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  • Mercoledì 21 maggio 2025

Da dove arriva la teoria di un “genocidio dei bianchi” in Sudafrica

La sostiene da tempo la destra statunitense, ed è falsa

Sudafricani bianchi in una manifestazione all'esterno dell'ambasciata statunitense a Pretoria, in Sudafrica (Joao Silva/The New York Times/contrasto)
Sudafricani bianchi in una manifestazione all'esterno dell'ambasciata statunitense a Pretoria, in Sudafrica (Joao Silva/The New York Times/contrasto)
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Mercoledì alla Casa Bianca c’è stato un incontro tra due leader politici che negli ultimi tempi hanno avuto un rapporto piuttosto conflittuale: Donald Trump e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, che è anche leader dell’African National Congress, il partito che fu di Nelson Mandela e che è simbolo della lotta alle politiche segregazioniste in Sudafrica. L’incontro, che era iniziato con toni concilianti, è diventato dopo poco l’occasione per Trump di attaccare duramente Ramaphosa e sostenere le sue tesi riguardo alle presunte discriminazioni delle persone bianche in Sudafrica.

Nell’ultimo periodo tra i due presidenti c’era stata tensione per la decisione dell’amministrazione Trump di concedere lo status di rifugiati politici agli afrikaner, parte della minoranza bianca sudafricana. Trump e la destra statunitense da tempo sostengono che in Sudafrica sia in corso un «genocidio dei bianchi», che sarebbero minacciati dal governo e dalla maggioranza nera: lunedì 12 maggio i primi 59 afrikaner erano stati accolti negli Stati Uniti.

Quest’accusa è sostenuta solo negli ambienti della destra statunitense (la porta avanti da tempo Elon Musk, che è sudafricano): nessun partito o organizzazione sudafricana ha mai parlato di «genocidio», nemmeno quelli che rappresentano la minoranza bianca e gli afrikaner.

Trump ha fatto esplicito riferimento a un «grande numero di agricoltori che sono stati brutalmente uccisi», accusa che non ha alcun fondamento se si guardano i dati. Ha inoltre detto che agli agricoltori bianchi è stato «confiscato il terreno»: qui il riferimento è una legge approvata dal governo di Ramaphosa che prevede l’espropriazione dei terreni agricoli, in alcuni casi senza indennizzo per i proprietari. La narrazione della destra americana però si allontana parecchio dalla realtà dei fatti.

Durante l’incontro di mercoledì nello studio ovale della Casa Bianca, poi, una giornalista ha chiesto a Trump cosa ci vorrebbe «per convincerlo che non esiste nessun genocidio dei bianchi in Sudafrica»: Trump ha risposto chiedendo al suo staff di mostrare ai presenti, incluso Ramaphosa, l’estratto di un documentario in cui si vedono alcuni politici sudafricani all’opposizione cantare una canzone in cui si incita a «sparare ai boeri» (significa agricoltori ed è un modo di riferirsi agli afrikaner). Ramaphosa ha risposto che quelle canzoni non rispecchiano le politiche del governo.

L’arrivo dei rifugiati sudafricani negli Stati Uniti (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)

Ha poi fatto riferimento a quello che starebbe succedendo in Sudafrica contro i bianchi chiamandolo una «sorta di apartheid al contrario» e ha alluso a delle fosse comuni di persone bianche, che sarebbero sparse nel paese.

Gli afrikaner sono i discendenti dei colonizzatori europei arrivati nell’attuale Sudafrica alla metà del Diciassettesimo secolo: circa un terzo era olandese, quasi altrettanti tedeschi, il 13 per cento francese. Formarono un gruppo culturale unico, che parla l’afrikaans, simile all’olandese. Sono noti anche come boeri, appunto, le cui principali occupazioni furono quelle dell’agricoltura e della pastorizia, su terre che spesso venivano tolte alla popolazione nera locale. Una legge del 1913 riservava ai neri solo il 7 per cento delle terre.

Dal 1948 il governo del Sudafrica guidato dagli afrikaner introdusse l’apartheid, una politica di rigida e continua segregazione razziale che teneva la maggioranza nera in una posizione subordinata, precludendole l’accesso ai migliori lavori, a ogni incarico di potere e all’istruzione di alto livello (fra le altre cose).

Agricoltori alla fiera agricola Nampo a Bothaville, Sudafrica (AP Photo/Jerome Delay)

L’apartheid finì nel 1994, ma il Sudafrica oggi resta un paese profondamente diseguale: gli afrikaner sono poco più del 7 per cento della popolazione totale ma occupano oltre il 60 per cento dei ruoli dirigenziali e possiedono più del 70 per cento delle terre del paese. Alcune delle politiche dei governi dell’African National Congress (ANC), partito che governa ininterrottamente dal 1994, sono definite di affirmative action: dovrebbero cioè servire a ristabilire un regime di equità.

Vanno in questa direzione le leggi di “potenziamento economico” ed “equità nelle assunzioni” che tendono a privilegiare i gruppi sociali ed etnici meno rappresentati. Sono però criticate dalla minoranza bianca, che si definisce “discriminata” e che denuncia casi di corruzione e clientelismo.

Peraltro dallo scorso giugno e per la prima volta dalla fine dell’apartheid l’ANC di Ramaphosa governa in coalizione con un partito espressione della minoranza bianca, la Democratic Alliance (DA), di centrodestra e liberista. La Democratic Alliance ha talvolta criticato le misure di equità: ha ricorso in tribunale per quella relativa alle assunzioni, sostenendo che aumentasse il numero di «persone marginalizzate nella nostra economia».

A gennaio è stata inoltre approvata la legge d’Espropriazione, che riguarda i terreni agricoli: la legge prevede che possano essere espropriati terreni inutilizzati o in cui non sono previsti progetti di sviluppo, e che questo possa avvenire solo per «l’interesse pubblico». In alcuni casi l’esproprio può avvenire senza indennizzo, ma solo dopo che sono stati «fatti tentativi di raggiungere un accordo con il proprietario». Finora non sono stati realizzati espropri, a differenza di quanto sostenuto dall’amministrazione Trump.

Anche le accuse delle violenze e uccisioni di contadini non trovano riscontro nei dati reali. In un paese che ha registrato 6.953 omicidi fra ottobre e dicembre del 2024, quelli avvenuti in ambienti agricoli sono stati 12: una delle persone uccise era un proprietario agricolo, cinque erano residenti nella fattoria, quattro erano dipendenti, molto probabilmente neri. Il Sudafrica non raccoglie infatti statistiche sugli omicidi in base al gruppo etnico di appartenenza.

Anche ampliando il periodo in considerazione, fra l’aprile del 2020 e il marzo del 2024 gli omicidi in zone agricole sono stati 225: 101 di dipendenti (statisticamente quasi tutti neri), 53 fra i proprietari agricoli (bianchi).

Le accuse di “omicidi di massa” sono perlopiù nate e circolate online, partendo da notizie false. La destra americana ha portato come esempio dell’incitazione alla violenza anche la canzone spesso cantata ai comizi dell’Economic Freedom Fighters (EFF), partito filo-marxista e anticapitalista guidato da Julius Malema. Il partito EFF non fa parte del governo e “Kill the boer, kill the farmer”, cioè “uccidi il boero”, è una vecchia canzone anti-apartheid. Alcuni giudici sudafricani chiamati a pronunciarsi sulla questione hanno detto che non può essere «presa alla lettera», ma è molto circolata nei canali social legati alla destra come prova del mito del «genocidio dei bianchi».

Alcuni dei primi afrikaner arrivati negli Stati Uniti hanno detto di aver ricevuto minacce di morte sui social e su Whatsapp. Il governo statunitense ha detto che sono arrivate 8.000 richieste di informazioni su un possibile trasferimento dal Sudafrica, su una popolazione di afrikaner di circa 2 milioni e mezzo.