo dell’Air Force One in viaggio verso la Malaysia, aveva detto ai giornalisti presenti che avrebbe incontrato volentieri il dittatore nordcoreano («Lo farei. Se volete spargere la voce, sono disponibile»). Il ministro dell’Unificazione sudcoreano, Chung Dong-young, che si occupa delle relazioni tra le due Coree, ha detto che c’è una «considerevole» possibilità che i due leader possano incontrarsi mentre Trump è in Corea del Sud (probabilmente nella zona demilitarizzata fra i due paesi). Al momento però alcuni funzionari statunitensi hanno detto in forma anonima ai giornali che un incontro non è ancora stato fissato.

Una protesta contro l’arrivo di Trump a Seul, in Corea del Sud, il 25 ottobre 2025 (AP Photo/Ahn Young-joon)
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Infine, giovedì Trump avrà sempre in Corea del Sud, a Gyeongju, il primo incontro di persona del suo secondo mandato con il presidente cinese Xi Jinping. I negoziatori cinesi e statunitensi si sono incontrati questo fine settimana per discutere i dettagli dell’incontro e domenica pomeriggio hanno detto di aver raggiunto un accordo commerciale preliminare, che dovrà essere finalizzato dai due presidenti. Da quando Trump è tornato presidente ha affrontato la Cina in modo molto più diretto della precedente amministrazione, iniziando una guerra commerciale con l’imposizione di dazi altissimi e restrizioni sulle importazioni di tecnologia cinese negli Stati Uniti. Dopo un primo periodo di attacchi però i due paesi hanno incominciato a trattare, annunciando più volte negli scorsi mesi di aver raggiunto accordi su specifici temi, fra cui anche quello della vendita del social network TikTok a un’azienda non cinese.
Nonostante gli annunci enfatici dell’amministrazione di Trump, in queste trattative ad avere più potere è stata la Cina, per via del suo controllo quasi totale delle cosiddette “terre rare”, un gruppo di 17 metalli fondamentali per la produzione di molte apparecchiature tecnologiche. La Cina controlla oltre il 70 per cento della produzione mondiale di terre rare e decide a suo piacimento se esportarli oppure no (ad aprile ne aveva limitato l’esportazione, causando una riduzione improvvisa nella loro disponibilità nel resto del mondo e grossi problemi all’Occidente, poi parzialmente risolti con degli accordi bilaterali con Unione Europea e Stati Uniti). Due settimane fa il ministero del Commercio cinese ha annunciato nuove limitazioni per la loro esportazione e lavorazione.
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