I Conservatori britannici stanno rinnegando Boris Johnson
Cioè il loro leader più carismatico degli ultimi anni: c'entrano uno slogan diventato popolare e il solito Nigel Farage

Alla convention dei Conservatori britannici di un anno fa si parlava quasi più del loro ex primo ministro, Boris Johnson, che della nuova leadership che doveva uscirne. Johnson era rimpianto come artefice dell’ultima vittoria elettorale prima della disfatta del 2024 e le anticipazioni del suo libro, pubblicate in quei giorni, avevano oscurato la convention, rialimentando le voci cicliche su un suo ritorno in politica.
Alla convention di quest’anno, finita mercoledì a Manchester, il clima è stato decisamente diverso: meno nostalgico. Diversi dirigenti del partito hanno criticato pubblicamente e in modo inedito Johnson, di fatto estendendogli le critiche che finora riservavano ai suoi successori: Liz Truss (prima ministra per soli, disastrosi, 49 giorni) e Rishi Sunak (che aveva cercato di limitare i danni).
La ragione per cui Johnson viene messo in discussione non è la più scontata, cioè gli scandali durante il suo mandato. La riassume invece un’espressione che s’è fatta sempre più strada nel dibattito politico e mediatico britannico: Boris wave, a volte scritto tutto attaccato, significa “l’ondata di Boris” e si riferisce all’aumento dell’immigrazione, anzitutto regolare, durante la scorsa legislatura, coi Conservatori al governo.
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Nel 2020 il governo di Johnson aveva infatti voluto e approvato una legge che prevedeva un rigido sistema a punti che nei piani dei Conservatori avrebbe dovuto limitare di molto l’immigrazione nel Regno Unito.
Da quando furono introdotte le nuove regole, nel 2020, alla fine del governo dei Conservatori, nel 2024, la migrazione netta (cioè sottraendo l’emigrazione) fu di 2,6 milioni di persone: numero che disattese la promessa riassunta nello slogan “riprendere il controllo dei confini” con cui la retorica nazionalista dei Conservatori aveva identificato Brexit. Le nuove regole avevano effettivamente ridotto l’immigrazione dai paesi dell’Unione Europea – obiettivo dichiarato dei promotori di Brexit – ma nel frattempo era aumentata di molto quella dal resto del mondo.
Essere associati alla Boris wave è estremamente problematico per un partito in crisi di consensi (nelle ultime intenzioni di voto i Conservatori sono quarti a pari merito coi Libdem, che fino a poco tempo fa erano considerati un partito minore). Lo è soprattutto in una fase storica in cui l’immigrazione è la principale priorità degli elettori, e i partiti, inclusi i Laburisti, fanno a gara con le proposte draconiane per contrastarla.
La formula Boris wave ha avuto successo quando ha iniziato a usarla il politico del momento, Nigel Farage, il cui partito populista di destra Reform UK è da mesi primo nei sondaggi.

Nigel Farage durante una conferenza stampa il 22 settembre, a Londra (Peter Nicholls/Getty Images)
Farage l’ha usata la prima volta in un intervento di un paio di settimane fa sul Daily Mail, lo stesso tabloid di cui è opinionista Johnson. Il giorno dopo ha presentato l’ultima delle sue proposte estreme: l’abolizione dell’indefinite leave, il sistema per cui dopo cinque anni le persone migranti possono maturare il diritto a restare permanentemente nel Regno Unito (i Laburisti propongono di portare a 10 anni lo stesso periodo).
Il Guardian ha spiegato che l’espressione Boris wave era nata circa un anno fa negli ambienti dell’estrema destra, circolando inizialmente sui profili su X dei suoi attivisti. Il primo dirigente di Reform a usarla era stato lo scorso dicembre Zia Yusuf, di fatto il numero due del partito dopo Farage.
Da lì in poi il Telegraph, il più autorevole quotidiano conservatore, l’ha recepita nei suoi titoli e articoli, contribuendo alla sua diffusione. Lo sdoganamento definitivo, comunque, è avvenuto con Farage. Johnson ha difeso il proprio operato, sostenendo che la maggior parte delle persone arrivate negli anni in cui è stato al governo abbia colmato le lacune nel personale degli ospedali, dei servizi sociali e di altri settori storicamente carenti.

La leader dei Conservatori, Kemi Badenoch, durante il discorso conclusivo della convention, l’8 ottobre a Manchester. Lo slogan dietro di lei dice: «Economia più forte. Confini più robusti» (Ian Forsyth/Getty Images)
Adottare uno slogan contro Johnson non è stato scontato per Farage, che fino a settembre aveva esitato a criticarlo, anche perché alle elezioni del 2019 in pratica ci si era alleato (aveva rinunciato a presentare candidati del suo Brexit Party nei collegi “sicuri” per i Conservatori). L’espressione è diventata così pervasiva che hanno iniziato a usarla persino i Laburisti.
Al di là delle critiche abituali, Reform ha cercato di disturbare a distanza la convention. Per esempio ha annunciato con grande enfasi la defezione di una ventina di consiglieri locali dei Conservatori, che sono in un momentaccio.
Metà dei loro membri, secondo un sondaggio dell’istituto YouGov, pensa che la nuova leader Kemi Badenoch, scelta un anno fa, non sia all’altezza. Durante la convention Badenoch ha fatto proposte che sembravano copiate a Reform, tra cui espellere 150mila persone migranti irregolari all’anno e ritirare il Regno Unito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (una fissa di Farage).
Il post della giornalista di LBC che ha segnalato l’errore, dice: «I Conservatori vogliono governare il paese… ma non sanno farne lo spelling»
Si è parlato moltissimo di un errore di stampa che probabilmente sarà ricordato più delle nuove misure annunciate dai Conservatori. Sulla confezione di una tavoletta di cioccolato distribuita alla convention c’era un refuso nella parola «Gran Bretagna». Inevitabilmente, è stata una delle prime domande fatte a tutti i dirigenti durante le interviste.
Va detto che Johnson è rimasto così popolare, influente e ascoltato nel partito, nonostante nel 2022 sia stato cacciato dal governo da una rivolta di ministri e deputati, anche perché dopo di lui i Conservatori non hanno più trovato leader altrettanto carismatici. E questo è uno dei fattori che stanno favorendo l’ascesa di Farage, molto abile invece a riempire quel vuoto tra l’elettorato di destra (e non solo di destra).
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