Che cos’è il reato di abuso d’ufficio

Punisce chi approfitta di un incarico pubblico per avvantaggiare se stesso o un'altra persona, o per danneggiare qualcuno

Alcuni sindaci all'assemblea dell'ANCI, l'associazione dei Comuni italiani (ANSA/LUCA ZENNARO)
Alcuni sindaci all'assemblea dell'ANCI, l'associazione dei Comuni italiani (ANSA/LUCA ZENNARO)
Caricamento player

Il reato di abuso d’ufficio è previsto dall’articolo 323 del codice penale e punisce chi commette illeciti nell’esercizio delle proprie funzioni di pubblico ufficiale: riguarda quindi i funzionari pubblici in generale, e tra questi molto spesso anche sindaci e amministratori locali. Semplificando un po’, compie un abuso d’ufficio chi approfitta del proprio incarico pubblico per procurare intenzionalmente un vantaggio ingiusto a se stesso o a qualcun altro, o ancora per danneggiare ingiustamente qualcuno. La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni. Il testo del codice penale dice:

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalle legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La premessa della prima frase («salvo che il fatto non costituisca un più grave reato») sta a significare che se l’abuso d’ufficio serve per commettere un reato più grave, allora viene perseguito solo il secondo reato.

È un reato da tempo contestato, soprattutto da sindaci e amministratori locali, sia di destra che di sinistra, perché per come è formulato ha ambiti di applicazione molto ampi e poco definiti: questo permette l’apertura di molte indagini proprio a carico di sindaci e amministratori, che però nella quasi totalità dei casi si concludono con archiviazioni o assoluzioni. Gran parte dei sindaci e degli amministratori locali ritiene che sulla base del reato di abuso d’ufficio chiunque e per qualsiasi ragione, anche per interesse personale, può insinuare con un esposto alla procura che un pubblico ufficiale abbia abusato della sua funzione, limitando così moltissimo il suo lavoro.

Sindaci e amministratori sostengono che il timore di incappare in questo reato li porti spesso a evitare di prendere decisioni su provvedimenti che hanno carattere discrezionale, anche i più banali, per il timore di incorrere in procedimenti penali. Questo secondo loro causerebbe in molti casi anche eccessi burocratici che sarebbero alla base di alcune lentezze della pubblica amministrazione.

La tesi critica verso l’abuso d’ufficio è sostenuta anche da diversi esperti di diritto che ritengono che il reato vada riformato o abolito, ma ce ne sono anche molti altri che pensano che vada bene com’è e che sia molto sbagliato pensare di abolirlo, come sta cercando di fare il governo di Giorgia Meloni con la riforma della Giustizia del ministro Carlo Nordio.

Oltre a ritenere che l’abuso d’ufficio intervenga contro violazioni che altrimenti rimarrebbero impunite, molti giuristi favorevoli a questo reato sostengono che l’apertura di indagini per abuso d’ufficio sia spesso utile a individuare reati più gravi nella pubblica amministrazione, di cui altrimenti non ci si renderebbe conto: l’ampiezza e la minore gravità dei casi a cui si applica l’abuso d’ufficio permette infatti di aprire indagini con maggiore frequenza di quel che si può fare, per esempio, per un reato più grave come la corruzione (che rientra tra quelli che si possono commettere nell’esercizio di funzioni pubbliche).

I sostenitori dell’abuso d’ufficio ritengono inoltre che non abbia senso abolirlo mentre resta in vigore il reato che punisce l’omissione di atti d’ufficio (art. 328 del codice penale): cioè il reato che commette chi rifiuta ingiustamente o ritarda l’approvazione di un atto pubblico che invece avrebbe bisogno di entrare in vigore con urgenza.