Il Green Deal europeo non è più quello di una volta

La Commissione ha ripensato molte misure per l'ambiente, su pressione dei Popolari e dell'estrema destra

Ursula von der Leyen a una conferenza per il Green Deal Industrial Plan, nel 2023
Ursula von der Leyen a una conferenza per il Green Deal Industrial Plan, nel 2023 (EPA/STEPHANIE LECOCQ)
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Nei suoi primi sette mesi di mandato la Commissione Europea ha ridimensionato, eliminato o modificato vari pezzi del Green Deal, l’ambizioso insieme di leggi sul clima approvato nella scorsa legislatura e da sempre molto dibattuto. Era una delle misure simbolo del primo mandato della presidente della Commissione Ursula von der Leyen: è stata rieletta e quindi è ancora in carica, ma intanto sono cambiati il contesto politico e gli equilibri. Con le elezioni europee dello scorso giugno sia il Parlamento Europeo sia la Commissione si sono spostati a destra, e quindi è aumentata la rappresentazione di partiti più ostili alle misure ambientaliste. Il risultato è un Green Deal più annacquato.

In molti casi von der Leyen ha acconsentito o comunque non si è opposta alle modifiche per compiacere il suo partito, il Partito Popolare Europeo (PPE), il principale di centrodestra e quello più rappresentato in Parlamento. È successo anche in queste settimane con una proposta di direttiva contro il cosiddetto “greenwashing”, la pratica con cui un’azienda o un’organizzazione si mostra come attenta all’impatto delle proprie attività sull’ambiente, senza però affrontare davvero i problemi di cui è responsabile.

La direttiva in questione si chiama Green Claims: in sintesi vieterebbe alle aziende di farsi pubblicità – per esempio dire che un imballaggio è fatto con una certa percentuale di plastica riciclata – con informazioni che non siano verificate prima, introducendo anche la possibilità di controlli.

L'aula del Parlamento Europeo viene preparata per la plenaria del 16 giugno a Strasburgo, in Francia

L’aula del Parlamento Europeo viene preparata per la plenaria del 16 giugno a Strasburgo, in Francia (EPA/RONALD WITTEK)

Le polemiche sono iniziate venerdì scorso, quando una portavoce della Commissione ha detto che la direttiva sarebbe stata ritirata. Si è allargato perché i Socialisti (S&D, il principale gruppo di centrosinistra) hanno minacciato di uscire dalla maggioranza di von der Leyen. Secondo loro la direttiva sul greenwashing sarebbe stata l’ennesima misura sacrificata dalla presidente per fare una concessione al suo partito: due giorni prima dell’annuncio infatti il PPE le aveva chiesto di cancellarla.

Alla fine la Commissione ha fatto marcia indietro, smentendo di volerla revocare, e la crisi è rientrata. Comunque la direttiva ha poche possibilità di venire approvata perché nel frattempo il governo italiano si è detto contrario, facendo mancare il sostegno necessario per approvarla, e ha chiesto che venga garantita un’esenzione per le piccole imprese.

In sette mesi, tra le altre cose, la Commissione ha rinviato di un anno l’applicazione di una legge contro la deforestazione, ha dato due anni in più alle aziende automobilistiche per adeguarsi agli obiettivi sulla riduzione delle emissioni inquinanti e ha declassato lo status dei lupi come specie protetta (un tema a cui von der Leyen è particolarmente sensibile dopo che nel 2022 un lupo uccise il suo pony). Nel contesto del suo piano per il riarmo, inoltre, la Commissione ha approvato la possibilità di investire per la difesa i fondi del Recovery Fund pensato per la ripresa economica dopo la pandemia, equiparando la spesa militare agli obiettivi originari di contrasto al cambiamento climatico e di digitalizzazione.

Come detto la ragione di questa marcia indietro sul clima è che è cambiata la maggioranza di von der Leyen e che la principale forza di quella maggioranza, il PPE della presidente, ha iniziato sempre più spesso a sganciarsi dagli altri gruppi europeisti per votare insieme alla destra e all’estrema destra.

Rispetto allo scorso mandato un grosso pezzo del PPE, a partire dal suo presidente Manfred Weber, ha iniziato a considerare il gruppo di estrema destra dei Conservatori e Riformisti (ECR) un partner credibile con cui allearsi, a discapito dei Verdi che ci avevano sperato a inizio legislatura. ECR peraltro è rappresentato nella Commissione, dove ha espresso per la prima volta un vicepresidente (l’italiano Raffaele Fitto, di Fratelli d’Italia).

Manfred Weber al congresso del PPE, lo scorso 30 aprile a Valencia

Manfred Weber al congresso del PPE, lo scorso 30 aprile a Valencia (EPA/Kai Foersterling)

L’avvicinamento tra PPE ed ECR è avvenuto in più tappe. Nella scorsa legislatura era stato indicativo – anche di un diverso approccio sul Green Deal – il tentativo del PPE di far naufragare la Nature Restoration Law. Alla fine questo discusso regolamento a tutela dell’ambiente era stato approvato, anche se in forma meno ambiziosa.

Weber non si è fatto problemi a far votare il PPE insieme a ECR e ad altri gruppi di estrema destra, come i Patrioti per l’Europa (quello del primo ministro ungherese Viktor Orbán) e Europe of Sovereign Nations (quello del tedesco Alternative für Deutschland), con l’obiettivo di affossare pezzi delle leggi di tutela dell’ambiente. Il PPE lo fa perché ritiene eccessivi o ideologici alcuni aspetti del Green Deal, che pure aveva sostenuto durante la scorsa legislatura.

La tattica è presentarsi come il gruppo che difende l’industria e gli agricoltori, in una fase in cui molti dei partiti nazionali che fanno parte del PPE hanno meno consensi di un tempo. Weber sostiene che questa tattica serva a contenere l’estrema destra, sfilandole l’arma retorica di demonizzare i provvedimenti contro il cambiamento climatico. In una recente intervista a Euractiv, Weber ha in pratica tacciato S&D e Renew Europe (un gruppo liberale che fa parte della maggioranza) di essere scollati dalla realtà, dicendo che «la porta è sempre aperta» per collaborare purché adottino un atteggiamento, secondo lui, più pragmatico. Gli altri due gruppi lo accusano di fare il gioco della destra.

Ursula von der Leyen durante una conferenza stampa del febbraio del 2023

Ursula von der Leyen durante una conferenza stampa del febbraio del 2023 (EPA/STEPHANIE LECOCQ)

Il PPE ha anche acconsentito all’istituzione di una commissione, voluta da ECR e dai Patrioti, per revisionare i fondi che la Commissione dà alle ong per la tutela dell’ambiente. La destra vorrebbe eliminarli, nonostante abbiano un peso minuscolo: 15,6 milioni di euro all’anno, lo 0,006 per cento del budget. La cosa priverebbe una trentina di ong del 70 per cento delle loro entrate, mettendo a rischio la loro sopravvivenza.

La settimana scorsa il gruppo della Sinistra (GUE/NGL) ha addirittura accusato von der Leyen di aver «ucciso» il Green Deal per concentrarsi sul Clean Industrial Deal, il nuovo contenitore in cui la presidente ha collocato il piano per ridurre del 90 per cento le emissioni inquinanti dell’Unione Europea entro il 2050 (è sparito il termine “green” e la transizione energetica viene presentata soprattutto come un’opportunità economica).

Secondo il sito Politico Europe l’obiettivo di von der Leyen, in questa fase, è soprattutto salvare i fondamentali del Green Deal, facendo concessioni al suo partito europeo su aspetti che reputa meno importanti rispetto all’obiettivo a lungo termine: portare l’Unione Europea alla neutralità carbonica. Von der Leyen, infatti, è condizionata dall’atteggiamento del PPE, che periodicamente prospetta la possibilità di costruire una maggioranza alternativa più a destra. Come visto però queste concessioni sono già state numerose e siamo solo all’inizio del mandato.

– Leggi anche: Il compromesso sulla nuova Commissione Europea, a destra