Cosa ci dice sul tax credit il fatto che l’abbia ricevuto il film del sospettato di Villa Pamphili

Francis Kaufmann riuscì a truffare lo Stato e a ottenere 836mila euro, ma nonostante i problemi il sistema ha aiutato il cinema e l'economia in Italia

La polizia sulla scena del crimine a Villa Pamphili a Roma. (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
La polizia sulla scena del crimine a Villa Pamphili a Roma. (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
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Open ha rivelato ieri che Francis Kaufmann, l’uomo indagato per l’omicidio della bambina che sostiene essere sua figlia e per l’occultamento del cadavere della compagna nel parco di Villa Pamphili a Roma, aveva beneficiato del tax credit, cioè uno sgravio fiscale concesso dallo Stato per la realizzazione di un film. Open ha potuto verificare con il ministero che Kaufmann ne fece richiesta nel 2021 e che gli fu effettivamente concessa un’agevolazione pari a 836mila euro per il film Stelle della notte, di cui si era presentato come produttore.

La richiesta era stata presentata con documenti falsi e usando identità fittizie, e secondo quanto scritto da Open il film non sarebbe mai stato realizzato: il direttore generale Cinema del ministero della Cultura sostiene però di averne visto degli spezzoni, come prevedeva la legge nel caso di film stranieri girati in Italia. Ciononostante lo Stato assegnò comunque a Kaufmann il tax credit, per via di un buco normativo (ci arriviamo). Non è certo che lui abbia riscosso quei soldi, che erano stati corrisposti sotto forma di un credito a una banca. In pratica, significa che lo stato concede uno sconto sulle tasse come forma di finanziamento al film. Chi riceve questo sconto può o scalarlo dalle proprie tasse a fine anno o cederlo a una banca (che lo recupera a sua volta scalandolo dalle proprie tasse), la quale in cambio corrisponde una cifra equivalente in denaro. Nel caso di Kaufmann è stato ceduto a una banca ma non è noto se poi abbia incassato i soldi.

Lo scandalo suscitato dalla scoperta che una persona sospettata di omicidio abbia beneficiato di un’agevolazione fiscale truffando lo stato italiano ha fatto riparlare con toni polemici del sistema del tax credit, presentato in certi casi come un meccanismo che regala soldi dello stato a chiunque dica di voler fare dei film. Tecnicamente però non si tratta di questo, anche se l’erogazione del credito a Kaufmann è l’ennesima dimostrazione che il tax credit aveva grossi problemi e che ci furono casi anche plateali in cui fu ottenuto impropriamente. La cifra corrisposta a Kaufmann è molto alta, ma rischia di essere considerata senza il contesto più generale dei benefici su scale molto maggiori che il tax credit internazionale ha dato all’economia italiana e al settore del cinema.

Il tax credit è una misura di incentivo alla spesa che esiste da decenni, fu attivata in Italia negli anni Duemila ma potenziata significativamente dal ministro Dario Franceschini con la legge sul cinema del 2016. Viene definito un incentivo alla spesa perché non può essere ottenuto senza spendere dei soldi. È previsto infatti che il ministero della Cultura conceda un credito fiscale a fronte del fatto che la produzione ne spenda l’equivalente attraverso fondi privati o altre forme di investimento.

La legge prevede un tax credit per i film italiani e uno specifico, con regole di accesso diverse, dedicato ai film stranieri che vengono a girare in Italia. Il principio, in questo secondo caso, non è solo il finanziamento di opere di interesse culturale e la promozione dell’Italia all’estero, ma anche un più diretto incentivo a spendere soldi sul territorio italiano. Il tax credit internazionale è oggi un settore ad altissima competizione in Europa e i paesi con il tax credit più vantaggioso sono quelli che attirano più produzioni.

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La richiesta di tax credit portata avanti dalla società che faceva capo a Francis Kaufmann è stata presentata attraverso una società italiana che si occupa di questo tipo di intermediazioni, cioè che aiuta produzioni straniere a muoversi nella burocrazia italiana: Coevolutions (sul suo sito elenca tra i propri clienti anche la produzione del film EO di Jerzy Skolimowski, passato in concorso a Cannes nel 2022 e parzialmente girato in Italia). Il regista del film avrebbe dovuto essere Rexal Ford, una delle identità fittizie di Kaufmann, e il passaporto fornito al momento della richiesta era falso. Con il nome Rexal Ford, Kaufmann risulta peraltro produttore o regista di diversi film.

Il buco normativo che fu sfruttato da Kaufmann era relativo alla necessità di comprovare le spese sostenute. In quel momento la norma prevedeva che fossero presentati un progetto definito del film e la necessaria revisione contabile dei costi, ma non una copia del materiale già girato che provasse che le cifre riportate nella revisione contabile fossero state effettivamente spese. Grazie a questa lacuna normativa, Kaufmann ottenne il credito.

Dal 2017 al 2024, periodo in cui la legge Franceschini fu in vigore, l’Italia fu uno dei paesi con il tax credit più conveniente di tutta Europa, concesso prima per il 30% e poi per il 40% delle spese sostenute sul territorio. Questo, unito alle capacità riconosciute delle maestranze italiane, ha fatto sì che in quei sette anni sia stata girata in Italia una grandissima quantità di film stranieri di tutte le dimensioni. I più noti sono stati quelli americani: due volte Mission: Impossible a Venezia e Roma, poi i film della serie 007 Spectre e No Time to Die, La sirenetta della Disney in Sardegna, Indiana Jones e il quadrante del destino in Sicilia, The Equalizer 3 in Campania, la seconda stagione di The White Lotus a Taormina, La vita nascosta di Terrence Malick in Alto Adige, John Wick 2, Zoolander 2, Fast & Furious X a Roma, la serie The Morning Show e molti altri.

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Sono i casi più grossi, ma esiste una grande quantità di film stranieri attirati dal tax credit italiano. Film di cui sappiamo poco, che a volte non escono nemmeno in Italia perché non sono così grossi o non avrebbero mercato, ma che girano nei loro paesi e altrove. Ne sono un esempio Love & Gelato, commedia romantica d’ambientazione italiana, o il film di calcio e buoni sentimenti The Beautiful Game, distribuito su Netflix.

La questione del tax credit è così economicamente rilevante e gli investimenti che attira (e quindi sottrae ad altri) sono talmente grandi che qualche anno fa ci fu tutto un caso intorno a Emily in Paris, una delle serie con il giro d’affari più grande, solitamente ambientata a Parigi. Quando venne invece a girare una parte dei suoi episodi in Italia, il presidente francese Emmanuel Macron ritenne di esprimersi per chiedere che fosse solo temporaneo e che quella produzione milionaria non decidesse di cambiare ambientazione. E anche Hollywood sta da diversi anni soffrendo l’ammanco economico dei troppi film che si girano fuori dagli Stati Uniti, tanto che le produzioni americane all’estero entrarono per qualche ora nell’interesse del presidente Trump, che minacciò dazi del 100% per film fatti al di fuori degli Stati Uniti.

Quando queste produzioni internazionali vengono in Italia beneficiano di cifre molto grandi dal tax credit italiano, ben più di quella concessa a Stelle nella notte, perché spendono altrettanto in maestranze locali, ma anche in noleggio attrezzature, hotel, catering, costumi, servizi di trasporto, interpreti, assistenti, materiali per la costruzione di scenografie, e così via. Anche senza calcolare l’indotto secondario, cioè l’aumento di turismo nelle località in cui si girano i film più famosi, il tax credit cinematografico internazionale (ma anche quello nazionale, che funziona alla stessa maniera solo con regole d’accesso diverse) è un giro d’affari che secondo le stime di Cassa depositi e prestiti frutta più di tre euro per ogni euro investito.

Il problema con il tax credit è arrivato quando, per effetto delle misure di contenimento dell’epidemia da COVID-19, fu applicato il distanziamento personale in tutta Italia e i test COVID sui set dovevano essere continui. Questo rese le lavorazioni di film e serie più complicate, a fronte di incassi previsti minori. Il distanziamento personale infatti era previsto anche nelle sale cinematografiche, quindi si vendevano meno biglietti. A questo si univano il timore del contagio e la disabitudine ad andare al cinema dovuta ai lunghi lockdown. I film quindi costavano di più e potenzialmente incassavano meno.

Per questa ragione la direzione Cinema del ministero della Cultura cambiò alcune delle regole di accesso al tax credit, rendendolo più facile, altrimenti nessuna produzione si sarebbe qualificata in quegli anni, l’industria cinematografica non sarebbe potuta ripartire e con essa non sarebbero ripartiti gli investimenti che girare un film comporta. A detta di tutti gli operatori del settore queste modifiche non furono pensate bene e comportarono, negli anni successivi, diversi usi scorretti del tax credit. La produzione di Stelle della notte ne è un esempio: fu proprio grazie a quelle lacune normative che poté truffare lo stato e ottenere il credito con tanta facilità.

La destra prima all’opposizione e poi al governo ha spesso usato questi problemi per attaccare l’intero settore cinematografico e l’idea dei fondi pubblici. Dopo l’articolo di Open, il ministro della Cultura Alessandro Giuli è intervenuto sulla questione, rilanciando la narrazione sugli sprechi del cinema italiano. Già il suo predecessore, Gennaro Sangiuliano, aveva prima bloccato per quasi un anno i fondi pubblici (di fatto fermando un intero settore produttivo) e poi fatto uscire una modifica molto pesante e molto criticata alla legge. Un gruppo di produttori danneggiati dalle nuove regole si rivolse al TAR del Lazio, che diede loro ragione. La cosa ha spinto il ministero, poche settimane fa, a modificare nuovamente le regole.

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I produttori italiani riconoscono che ci sono stati degli abusi e già dal 2023 avevano chiesto un aggiustamento della normativa per impedire che i fondi andassero a produzioni che non sono tali o che girano film che poi non vengono distribuiti. Però il tax credit ha fatto molto più bene di quanto abbia danneggiato il settore, e non solo per l’indotto economico, ma perché ha migliorato nettamente il cinema italiano. Dovendo spendere in Italia i soldi del finanziamento, le produzioni straniere usano troupe italiane e le stesse società o le stesse persone che lavorano a grandi o medi film americani sono quelle che poi lavorano ai film italiani. Ciò che fanno e imparano riguardo al mestiere, o la maniera in cui sono costretti ad aggiornarsi anche tecnologicamente per le produzioni straniere, migliora il loro lavoro ai film italiani, che infatti tecnicamente in questi ultimi sette anni hanno fatto grandi passi in avanti.

Già con le modifiche del ministro Sangiuliano quell’era di grandissima capacità attrattiva dell’Italia è finita, e Alessandro Giuli non sembra aver riportato le cose come prima. Molte produzioni internazionali continuano a venire in Italia a girare, ma solo quando è richiesto dalla trama, mentre prima inserivano a forza location o personaggi italiani pur di poter girare nel paese con il tax credit più conveniente.