Le mie avventure e disavventure nei mondi dei nootropi

«Di nootropi ne ho assunti diversi. Da integratori alimentari innocui a vecchi arsenali farmaceutici post-sovietici su cui non sono stati fatti studi, se non in russo e sui ratti. Quella che credevo essere una scorciatoia si è rivelato un capitombolo dentro un’infida tana del Bianconiglio»

The White Rabbit in a hurry, illustrazione di Gwynedd M. Hudson per l'edizione di Alice's Adventures in Wonderland pubblicata a Londra nel 1922 da Hodder & Stoughton. (Heritage Art/Heritage Images via Getty Images)
The White Rabbit in a hurry, illustrazione di Gwynedd M. Hudson per l'edizione di Alice's Adventures in Wonderland pubblicata a Londra nel 1922 da Hodder & Stoughton. (Heritage Art/Heritage Images via Getty Images)
Davide Banis
Davide Banis

È nato a Como e vive a Copenaghen, dove lavora per una casa editrice danese. Ha collaborato con varie testate tra cui Link - Idee per la tv, Rivista Studio, Wired e Vanity Fair.

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Qualche mese fa, per migliorare la mia performance cognitiva, ho assunto una serie di sostanze – a metà tra i farmaci, gli integratori alimentari e le droghe – comunemente chiamate “nootropi”.

«Che cosa è un nootropo?» bisogna chiederlo al chimico e psicologo rumeno Corneliu Giurgea che coniò il termine, combinando le parole greche “nous”, mente, e “trope”, cambiamento, nel 1972 per indicare una tipologia di sostanze psicotrope con caratteristiche molto specifiche.

Stando alla definizione di Giurgea, un nootropo doveva contribuire al miglioramento dell’apprendimento e della memoria, proteggere il cervello da danni chimici e fisici e non avere gli effetti farmacologici tipici delle sostanze psicotrope quali sedazione e riduzione del coordinamento motorio. Giurgea coniò il termine studiando il piracetam, una sostanza che aveva sintetizzato una decina di anni prima anche con lo scopo di migliorare le performance cognitive.

Insomma, l’idea era di creare farmaci per fare stare meglio chi già stava bene. Era un approccio tipico della farmacologia sovietica che aveva creato anche sostanze come il phenibut e il phenylpiracetam, sintetizzate anche per aiutare i cosmonauti a rimanere calmi ma vigili nello spazio.

Dall’altro lato della cortina di ferro, questa idea di creare o usare farmaci per fare stare meglio chi già sta bene ricorda la “farmacologia cosmetica” descritta dallo psichiatra americano Peter Kramer.

– Leggi anche: Le pillole per diventare più intelligenti

Nel suo libro del 1993 Listening to Prozac, Kramer si arrovellava sull’etica di usare sostanze psicoattive (inclusi antidepressivi come l’eponimo Prozac, sintetizzato negli anni Settanta) da parte di persone che vogliono migliorare o cambiare la propria mente senza soffrire di disturbi psicologici. Nello stesso modo in cui uno si rifà il naso non perché se lo è rotto ma per aderire agli standard di bellezza della società in cui vive, uno può decidere di usare un antidepressivo o simili non perché stia male ma per cambiare la propria personalità e renderla più funzionale all’ambiente in cui si trova.

Oggi, la parola nootropo è di moda negli ambienti anglofoni tra chi si interessa di benessere personale. Per esempio, i nootropi sono molto discussi su Reddit, il social network diviso in argomenti tematici chiamati “subreddit”.

I frequentatori di questi subreddit descrivono bizantini protocolli pseudo-farmacologici composti da 10-15 pillole al giorno e relative peculiari modalità di assunzione (a stomaco pieno o vuoto, ogni tot ore, con un cucchiaio di olio d’oliva, etc.). I protocolli sono presentati come rigide routine a cui aderire pedissequamente.

Non ci sono minimi comuni denominatori tra i vari protocolli: ognuno si avventura nell’universo in continua espansione dei nootropi creandosi uno stack specifico per le proprie esigenze a furia di tentativi.

È evidente come la stretta definizione di Giurgea sia stata di fatto superata dall’uso sempre più lasso fatto del termine su Reddit e dintorni. Volendo comunque dare una definizione, meno stretta, al termine potremmo dire che i nootropi sono tutte quelle sostanze, dagli integratori alimentari ai farmaci risalenti all’epoca sovietica, che promettono di fare stare ancora meglio chi già sta bene.

Io mi sono avventurato nel mondo dei nootropi in un periodo in cui sentivo il bisogno di massimizzare le mie capacità cognitive. Dovevo imparare qualche nozione di finanza per lavoro e pensavo che assumere una manciata di pillole mi avrebbe aiutato a comprendere la formula del valore attuale netto più facilmente. C’era anche un po’ di ansia da prestazione? Probabilmente. Ma soprattutto c’era curiosità: può una pillola aiutarti a capire più facilmente dei concetti complessi?

Quella che credevo essere una scorciatoia verso l’empireo della conoscenza finanziaria si è rivelato un capitombolo dentro un’infida tana del Bianconiglio.

Disclaimer: non ho una preparazione scientifica a riguardo, molti nootropi puzzano (per fortuna solo metaforicamente) di olio di serpente e l’uso fai-da-te di farmaci spesso non approvati dall’Agenzia europea per i medicinali è consigliato tanto quanto fare bungee jumping senza cavo elastico.

Nelle mie sperimentazioni, però, ho trovato i nootropi e il discorso che gli sta intorno un prisma affascinante attraverso cui guardare tematiche quali l’ottimizzazione personale e il bisogno di stare bene. O stare ancora meglio.

Di nootropi ne ho assunti diversi. Dal capostipite piracetam ad altri -racetam più oscuri. Da integratori alimentari innocui come la l-teanina (ottima con una tazza di caffè) a vecchi arsenali farmaceutici post-sovietici su cui non sono stati fatti molti studi. E quei pochi sono stati fatti in russo e per lo più sui ratti.

Nelle prime settimane di sperimentazioni, non ho notato nessun effetto. Il calcolo del costo medio ponderato del capitale è rimasto elusivo. Poi, perseverando e simpatizzando coi ratti dei laboratori sovietici, ho cominciato a notare qualche timido effetto positivo (tutto placebo? Vedremo). Ringalluzzito, sono finito a provare roba che in Italia, ma non in altri paesi dell’Unione Europea, rientra nella sezione A della Tabella dei medicinali (è la sezione di morfina e metadone).

Pur con tutti i limiti della legislazione italiana in fatto di medicine e droghe, ho pensato che se una sostanza rientra nella stessa categoria della morfina un motivo ci sarà. E infatti era roba con effetti collaterali che non augureresti neanche a ratti da laboratorio sovietici. Così ho smesso.

Ho smesso con tutti i nootropi. Mi sono infatti reso conto che stavo cercando una scorciatoia che non esisteva. Il problema era l’ossessione costante per l’ottimizzazione. La pretesa di essere cognitivamente sempre al massimo.

I nootropi erano diventati l’equivalente in pillole di quell’app che si vede nel primo episodio della settima stagione di Black Mirror, la serie televisiva Netflix che esplora le potenzialità distopiche della tecnologia.

L’app che si vede in Black Mirror permette sostanzialmente di cambiare il proprio stato mentale semplicemente scrollando una barra sullo schermo del telefono. Vuoi essere cognitivamente al top della forma? Puoi esserlo. Sempre.

Il problema è che per essere concentrato devi anche essere agitato e distratto, di tanto in tanto.

Intellettualmente, ho trovato conferma di ciò nel concetto di “sfida ottimale” descritto da Mihaly Csikszentmihalyi in Flow: per raggiungere stati di concentrazione profonda, abbiamo bisogno di un equilibrio dinamico tra momenti di tensione e rilassamento, di concentrazione e distrazione.

– Leggi anche: Perché alcuni stanno meglio di altri?, di Pietro Grossi

Praticamente, me ne sono reso conto un martedì sera in palestra quando, dopo un allenamento intenso, mi sono fatto una poderosa sauna a 100 gradi. Il problema è che, uscito dalla sauna, ho scoperto che le docce della palestra erano malfunzionanti e usciva solo acqua calda.

Una sauna senza acqua fredda non ha senso. È l’alternanza di caldo e freddo che crea la sensazione di benessere.

I nootropi promettono di fare stare meglio chi già sta bene ma questo anelito all’ottimizzazione costante cozza con la biologia dei nostri cervelli che hanno bisogno di alternanza.

L’anelito all’ottimizzazione è per altro implicito in molte delle nozioni di finanza su cui mi sono dovuto cimentare. Ma anche in questo caso ci sono studiosi, come lo statistico, filosofo ed ex trader finanziario Nassim Nicholas Taleb, che sostengono come la ricerca di un’ottimizzazione costante finisca per creare sistemi (aziende, paesi) e persone più fragili e meno resistenti agli shock.

Nel suo libro Antifragile, un mappazzone di quasi ottocento pagine che a tratti ti chiedi come abbia fatto a pubblicarlo e a tratti perché non ci siano ancora statue del suo autore nelle piazze antistanti a ogni borsa mondiale, stile dito medio di Cattelan a Milano, Taleb scrive:

«L’ossessione moderna per l’efficienza e l’ottimizzazione porta inevitabilmente alla fragilità – sistemi (e persone) che cercano di eliminare ogni variabilità finiscono per essere più vulnerabili quando arrivano gli shock inevitabili».

E quindi cosa resta di tutti questi nootropi assunti? Niente, se non la reminiscenza dei soldi spesi (qualche decina di euro) e la consapevolezza che per stare bene bisogna anche stare male ogni tanto. L’ottimizzazione a tutti i costi è un mantra contemporaneo di cui possiamo fare a meno.

In conclusione, devo però ammettere che un nootropo con solide basi scientifiche, a costo zero e senza rischi teoricamente l’ho trovato. È l’effetto placebo.

Come scrive il giornalista scientifico David Robson nel libro The Expectation Effect, una disamina approfondita dei meccanismi alla base dell’effetto placebo, le nostre aspettative e credenze possono alterare radicalmente la nostra realtà fisica e mentale.

Robson racconta di gente che ha migliori prestazioni cognitive se crede (senza motivo) di aver dormito meglio, di come longevità e salute fisica siano influenzate anche dalle nostre convinzioni sull’invecchiamento e di come lo stress possa essere riconfigurato mentalmente come un fattore che migliora le prestazioni fisiche e mentali.

Robson descrive anche dei ciclisti a cui viene chiesto di pedalare su un circuito virtuale contro un avatar che rappresenta il loro record personale stabilito in passato per quella distanza. I ciclisti finiscono per battere o raggiungere il proprio avatar. In seguito, gli viene rivelato che in realtà l’avatar era molto più veloce del loro record personale.

I ciclisti avevano letteralmente superato i propri limiti grazie a una convinzione errata.

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