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  • Domenica 21 settembre 2025

Cominciano i discussi Mondiali di ciclismo in Africa

Sono i primi nel continente, ed è un bene: il problema è che li organizza il Ruanda, un paese autoritario e repressivo

Una tappa del Tour du Rwanda del 2017 (Julien Goldstein/Getty Images)
Una tappa del Tour du Rwanda del 2017 (Julien Goldstein/Getty Images)
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Il 21 settembre iniziano a Kigali, in Ruanda, i Mondiali di ciclismo su strada, che dureranno per una settimana. È un evento storico, perché per la prima volta questa competizione sarà in un paese dell’Africa, l’unico continente in cui finora non si era mai tenuta.

Dei Mondiali di quest’anno si discute soprattutto per ragioni politiche: il Ruanda è un paese governato da un regime autoritario e repressivo, presieduto dal 2000 da Paul Kagame, ed è accusato di sostenere il gruppo paramilitare dell’M23. Da tempo l’M23 combatte nell’est della vicina Repubblica Democratica del Congo contro l’esercito congolese, in una guerra che si è aggravata a partire dallo scorso gennaio e ha causato un’enorme crisi umanitaria.

Negli ultimi anni il Ruanda sta investendo molto nello sport, non tanto sulla formazione degli atleti, quanto piuttosto a livello mediatico e strategico, con le sponsorizzazioni e l’organizzazione di grandi eventi. Nel calcio si parla da tempo degli accordi con vari importanti club europei, tra cui il Paris Saint-Germain e l’Arsenal, finalizzati a pubblicizzare il turismo nel paese (con la campagna Visit Rwanda). Queste partnership sono state molto criticate soprattutto con l’intensificarsi dei combattimenti, al punto che il Bayern Monaco ha deciso infine di ripensare la sua collaborazione con il governo ruandese.

Nel ciclismo, come in altri sport, si è puntato invece sulle competizioni. Dal 2009 il Tour du Rwanda, la principale corsa a tappe locale, è passata dall’essere un evento sportivo regionale a una competizione del circuito UCI Africa Tour, che comprende le principali corse a tappe del continente. Negli ultimi anni il Tour du Rwanda è divenuto un evento rilevante, con la vittoria nel 2019 dell’eritreo Merhawi Kudus, che correva con l’importante team kazako Astana. Da allora la corsa è stata vinta spesso da ciclisti europei, come lo spagnolo Cristián Rodríguez della Total Direct Énergie, nel 2021, o l’inglese Joseph Blackmore della Israel-Premier Tech, nel 2024.

Il Tour du Rwanda del 2017 (Julien Goldstein/Getty Images)

All’edizione di quest’anno ci sono state diverse controversie, perché si è svolta tra febbraio e marzo, poche settimane dopo che l’M23 aveva preso il controllo della città congolese di Goma. Il percorso di gara passava proprio vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo, dove si combatte, e ciò ha creato timori per la sicurezza dei corridori (la terza tappa arrivava a Rubavu, a pochissimi chilometri da Goma). A causa di queste preoccupazioni, il team belga Soudal Quick-Step, uno dei più noti nel ciclismo, aveva deciso di non partecipare alla corsa.

Subito dopo il Tour du Rwanda sono stati i Mondiali di settembre a essere messi in discussione. A febbraio anche il parlamento europeo si era espresso in favore della cancellazione dell’evento, ma il presidente dell’UCI (che governa il ciclismo mondiale) David Lappartient aveva detto a Reuters che non c’era «alcun motivo per non andare in Ruanda», assicurando che uno spostamento non fosse in programma. Il Belgio è stato uno dei paesi più critici col Ruanda, tanto che a marzo il governo di Kagame ha espulso i diplomatici belgi dal paese.

Il Belgio è anche uno dei paesi storicamente più importanti nel ciclismo, per la cui nazionale corre tra gli altri Remco Evenepoel, vincitore di due medaglie d’oro olimpiche e di cinque ai Mondiali. È belga pure Golazo, la società che ha un accordo con l’UCI per l’organizzazione dei Mondiali. Nonostante la crisi diplomatica in corso, a giugno la federazione ciclistica belga ha confermato la sua partecipazione all’evento, non senza ricevere critiche. In un commento pubblicato sul quotidiano belga De Morgen, la direttrice dell’organizzazione umanitaria 11.11.11 Els Hertogen si era chiesta come fosse possibile gareggiare in Ruanda, «mentre la gente muore nel Congo orientale, le persone si devono nascondere, e le famiglie vivono nella paura».

Remco Evenepoel durante la prova a cronometro dei Mondiali vinta nel 2024 (Tim de Waele/Getty Images)

Sotto osservazione non c’è comunque solo la guerra nelle zone di confine tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, ma tutte le politiche del presidente Kagame. Da un lato è stato apprezzato da una parte dell’Occidente per le riforme economiche e sociali che ha promosso, ma dall’altro è spesso criticato e accusato di repressione del dissenso e di altre violazioni dei diritti umani. Lo scorso giugno Victoire Ingabire, una delle leader dell’opposizione ruandese, è stata arrestata con l’accusa (piuttosto pretestuosa) di aver provato a incitare una rivolta contro Kagame.

Diversi attivisti e giornalisti ritengono che i recenti investimenti del Ruanda nello sport servano a migliorare l’immagine internazionale del paese, una pratica chiamata sportswashing. Kagame non usa lo sport solo come strumento di propaganda, ma anche per consolidare la crescita economica del Ruanda, con l’obiettivo di rendere il paese una meta turistica in Africa. Delle sponsorizzazioni di Visit Rwanda nel calcio si è già detto, ma anche il ciclismo può servire a questo scopo, perché il Mondiale può dare grande visibilità internazionale al Ruanda e ai luoghi e paesaggi per cui passeranno le tappe. Per motivi simili a giugno il governo ha ufficializzato un investimento da 1,2 miliardi di dollari per organizzare anche il primo Gran Premio di Formula 1 in un paese africano dal 1993.

Lo sport è utile insomma per posizionare il Ruanda come un interlocutore delle più ricche potenze straniere e dei loro investitori. Sebbene infatti negli ultimi anni il paese abbia avuto una grossa crescita economica, alcuni studi hanno evidenziato come questa crescita sia stata sostenuta soprattutto dagli aiuti internazionali successivi al genocidio del 1994. Lo sviluppo economico resta disomogeneo, in un paese che già oggi è quello più densamente popolato dell’Africa continentale, e in cui la popolazione è in aumento. L’obiettivo di Kagame è quello di consolidare l’economia ruandese, rendendola indipendente dagli aiuti esteri.

Il presidente ruandese Paul Kagame (Hugh Kinsella Cunningham/Getty Images)

Le accuse di sportswashing non sono nemmeno una novità nel ciclismo. Nelle scorse settimane, durante la Vuelta di Spagna, si è parlato molto del team Israel-Premier Tech e dei suoi rapporti con Israele, ma esistono altri casi molto simili: la già citata Astana, la Bahrain Victorious, l’UAE Team Emirates. Proprio gli Emirati Arabi Uniti ospiteranno l’edizione 2028 del Mondiale, mentre quella del 2016 si è svolta a Doha, in Qatar.

Va considerato comunque che il ciclismo in Ruanda sta avendo un ruolo sociale spesso sottovalutato. Nel 2019 nel distretto di Bugesera è stato inaugurato il Field of Dreams, che è diventato un importante punto di riferimento per le giovani generazioni ruandesi. Ai Mondiali di quest’anno debutterà la competizione femminile Under 23, in un momento in cui il ciclismo è considerato anche uno strumento di emancipazione femminile, come raccontato da BBC Sport. Non a caso, le due figure più importanti del ciclismo ruandese oggi sono proprio due donne: Valentine Nzayisenga e Diane Ingabire.

Diane Ingabire durante la prova a cronometro alle scorse Olimpiadi di Parigi (Jared C. Tilton/Getty Images)

Un possibile boicottaggio del Mondiale «distruggerà il ciclismo africano», avvertiva lo scorso aprile Kimberly Coats, amministratrice delegata di Team Africa Rising, un’associazione creata nel 2007 per sostenere i ciclisti e le cicliste del continente. Parlando con DW, Coats ha spiegato che il ritiro di alcune squadre europee dai Mondiali avrebbe potuto rafforzare l’idea che l’Africa sia un continente “pericoloso”. Il ciclismo in Africa sta crescendo molto anche al di fuori del Ruanda, e l’UCI vorrebbe aprire nuovi centri nel continente. Aiuta senza dubbio avere un ciclista africano forte e famoso come l’eritreo Biniam Girmay, il primo ciclista nero a vincere una tappa al Tour de France.

Alla fine nessuna squadra ha deciso di rinunciare ai Mondiali. Da qualche mese nella cronaca internazionale si parla meno della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, e ciò ha senza dubbio ridimensionato le critiche verso il Ruanda. L’aspetto più sportivo potrebbe portare ulteriore favore a Kagame e all’organizzazione dell’evento: il percorso è infatti ricco di montagne e salite ripide, tradizionalmente molto apprezzate dai tifosi di ciclismo, per un dislivello complessivo di 5.475 metri su 267,5 chilometri. Gli esperti hanno già definito questa corsa come «il Mondiale più duro di sempre».