Il Ruanda è grande più o meno come la Sicilia (e ha più del doppio della popolazione della Sicilia) ed è uno dei più piccoli, più poveri e più densamente popolati stati dell’Africa. La sua storia recente è stata segnata da quello che viene unanimemente ritenuto uno dei più terribili genocidi della storia, e probabilmente il più rapido: nel 1994, in seguito all’assassinio del presidente di etnia hutu Juvénal Habyarimana, gruppi estremisti hutu massacrarono – nel giro di tre mesi, e prevalentemente a colpi di machete o a mazzate – tra 800 mila e 1 milione di ruandesi di etnia tutsi (ma anche hutu più moderati) di ogni sesso ed età. Paul Kagame era a capo delle milizie tutsi che deposero allora il governo e fermarono il massacro, e divenne prima vicepresidente – in un governo provvisorio – e poi presidente, democraticamente eletto nel 2003 e poi rieletto nel 2010. Lo scorso 16 settembre, la coalizione guidata dal Fronte Patriottico Ruandese – cioè il partito di Kagame, il cui secondo e ultimo mandato terminerà nel 2017 – ha vinto le elezioni legislative con il 76 per cento dei voti.
Pur essendo apprezzato in Occidente da autorevoli esponenti politici per le sue qualità di leader e per i recenti progressi del Ruanda in ambito economico, politico e sociale, Kagame è un leader molto controverso, spesso screditato dalla stampa e dalle organizzazioni internazionali per i suoi metodi repressivi e intimidatori, e per i suoi mai del tutto chiariti rapporti con le milizie estremiste congolesi, protagoniste di uno dei conflitti civili più sanguinari dei giorni nostri.
Jeffrey Gettleman – che è un giornalista del New York Times vincitore del premio Pulitzer nel 2012 – è andato a Kigali, la capitale del Ruanda, per intervistare Paul Kagame, e in un lungo articolo per il supplemento domenicale del NYT ha poi messo insieme tutto quello che si sa e che si dice sul conto di Kagame.
Chi è Kagame?
Paul Kagame ha 55 anni. È nato in una famiglia tutsi ed è cresciuto in Uganda, in un rifugio per le vittime dei conflitti etnici: i tutsi furono uccisi a migliaia o costretti alla fuga nel 1959, quando la maggioranza etnica hutu salì al potere dopo secoli di monarchia tutsi. A Gettleman Kagame ha raccontato che la sua “coscienza politica” nacque quando aveva dodici anni e viveva ancora nel campo in Uganda, e chiese al padre: «perché siamo dei rifugiati? perché siamo qui? che abbiamo fatto di male?». Kagame si unì a un gruppo di ribelli in Uganda, e poi – dopo aver frequentato per un breve periodo una scuola militare di Fort Leavenworth, in Kansas (Stati Uniti) – tornò in Ruanda nel 1990 e si mise a capo delle milizie tutsi che nel 1994 fermarono il genocidio e sovvertirono il governo hutu.
Gettleman descrive Kagame come un tipo austero, “stoico” e preciso: è fissato con le nuove tecnologie, ha un account Twitter, e sembra «meno interessato alle ideologie e molto più interessato a far funzionare le cose». Solitamente resta sveglio fino alle due o alle tre del mattino a sfogliare i numeri arretrati dell’Economist o a studiare nuovi piani per risollevare i villaggi periferici e arretrati del Ruanda, per i quali il governo riceve annualmente miliardi di dollari di donazioni da molti paesi occidentali.
La reputazione internazionale di Kagame
Kagame partecipa da anni al World Economic Forum di Davos (l’incontro annuale tra leader sui temi di economia e finanza), è amico di personaggi celebri come Bill Gates e Bono Vox, è stimato e rispettato da politici illustri come l’ex primo ministro britannico Tony Blair, che una volta lo definì un grande «leader visionario». Nel 2009 ha ricevuto un premio dalla Clinton Global Initiative, la fondazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che lo considera «uno dei più grandi leader dei nostri tempi» e che, in occasione di quella premiazione, disse di Kagame: «ha liberato il cuore e la mente del suo popolo».
(La visita di Paul Kagame in Francia)
Se paragonato a molti altri presidenti africani, scrive il New York Times, Kagame appare certamente un leader migliore di Robert Mugabe, che ha portato al dissesto un paese prosperoso come lo Zimbabwe, o di Joseph Kabila, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, che «si dice trascorra il tempo giocando ai videogame, mentre il paese cade a pezzi».
I meriti del governo Kagame
Tra i meriti largamente riconosciuti a Kagame c’è quello della lotta alla povertà. Pur essendo ancora un paese molto povero (un cittadino ruandese vive mediamente con circa un euro al giorno), il Ruanda lo è meno che in passato: l’economia è cresciuta mediamente dell’otto per cento ogni anno, negli ultimi cinque anni. Durante il governo Kagame la mortalità infantile si è ridotta del 70 per cento, e lo stesso Kagame ha promosso in Ruanda un programma di assistenza sanitaria che molti esperti in Occidente – ricorda il NYT – consideravano una misura non attuabile negli stati africani poveri. Dal 2005 al 2011 le morti causate dalla malaria sono scese dell’85 per cento, e l’aspettativa di vita è oggi di 56 anni, contro i 36 del 1994.
Kagame ha anche fatto installare reti a fibra ottica, investito in fonti di energia ecosostenibili, costruito centinaia di nuove scuole. «In uno stato povero e analfabeta le persone rimangono esposte a ogni genere di manipolazione, ed è così che noi abbiamo vissuto», disse Kagame a Chris McGreal, in una conversazione per un lungo articolo dello scorso maggio, sul Guardian: «ed è più facile raccontare a una persona povera: sai cosa? se sei povero e sei affamato è perché quell’altro ha portato via i tuoi diritti».
Nel corso degli anni, Kagame si è inoltre impegnato molto a favore della presenza delle donne in politica, e oggi il Ruanda ha la percentuale di donne in parlamento più alta di tutta l’Africa. Ma molti estimatori di Kagame gli riconoscono soprattutto il merito di aver progressivamente dissipato le rivalità etniche che innescarono il genocidio del 1994 in Ruanda e che ancora oggi sono alla base di altre guerre civili nel resto del continente.
In un articolo di febbraio 2012, L’Economist paragonò il Ruanda alla Repubblica di Singapore in riferimento ai recenti progressi in ambito economico e, in genere, all’atipicità del Ruanda rispetto agli stati africani confinanti. Pur lodando l’impegno del governo contro la corruzione, l’Economist sottolineava però le profonde contraddizioni interne del Ruanda e dipingeva Kagame come una figura molto ambigua, peraltro temutissima dai suoi avversari politici.
Kigali e i “centri di riabilitazione”
Gettleman dice di essere rimasto particolarmente impressionato dall’ordine e dalla pulizia delle strade di Kigali, e che tutto questo è tanto più straordinario se si considera che il Ruanda è ancora una delle nazioni più povere al mondo. A Kigali, scrive il New York Times, i quartieri degradati non esistono perché il governo non lo permette: vagabondi, venditori ambulanti e piccoli delinquenti di strada sono stati inseriti in un piano di “rieducazione” lanciato nel 2010.
Alcuni di loro, a seconda dei casi, vengono trasferiti in un “centro di riabilitazione” nell’isola di Iwawa, al centro del lago Kivu, che alcune autorità chiamano scherzosamente le Hawaii e che alcuni ruandesi chiamano Alcatraz. In passato i familiari di alcuni ragazzi deportati a Iwawa hanno denunciato le cattive condizioni – in particolare la cattiva alimentazione – dei ragazzi nel centro di recupero.