Cosa convince e cosa no della riforma della Corte dei conti
Ha l'obiettivo di evitare ritardi e contenziosi nella pubblica amministrazione, ma limita in modo notevole le funzioni di controllo dei giudici contabili

In questi giorni la Camera dei deputati è impegnata nella discussione della proposta di legge che riforma la Corte dei conti, l’organo dello Stato a cui la Costituzione attribuisce il compito di vigilare sulla legittimità degli atti del governo e sulla buona gestione delle risorse pubbliche. Dopo l’approvazione della Camera, prevista per mercoledì, la proposta sarà trasmessa al Senato: nel frattempo sta alimentando alcune polemiche in parlamento.
La riforma ha l’obiettivo di ridurre la capacità di intervento dei giudici contabili nelle decisioni della politica: la maggioranza di destra li ritiene troppo invadenti e in gran parte responsabili delle lungaggini burocratiche che si generano per la cosiddetta “paura della firma”, un problema dibattuto da tempo e che indica la tendenza dei funzionari pubblici a vari livelli (spesso sindaci o amministratori locali) a rimandare decisioni o ritardare lavori per paura di possibili conseguenze giudiziarie nei loro confronti, anche a costo di bloccare procedure importanti.
È una questione diventata quanto mai rilevante in questa fase di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), visto che i progetti del piano sono finanziati con fondi europei e devono essere completati entro scadenze fisse: eventuali ritardi causerebbero la perdita dei fondi. Anche per questo la riforma prevede tra le altre cose una multa che va da 150 euro fino a due anni di stipendio lordo per un funzionario pubblico che con le sue azioni causi un ritardo superiore al 10 per cento rispetto al tempo previsto per concludere un progetto connesso al PNRR.
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L’intento di ridurre le lungaggini burocratiche non è però bastato a creare un consenso generale intorno alla riforma: la stessa Corte dei conti la vede come sorta di ritorsione da parte del governo per le critiche che i suoi giudici avevano mosso al governo di Giorgia Meloni proprio rispetto all’attuazione del PNRR. Questa interpretazione è giustificata anche dal fatto che la proposta venne annunciata e depositata con toni esasperati da Fratelli d’Italia nel periodo in cui il contrasto tra la Corte dei conti e il governo era più marcato, alla fine del 2023.
L’altra grossa critica mossa al provvedimento dalla Corte dei conti, ma anche dall’Associazione nazionale magistrati e dalle opposizioni, è che sia un tentativo di garantire alte soglie di impunità alla politica: perché limita il potere d’intervento della Corte e riduce notevolmente la possibilità di punire alcune condotte poco virtuose dei funzionari pubblici.

Il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, e il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti nell’aula di Montecitorio, il primo agosto 2023: a fine 2024 Foti ha preso il posto di Fitto al governo e i due sono i principali responsabili della proposta di riforma (Roberto Monaldo/LaPresse)
La proposta di legge conferma che la Corte dei conti possa sanzionare solo gli atti dei funzionari pubblici per cui venga riscontrato un dolo o una colpa grave, cioè solo quando l’azione incriminata riguarda un errore compiuto consapevolmente o per una mancanza particolarmente rilevante, ma riformula la definizione di colpa grave escludendo molti comportamenti potenzialmente illeciti che finora erano sanzionati. Il concetto di “colpa grave” peraltro viene definito in modo molto specifico, ben più di quanto lo stesso governo abbia fatto di recente in altre leggi approvate, per esempio nel Codice degli appalti.
Questa contraddizione è stata segnalata anche dal Comitato per la legislazione (l’organo composto da dieci deputati che sovrintende alla corretta scrittura delle norme), che ha sollecitato il governo a un maggior coordinamento tra le due disposizioni.
In alcune procedure la Corte può punire solo la responsabilità per dolo, e non per colpa grave: tra queste ci sono per esempio gli accordi di conciliazione, quando cioè si raggiunge un accordo per chiudere un contenzioso. Questa novità è almeno in parte in contraddizione – in modo più o meno evidente, a seconda delle interpretazioni – con gli orientamenti dell’Unione Europea, che incita gli Stati a fare il possibile per recuperare eventuali ammanchi erariali.
Inoltre viene esteso notevolmente il principio della buona fede, in base alla quale eventuali condotte illecite dei pubblici funzionari vengono perseguite in maniera più lieve dalla Corte. La riforma prevede che la buona fede del politico sia sempre presunta quando un atto da lui adottato è stato approvato dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi, al di là dei casi di dolo. È una novità rilevante, se si pensa che quasi sempre, salvo casi assai rari, un assessore comunale o un ministro agiscono formalmente sulla base di disposizioni curate da un funzionario che non ha una carica politica (un segretario comunale, un ragioniere generale, eccetera).
Vengono anche ridotti di fatto i termini della prescrizione: con la riforma scatterebbe a cinque anni dal fatto compiuto, indipendentemente da quando la Corte viene a conoscenza del danno e da eventuali condotte che tentano di occultarlo. Finora, se la Corte scopriva che il funzionario pubblico aveva in un modo o nell’altro nascosto il danno, il conteggio della prescrizione iniziava dal momento della scoperta: con l’approvazione della riforma non sarà così, e i cinque anni verranno conteggiati sempre dal momento dell’atto.
Vengono poi ridotte le multe e le pene per gli illeciti amministrativi perseguibili dalla Corte. Esclusi i casi di dolo, con la riforma la cifra che il funzionario pubblico sanzionato deve risarcire non potrà essere superiore al 30 per cento dell’ammanco presunto, e comunque questo importo non potrà essere superiore al doppio della retribuzione annua lorda percepita da quel funzionario nel momento in cui ha commesso l’azione incriminata. Tutte queste attenuazioni della punibilità delle condotte dei funzionari pubblici e dei politici si applicheranno anche ai procedimenti in corso non ancora conclusi.
La riforma estende inoltre i casi in cui le amministrazioni pubbliche possono chiedere alla Corte dei conti pareri preventivi in alcuni procedimenti, anche quelli connessi al PNRR. Questa novità è in apparente contraddizione con una precedente norma del 2023 con cui il governo aveva notevolmente limitato i poteri di controllo della Corte sull’attuazione del Piano, eliminando di fatto la prerogativa del controllo concomitante, cioè quello che i giudici contabili possono esercitare in corso d’opera e non solo a progetti conclusi.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella insieme al presidente della Corte dei conti Guido Carlino, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte, a Roma, il 14 febbraio 2025 (Paolo Giandotti/LaPresse)
Il senso di questa apparente contraddizione si chiarisce, però, analizzando nel complesso la riforma. Questa infatti prevede anche un principio di silenzio assenso: se la sezione competente della Corte non risponde alla richiesta di parere preventivo entro 30 giorni, l’amministrazione pubblica è automaticamente autorizzata a seguire l’indirizzo che preferisce. In questo modo, se anche poi dovessero verificarsi degli illeciti, sarebbe molto difficile considerarli come conseguenza di una colpa grave, e dunque sarebbero in sostanza non perseguibili. Questo è uno dei punti più controversi della riforma: verosimilmente tutte le amministrazioni, locali e centrali, saranno indotte a chiedere in continuazione una grande mole di pareri, sia per tutelarsi, sia perché di fatto si dovrebbe ottenere in tempi rapidi un’autorizzazione a procedere, vista l’impossibilità della Corte di processare tutte le richieste.
È una questione su cui anche il Servizio Bilancio della Camera, cioè l’ufficio tecnico che esamina gli effetti finanziari delle proposte di legge in via di approvazione, ha chiesto dei chiarimenti al governo, affinché assicuri che questa attività consultiva «possa essere svolta dalla Corte dei conti nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente». In sostanza si teme che la Corte non abbia abbastanza personale per soddisfare le moltissime richieste che verosimilmente le verranno inviate.
I chiarimenti richiesti dal Servizio Bilancio al governo erano attesi per martedì: nella seduta della commissione Bilancio però il sottosegretario all’Economia Federico Freni ha sorvolato su questo punto, dando invece le spiegazioni richieste su altri aspetti.
Infine la riforma attribuisce al governo una delega per ridefinire le articolazioni territoriali, le gerarchie della Corte e le funzioni specifiche dei magistrati che vi sono impiegati, introducendo per i giudici il divieto del passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti. Le opposizioni, e lo stesso presidente della Corte dei conti, contestano che questa delega sia di dubbia costituzionalità: sia perché darebbe al governo indicazioni troppo generiche, sia perché introdurrebbe una gerarchizzazione esasperata delle procure, con una subordinazione dei magistrati regionali a quella generale.
Secondo i critici della riforma, il tentativo di introdurre una maggiore omologazione nell’orientamento delle varie procure a livello nazionale violerebbe il principio di indipendenza della magistratura.