È «matematico» che alcuni interventi del PNRR non potranno essere realizzati in tempo

Lo ha detto il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, commentando la relazione della Corte dei conti sullo stato di attuazione del piano

Il ministro Fitto durante il suo intervento alla presentazione della relazione semestrale sul PNRR della Corte dei conti (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il ministro Fitto durante il suo intervento alla presentazione della relazione semestrale sul PNRR della Corte dei conti (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Martedì a Montecitorio, la sede della Camera dei deputati a Roma, è stata presentata la relazione semestrale della Corte dei conti sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il programma del governo italiano su come spendere i finanziamenti stanziati dall’Unione Europea per bilanciare la crisi economica dovuta alla pandemia da coronavirus. La Corte dei conti è un organo giudiziario che ha il compito di vigilare sull’uso delle risorse pubbliche e dal 2021, quando l’Italia ha cominciato a ricevere a rate i fondi del PNRR, sta controllando come vengono usati e l’avanzamento dei lavori.

All’incontro è intervenuto anche il ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, che ha ammesso una serie di ritardi segnalati dalla relazione della Corte dei conti: ogni rata del PNRR è legata a diverse scadenze e obiettivi imposti dall’Unione Europea, e il loro mancato rispetto può far perdere il diritto a ricevere una parte di finanziamento. Secondo Fitto, l’Italia potrebbe non riuscire a spendere tutti i quasi 200 miliardi di euro complessivi che riceverà dall’Unione Europea e a portare a termine alcuni obiettivi che si è prefissata: «Alcuni interventi da qui a giugno del 2026 non possono essere realizzati: è matematico, è scientifico, dobbiamo dirlo con chiarezza», ha detto.


In base agli accordi presi, il PNRR deve essere attuato dall’Italia entro il 30 giugno del 2026: negli ultimi mesi il governo di Giorgia Meloni aveva provato a chiedere all’Unione Europea più tempo, ma la Commissione Europea, che controlla l’applicazione del piano, aveva fatto capire chiaramente che non sono possibili rinvii sulle scadenze già previste. Secondo Fitto quindi ci si dovrebbe concentrare su «come recuperare le risorse di quei progetti che sono all’interno del PNRR, ma che non hanno la capacità di spesa entro il 2026».

Sull’incapacità dell’Italia di spendere i finanziamenti del PNRR ci sono perplessità fin da quando furono approvati alla fine del 2020, dal momento che l’Italia ha storicamente grossi problemi nella spesa dei fondi europei. Nel caso specifico i motivi dei ritardi sull’attuazione degli obiettivi del PNRR segnalati dalla Corte dei conti sono legati alle conseguenze della guerra in Ucraina, che ha causato un imprevisto aumento dell’inflazione e dei prezzi dell’energia, e a inefficienze strutturali della pubblica amministrazione che in certi contesti, per esempio nei piccoli comuni, non dispone di abbastanza personale e sufficientemente qualificato per portare avanti i progetti.

Anche per questo martedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo Codice dei contratti pubblici, pensato tra le altre cose per accorciare i tempi di assegnazione degli appalti e velocizzare l’attuazione del PNRR.

Secondo la relazione della Corte dei conti gli obiettivi non completati, in ritardo o parzialmente completati slittati dal 2022 al 2023 sono 40: a questi però ora si sono aggiunti i 37 nuovi adempimenti per il primo semestre del 2023, con ulteriori difficoltà.

Nella relazione è stato anche calcolato che l’Italia alla fine del 2022 aveva speso circa il 12 per cento dei fondi complessivi del PNRR, formalmente in linea con gli obiettivi stabiliti. Il problema è che quel 12 per cento (poco più di 20 miliardi di euro) è stato raggiunto con le spese per alcune misure che esistevano già e che sono state molto superiori al previsto, come i bonus edilizi e gli incentivi all’industria: se si escludono quelle, la percentuale di fondi finora usati dall’Italia è del 6 per cento, più o meno la metà di quanto era stato prefissato.