In che senso Beatrice Venezi non è adatta per un teatro come La Fenice

Non c'entrano solo la tecnica e l'esperienza, che pure secondo gli esperti sono carenti, ma anche il rapporto con l'orchestra

Beatrice Venezi al Taormina Film Festival 2023 (Ernesto Ruscio/Getty Images)
Beatrice Venezi al Taormina Film Festival 2023 (Ernesto Ruscio/Getty Images)
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Nelle ultime settimane la nomina di Beatrice Venezi come nuova direttrice musicale della Fenice di Venezia, uno dei teatri lirici più prestigiosi al mondo, è stata contestata da musicisti e direttori d’orchestra noti e celebrati in tutto il mondo. Venezi ha 35 anni, è figlia di un ex dirigente del partito neofascista Forza Nuova ed è molto vicina alla destra di governo. La sua appartenenza politica ha avuto un peso nella scelta, come accade spesso in nomine di questo tipo.

Ma i professionisti che l’hanno criticata pubblicamente, come il violinista Uto Ughi e il direttore musicale dell’Orchestra sinfonica di Dallas Fabio Luisi, hanno sostenuto che la sua inidoneità al ruolo non dipende tanto da ragioni politiche, ma da aspetti più strettamente professionali, e in particolare due: le sue doti tecniche e la sua scarsa esperienza nel mondo della lirica, considerate largamente insufficienti per ricoprire un ruolo così importante. E non era mai successo che una nomina fosse criticata in maniera così trasversale nell’ambiente musicale.

Per chi è poco avvezzo alla lirica, non è immediato capire in cosa consista il lavoro di un direttore musicale, né quali competenze siano richieste a chi lo svolge. Sono aspetti spesso conosciuti soltanto da una nicchia di critici e addetti ai lavori.

Per prima cosa il direttore musicale non ha solo mansioni operative (dirigere opere importanti, concerti sinfonici e prime di grande rilievo), ma anche manageriali. Cura la programmazione del teatro insieme al sovrintendente, coordina il lavoro dell’orchestra e contribuisce a definire l’indirizzo complessivo della stagione lirica e sinfonica. Ha inoltre un ruolo centrale nelle scelte artistiche, come la selezione dei solisti (i musicisti chiamati a eseguire i passaggi tecnicamente più complessi) e dei direttori d’orchestra coinvolti in tutte le produzioni, comprese quelle che non dirige personalmente.

Per tutti questi motivi, solitamente i sovrintendenti si premurano di scegliere direttori d’orchestra di grande esperienza, che abbiano già fatto i direttori musicali in teatri minori oppure diretto stabilmente concerti in contesti di alto livello.

Alberto Mattioli, critico musicale del quotidiano La Stampa ed esperto di interpretazione operistica, conferma che il curriculum di Venezi è «oggettivamente insufficiente» per dirigere un teatro come La Fenice, e che per rendersene conto basta avere una conoscenza sommaria di questo mondo. Questo perché non ha avuto esperienze di direzione nei cosiddetti teatri «di primissimo cartello», come il Musikverein di Vienna, la Carnegie Hall di New York, la Philharmonie di Berlino, la Scala di Milano o la Royal Opera House di Londra.

L’incarico più prestigioso che può vantare è quello di direttrice principale ospite (il titolo che viene assegnato ai direttori d’orchestra che collaborano stabilmente con un teatro) del teatro Colón di Buenos Aires, in Argentina. Un teatro che ha avuto un ruolo centrale nella scena lirica internazionale fino agli anni Sessanta del Novecento, ma che oggi è meno rilevante a causa del progressivo indebolimento del sistema culturale argentino e di un lungo periodo di crisi.

Mattioli concorda anche su un altro punto: il “gesto” di Venezi, ossia la tecnica con cui comunica con l’orchestra, è ancora poco maturo. «L’ho vista in concerto solo una volta e mi è sembrata una direttrice modesta: non l’impostora che è stata dipinta nelle ultime settimane, ma modesta. La sua esecuzione era corretta, ma piuttosto anonima». Per un direttore d’orchestra la gestualità è importantissima, a minime variazioni corrispondono diversi modi di suonare gli strumenti.

Quando c’è una connessione profonda con il direttore, i cosiddetti “professori” d’orchestra (detti più impropriamente orchestrali) sanno interpretare ogni sfumatura dell’ampia gamma dei suoi gesti. Se il “gesto” è immaturo, o artefatto (come è stato definito quello di Venezi), l’orchestra sarà invece portata a seguire più lo spartito che le indicazioni di chi dirige, e l’esecuzione sarà quindi più banale e meno apprezzabile, almeno da chi ha una conoscenza tecnica.

I problemi principali però non sono soltanto l’esperienza e l’acerbo linguaggio gestuale, che pure «sono dati di fatto», prosegue Mattioli. Un altro fattore determinante, e che verosimilmente complicherà moltissimo il suo lavoro, è la mancanza di un rapporto pregresso con l’orchestra della Fenice.

Una delle caratteristiche fondamentali richieste a un direttore musicale è infatti aver maturato già prima della nomina «un solido percorso di collaborazione con l’ensemble del teatro in cui andrà a operare». Mattioli la definisce «una regola non scritta, ma praticamente inderogabile», e che prescinde da ogni ragione politica. «Un direttore può essere progressista o conservatore, ma deve comunque confrontarsi con i musicisti e ottenere la loro approvazione», aggiunge. Altrimenti, se non c’è questa sintonia, il risultato finale è compromesso.

Nel caso di Venezi, un percorso di questo tipo è sostanzialmente assente. Prima della nomina aveva diretto l’orchestra della Fenice soltanto una volta: un breve concerto di otto minuti, eseguito durante la pandemia in occasione di un evento sponsorizzato.

La posizione di Venezi è stata ulteriormente aggravata dalla condotta di Nicola Colabianchi, il sovrintendente che l’aveva nominata lo scorso 22 settembre, ricevendo nel giro di poco tempo molte contestazioni da parte dell’orchestra e dei dipendenti del teatro.

Esiste infatti una prassi consolidata secondo cui, prima di procedere alla nomina dei direttori musicali, il sovrintendente si consulta informalmente con l’orchestra, per sondarne gli orientamenti e valutare se la figura che ha in mente è in grado di ottenere la fiducia dei musicisti. Colabianchi invece ha informato i musicisti soltanto a nomina avvenuta, e così facendo «li ha inevitabilmente indispettiti», dice Mattioli.

Secondo Mattioli, Colabianchi avrebbe dovuto prendersi il tempo necessario per costruire un «progetto graduale» attorno a Venezi, aumentando così la sua credibilità nei confronti dell’orchestra. Per partire col piede giusto sarebbe stato opportuno coinvolgerla preventivamente in concerti e produzioni operistiche, in modo tale da verificare la nascita di «un’eventuale complicità artistica e di un vero affiatamento con i musicisti»; ma così non è stato. In queste condizioni «sviluppare un rapporto virtuoso con i musicisti è estremamente difficile, se non impossibile. In un certo senso, il suo mandato è stato affossato ancora prima di cominciare».

L’assenza di un confronto con l’orchestra e la gestione anomala della nomina hanno provocato fin da subito forti tensioni. Nelle scorse settimane musicisti e dipendenti della Fenice hanno chiesto la revoca dell’incarico di Venezi, sia in forma ufficiale sia con gesti simbolici, dando inizio a una mobilitazione che sta incidendo anche sulla programmazione teatrale. La prima rappresentazione di Wozzeck di Alban Berg, prevista per venerdì 17 ottobre alla Fenice in occasione del centenario della prima esecuzione, è stata annullata a causa di uno sciopero.

– Leggi anche: I dipendenti del teatro La Fenice di Venezia contro Beatrice Venezi