Cosa dobbiamo pensare di Trump
Negli Stati Uniti e fuori si discute su quanto preoccuparsi per davvero e quanto no, dopo due mesi di governo per certi versi senza precedenti
di Eugenio Cau

Nel settembre del 2016, prima ancora che Donald Trump vincesse per la prima volta le elezioni negli Stati Uniti, la giornalista dell’Atlantic Salena Zito scrisse una frase che contribuì a definire il suo primo mandato da presidente: «La stampa lo prende letteralmente, ma non seriamente; i suoi sostenitori lo prendono seriamente, ma non letteralmente».
Zito intendeva dire che quando Trump faceva una dichiarazione eccessiva e sconsiderata – come quando disse che avrebbe impedito ai musulmani l’ingresso negli Stati Uniti – la stampa riportava scandalizzata le sue parole, ma non credeva davvero nelle sue intenzioni. Al contrario, i sostenitori di Trump non badavano al contenuto formale delle sue dichiarazioni, o al modo spesso offensivo con cui erano pronunciate, ma credevano nell’autenticità delle sue intenzioni. Per i media, una dichiarazione violenta contro le persone musulmane era la prova di un atteggiamento razzista, ma non un’indicazione politica. Per i sostenitori trumpiani era l’esatto contrario.
Molti osservatori hanno continuato a mantenere la stessa impostazione anche in queste prime settimane del secondo mandato di Trump.
Quando a febbraio il presidente aveva annunciato l’imposizione di enormi dazi contro Canada e Messico per poi posticiparli appena due giorni dopo, molti avevano pensato che ancora una volta Trump non dovesse essere preso seriamente: l’imposizione di enormi dazi contro i due principali partner commerciali degli Stati Uniti era considerata una follia. Ma poi, questa settimana, Trump ha effettivamente confermato i dazi, che sono i più estremi della storia americana dell’ultimo secolo.

Trump e Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca il 28 febbraio 2025 (AP Photo/Ben Curtis)
Qualcosa di simile sta succedendo con Russia e Ucraina. Trump è sempre stato affascinato dalla figura autoritaria di Vladimir Putin, e anche durante il suo primo mandato elogiò spesso il presidente russo e si disse d’accordo sulla sua visione del mondo. Ma il Trump del primo mandato, nonostante la retorica e grazie alle pressioni del Congresso, impose sanzioni alla Russia e inviò armi all’Ucraina.
Molti – ancora fino a pochi giorni fa – pensavano che le cose sarebbero andate di nuovo così: Trump può anche parlare di Putin con ammirazione, ma gli Stati Uniti non verranno meno ai loro impegni internazionali. E invece Trump ha insultato e provocato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca, ha interrotto gli aiuti militari all’Ucraina e sembra pronto a schierarsi con la Russia su varie grandi questioni internazionali.
Da un giorno all’altro gli alleati, soprattutto europei, hanno cominciato a capire che non si possono più fidare completamente degli Stati Uniti, e che i princìpi e le regole su cui si sono basati i rapporti internazionali negli ultimi decenni potrebbero non essere più validi. «Concittadini americani e amici all’estero, sappiate che almeno per i prossimi quattro anni l’America che conoscevate non c’è più. I valori, gli alleati e le verità che l’America ha sempre difeso ora sono tutti in dubbio – o in vendita», ha scritto sul New York Times Thomas Friedman, forse il più importante commentatore americano di questioni di esteri.
A livello di politica interna, il taglio dei fondi dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (USAID) e le attività del dipartimento per l’Efficienza del governo (DOGE) guidato da Elon Musk stanno avendo conseguenze più profonde di quanto il caos comunicativo iniziale avesse fatto pensare, sebbene sia presto per fare una valutazione completa.
Molti analisti hanno quindi rispolverato la vecchia definizione di Salena Zito, riadattandola: Trump deve essere preso letteralmente e seriamente. A una dichiarazione autoritaria non corrisponde soltanto una visione del mondo autoritaria, ma anche una volontà politica autoritaria, che sarà messa in atto. Se Trump dice che apprezza Putin, questa volta darà seguito al suo apprezzamento con specifiche scelte di politica estera.
Insomma: se durante il primo mandato il potenziale distruttivo, rivoluzionario ed eversivo di Trump si esprimeva soprattutto a parole, adesso si esprime anche nei fatti.

Trump mostra un ordine esecutivo firmato il 23 gennaio 2025 alla Casa Bianca (AP Photo/Ben Curtis)
Questi esempi fanno pensare che siamo davanti a un nuovo Trump, più deciso e più minaccioso, e privo dei sistemi di salvaguardia che lo avevano limitato durante il suo primo mandato. Se nel 2017 il Partito Repubblicano era diviso tra Repubblicani tradizionali e Repubblicani trumpiani, oggi hanno vinto i trumpiani. Se nel 2017 l’amministrazione Trump era piena di quelli che venivano definiti “adulti nella stanza”, cioè funzionari esperti e responsabili che limitavano e contenevano gli istinti più estremi di Trump, oggi l’amministrazione è composta esclusivamente da persone fedeli e molto spesso servili.
La serietà delle azioni e delle minacce di Trump è dimostrata anche dal fatto che vengono prese più sul serio.
Durante il primo mandato di Trump, i paesi europei non reagirono davvero alle sue minacce di ritirare la difesa statunitense sul continente; ora invece considerano la possibilità realistica, e si stanno impegnando a investire centinaia di miliardi di euro in spese militari. Durante il primo mandato, Canada e Messico risposero alle minacce di dazi con blandi negoziati, mentre questa settimana il primo ministro canadese Justin Trudeau ha risposto con un discorso durissimo, in cui ha detto: «Oggi gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra commerciale contro il Canada, il loro più fidato partner e alleato, il loro amico più fidato. Al tempo stesso, stanno parlando di lavorare positivamente con la Russia. Vogliono farsi amico Vladimir Putin, un dittatore bugiardo e assassino. Questo non ha senso».
Serve comunque molta cautela. Non tutto quello che dice e fa Trump deve essere preso con lo stesso peso o ha la stessa gravità.
Come nel primo mandato, l’amministrazione Trump manca di coerenza: coerenza ideologica e coerenza d’azione. Non è da escludere – anzi, è perfino probabile – che a un certo punto Trump ridurrà o annullerà i dazi contro Messico e Canada, e che alla fine riaccoglierà Zelensky alla Casa Bianca, presentando entrambe le decisioni come una vittoria coerente con i propri obiettivi. Ancora una volta l’amministrazione Trump potrebbe adottare politiche imprevedibili, che potrebbero anche danneggiarlo nel lungo periodo.
Inoltre molto di quello che è successo in questo mese e mezzo mostra che l’amministrazione Trump è ben lontana dall’essere una macchina precisa e inesorabile, e che molti degli scetticismi che valevano per il primo mandato di Trump valgono ancora. Come ha scritto di recente Francesco Costa nella newsletter Da Costa a Costa, c’è ancora una «grande e spesso sfuggente – volutamente sfuggente – differenza fra quello che Trump dice, quello che Trump prova a fare e quello che Trump fa».
Questo dipende anche dalla strategia di comunicazione che Trump usa da sempre, teorizzata dal suo consigliere Steve Bannon: «I Democratici non contano niente. La vera opposizione sono i media. Ma i media sono stupidi e pigri, sanno concentrarsi davvero solo su una cosa alla volta. Quindi tutto quello che dobbiamo fare è inondarli. Ogni giorno tirare fuori tre cose diverse. Si attaccheranno a una ma faremo le altre due. E andremo avanti ogni giorno così, bang, bang, bang. Non si riprenderanno».

Trump il 19 febbraio 2025 (AP Photo/Rebecca Blackwell)
Molte delle dichiarazioni di Trump, anche quelle più scandalose e gravi, sono fatte non tanto per indicare una direzione politica, ma discendono da questa strategia comunicativa. Sono fatte per confondere e «inondare» gli avversari, che si tratti dei Democratici o dei media. Insomma, ci sono ancora molti casi in cui Trump non deve essere preso né letteralmente né seriamente.
Ma in questo primo mese e mezzo di secondo mandato le volte in cui le dichiarazioni di Trump e della sua amministrazione hanno avuto conseguenze, anche serie, sono state più numerose che otto anni fa. Molto cambierà probabilmente nelle prossime settimane e nei prossimi mesi: man mano che si esaurirà la “luna di miele”, cioè il periodo di massimo entusiasmo per un presidente appena eletto, anche la spinta e la capacità di creare controversie dell’amministrazione potrebbe calare. È anche probabile che Trump cominci a essere danneggiato dalle conseguenze delle sue decisioni: soprattutto in economia, dove l’aumento dei dazi rischia di provocare il rallentamento della crescita e l’aumento dell’inflazione.
In un discorso davanti al Congresso questa settimana, Trump ha detto: «Abbiamo fatto di più in 43 giorni che molte amministrazioni in quattro o otto anni, e abbiamo appena iniziato».



