Il governo italiano è in confusione sulle questioni europee

E per questo è rimasto isolato: sia sul piano di riarmo, sia sul PNRR, sia sul MES

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e l'ex ministro degli Affari europei, ora Commissario europeo, Raffaele Fitto, a Palazzo Chigi, il 16 febbraio 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e l'ex ministro degli Affari europei, ora Commissario europeo, Raffaele Fitto, a Palazzo Chigi, il 16 febbraio 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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In questi giorni c’è grande attenzione mediatica sull’apparente isolamento dell’Italia nella politica internazionale, e sulle divisioni che di conseguenza stanno emergendo nel governo. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha commentato in modo risentito la mancata partecipazione di Giorgia Meloni al viaggio in Ucraina compiuto sabato scorso da Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e Donald Tusk («Perché Meloni non c’era? Chiedetelo a lei», ha detto), e ha segnalato i rischi che si corrono a non essere coinvolti nelle discussioni più importanti sulla guerra in Ucraina, come quelle avute dal segretario di Stato americano Marco Rubio coi principali ministri degli Esteri europei, senza l’Italia.

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Ma negli stessi giorni il governo italiano si è distinto per isolamento e per mancanza di compattezza anche sui temi finanziari. Lunedì e martedì i ministri dell’Economia e delle Finanze dell’Unione europea e dell’area dell’euro si sono incontrati a Bruxelles per le riunioni dell’Ecofin e dell’Eurogruppo. In entrambe l’Italia si è trovata un po’ ai margini, avanzando proposte che hanno raccolto scarso o nessun consenso e che hanno anzi in parte indisposto la Commissione europea. Il tutto ancora una volta ha fatto emergere grosse divergenze tra i partiti di governo.

Martedì, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, della Lega, ha proposto formalmente una misura che suggerisce da oltre un anno in modo più o meno esplicito: il rinvio della scadenza dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (il PNRR), finanziato coi fondi europei del Next Generation EU. Tutti gli obiettivi inseriti nel Piano dovranno essere completati entro agosto del 2026, e i paesi ritardatari rischiano concretamente di non ricevere una parte delle sovvenzioni e dei prestiti europei per i progetti non ultimati.

Davanti ai suoi colleghi europei, Giorgetti ha suggerito di rinviare questa scadenza: cosa che consentirebbe peraltro, secondo un ragionamento finora non del tutto esplicitato dal ministro, di reindirizzare una parte dei fondi verso i progetti connessi al piano di difesa comune europea (il ReArm Europe, poi rinominato Readiness 2030). Il governo italiano è infatti contrario a finanziare il riarmo attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla Commissione, perché prevedono tutti sostanzialmente il ricorso a prestiti e non a sovvenzioni: si tratta insomma di risorse che gli Stati membri dovranno poi restituire, pagando degli interessi.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni incontra la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Bruxelles, il 20 dicembre 2024 (Filippo Attili/LaPresse)

Sono prestiti più vantaggiosi rispetto a quelli a cui l’Italia ricorre con la vendita dei titoli di Stato, ma aumenterebbero in ogni caso la mole già enorme dell’indebitamento pubblico italiano, tra i più alti del mondo occidentale. Ed è per questo che il governo ha deciso di non farne uso, contraddicendo un po’ sé stesso e la sua propaganda, dopo aver a lungo e in modo perentorio chiesto che la Commissione adottasse questi strumenti.

Da qui nasce l’idea di Giorgetti: utilizzare in parte i fondi stanziati per il PNRR, che sono in una certa misura sovvenzioni che non andranno restituite, e dunque non gravano sul bilancio dello Stato. Per dirottare queste risorse sui progetti per la difesa, però, c’è bisogno che vengano rese disponibili dalla Commissione oltre l’agosto del 2026.

Questo consentirebbe al governo di risolvere un problema sempre più consistente: e cioè il fatto che le spese previste per il PNRR sono in grosso ritardo per complicazioni e lungaggini burocratiche nella fase di attuazione del piano (i cantieri che non vengono avviati; le materie prime che non si trovano o che costano più del previsto; le autorizzazioni degli enti pubblici che vengono concesse con troppa lentezza, eccetera). Finanziare progetti nel settore della difesa garantirebbe un “tiraggio”, come si chiama in gergo la facilità di spesa, maggiore di altri progetti legati all’edilizia pubblica, alle infrastrutture o alla pubblica amministrazione. Insomma: il governo prova così a risolvere due problemi in un colpo solo.

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La Commissione è parsa subito molto scettica sull’ipotesi di prolungare la scadenza del PNRR. Il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis, nella conferenza stampa al termine dell’Ecofin, ha spiegato che la Commissione ha «ricordato agli Stati membri, ancora una volta, che la scadenza legale per tutti gli obiettivi resta l’agosto 2026, e ciò significa che restano ancora circa 15 mesi per avanzare tutte le consistenti richieste di pagamento».

Dombrovskis ha poi spiegato che la possibilità di utilizzare i fondi del Next Generation EU per finanziare il piano di riarmo era stata già valutata, e scartata, dalla Commissione per motivi sia tecnici sia politici e finanziari. Non risulta d’altronde che altri ministri abbiano sostenuto la proposta di Giorgetti. A precisa domanda su questo punto, lo staff del ministro dell’Economia non ha dato risposta. Del resto la posizione di Giorgetti ha poco sèguito non solo in Europa, ma anche all’interno dello stesso governo italiano, e non da oggi.

È almeno dall’aprile del 2024 che va avanti un costante contraddittorio tra Giorgetti e Raffaele Fitto. All’epoca Fitto era ministro per gli Affari europei, e principale responsabile dell’attuazione del PNRR: ogni volta che Giorgetti prefigurava una proroga, lui replicava che no, non c’era alcuna possibilità di ottenerla. Se ne discusse in più di un’occasione anche in riunioni di governo: Giorgetti tendeva a dire che al di là delle regole sarebbe diventato necessario anche per altri paesi un prolungamento della durata del Next Generation EU; Fitto rispondeva dicendo che i paesi del Nord Europa non avrebbero mai concesso una proroga, visto che già avevano accettato a fatica il piano nel suo complesso.

Soprattutto non avrebbero mai consentito di concederla all’Italia, cioè il paese che aveva beneficiato in misura di gran lunga maggiore delle risorse del Next Generation EU. Una tesi di compromesso suggerita a un certo punto da Giorgia Meloni era che l’Italia avrebbe dovuto aspettare che altri paesi avanzassero la richiesta di una proroga, per poi sostenerla. Alla fine però è stato proprio Giorgetti a farsi carico a Bruxelles di questa posizione, senza trovare alcun significativo appoggio da altri colleghi. E mercoledì è stato di nuovo Fitto a escludere una proroga: stavolta lo ha fatto nei panni di vicepresidente della Commissione europea con delega sulle politiche di coesione e, in minima parte, proprio sul PNRR.

Non è però l’unico cortocircuito avvenuto in questi giorni nel governo italiano sulle politiche europee. L’altro riguarda infatti il MES, il Meccanismo europeo di stabilità, cioè un fondo europeo di emergenza finanziato da 20 paesi europei (quelli che hanno l’euro) per garantire soccorso finanziario ai paesi o alle grandi banche dell’UE che dovessero entrare in crisi. L’Italia, da due anni e mezzo, è l’unico degli Stati membri che non ha ratificato il trattato che riforma il MES, aggiornandone regole e funzionamento. È una delle ultime battaglie sovraniste su cui il governo di Meloni non ha ancora mollato: sulle politiche europee e di bilancio ha rinnegato la gran parte della sua propaganda storica, ma è rimasta risolutamente contraria alla ratifica del MES per ragioni strettamente ideologiche.

Un passaggio della conferenza stampa al termine dell’Eurogruppo di lunedì, col commissario europeo all’Economia Valdis Dombrovskis, il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe e il presidente del MES Pierre Gramegna.

All’Eurogruppo di lunedì a Bruxelles i dirigenti della Commissione – Dombrovskis, il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, il presidente del MES Pierre Gramegna – hanno ribadito l’urgenza di completare la ratifica, senza la quale 68 miliardi di euro restano congelati e non potrebbero essere utilizzati nel modo più utile in caso di emergenza finanziaria. L’invito era esplicitamente rivolto a Giorgetti, che si è giustificato al suo solito modo: dicendo che nel parlamento italiano non c’è una maggioranza disposta a votare a favore della ratifica del nuovo MES.

Dopo varie motivazioni più o meno fumose, il governo Meloni mesi fa ha poi spiegato che tra le ragioni della contrarietà c’era la convinzione di poter utilizzare le risorse del MES per aumentare la spesa militare e per finanziare la difesa comune. Era stata in particolare la tesi del ministro degli Esteri Antonio Tajani che, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva detto che il governo era disponibile ad aumentare le spese militari fino al 2 per cento del prodotto interno lordo (PIL) «scorporando le spese del patto di stabilità» o anche «attingendo a fondi del Next Generation EU e a quelli del MES non utilizzati». Era il 3 febbraio.

Tre mesi e mezzo dopo, il governo di cui Tajani fa parte ha escluso di ricorrere a qualsiasi strumento tra quelli che lui aveva indicato. Nel piano di spesa per arrivare al 2 per cento del PIL per la difesa il governo non ha fatto alcuna menzione del MES.