Il parlamento visto dall’alto

Le tribune di Camera e Senato sono l'unica postazione da cui si possono seguire i lavori dell'aula, e spesso sono centrali nel dibattito

Beppe Grillo assiste alla seduta del Senato del 29 ottobre 2013 dalla tribuna (Roberto Monaldo/LaPresse)
Beppe Grillo assiste alla seduta del Senato del 29 ottobre 2013 dalla tribuna (Roberto Monaldo/LaPresse)
0 seconds of 0 secondsVolume 90%
Press shift question mark to access a list of keyboard shortcuts
00:00
00:00
00:00
 

Dall’alto in basso: la prospettiva prevalente, per certi versi obbligata, per chi osserva deputati e senatori in aula è quella. È così, dall’alto verso il basso, perché le uniche postazioni da cui i cronisti e i teleoperatori possono seguire i lavori delle assemblee parlamentari sono le tribune stampa, che si trovano appunto nella parte sopraelevata dell’emiciclo in cui si riunisce l’assemblea. Le tribune sono il posto da cui si possono seguire più da vicino i lavori parlamentari: sembrano un po’ spalti di uno stadio – dove però gli spettatori sono costretti al silenzio e alla compostezza – e un po’ palchetti di un teatro i cui attori sono onorevoli, ministri e sottosegretari. L’ingresso in aula è riservato infatti solo agli eletti (o ai ministri e sottosegretari non eletti), ed è vietato anche quando non è in corso una seduta a chiunque non abbia una specifica autorizzazione. Per questo è solo dall’alto, dalle tribune, che si può osservare da una postazione privilegiata ciò che avviene in aula.

Sia al Senato sia alla Camera si accede attraverso dei corridoi un po’ angusti e tortuosi, e – soprattutto alla Camera – i giornalisti devono farsi riconoscere dai commessi. Ma possono prendervi posto, in palchetti separati predisposti per il pubblico esterno, anche visitatori accreditati: sono per lo più scolaresche, ma anche assistenti parlamentari, attivisti interessati al dibattito di quella giornata, lobbisti o famigliari dei deputati e dei senatori, purché autorizzati secondo le procedure.

A Palazzo Madama, la sede del Senato, la tribuna riservata ai cronisti parlamentari è sul lato sinistro dell’emiciclo, sopra ai banchi del Movimento 5 Stelle e del PD: ha il vantaggio, pur essendo abbastanza stretta, di essere proprio a ridosso degli scranni (le tipiche sedie rinascimentali usate nelle aule del parlamento), e a non più di tre metri dai senatori. A Montecitorio (la sede della Camera) è invece al centro, dirimpetto ai banchi del governo e a quello della presidenza, in corrispondenza degli scranni attualmente occupati da Forza Italia e Italia Viva, ma in posizione nettamente sopraelevata, e dunque più distante dal dibattito: infatti non è raro vedere dei cronisti con dei piccoli binocoli portatili.

Sui vari banchi ci sono ancora delle vecchie targhette coi nomi dei vari quotidiani che avevano una propria postazione fissa riservata: sono residui novecenteschi che non vengono rimossi perché hanno comunque un certo valore testimoniale, e in certi casi si riferiscono a giornali che non vengono neppure più pubblicati.

– Leggi anche: Le norme anacronistiche che rallentano i lavori del parlamento

Del resto le tribune sono da secoli un elemento costitutivo dei parlamenti in tutto il mondo, e per certi versi sono esse stesse una parte attiva dei lavori parlamentari: perché la loro presenza, e la funzione a cui sono preposte, condiziona non poco gli atteggiamenti di chi occupa gli scranni. In Italia ovviamente è così.

Il modo in cui deputati e senatori si muovono, le abitudini che hanno assunto negli anni, le loro pose, tutto è legato al fatto che il pubblico a cui gli eletti si rivolgono non è solo quello dei loro colleghi o dei membri del governo seduti nei banchi al centro dell’aula, ma è anche e soprattutto quello dei cronisti che stanno sulle tribune. Attraverso i cronisti, poi, il pubblico diventano le persone che seguono a distanza i lavori, che guarderanno le immagini nei notiziari della sera, nei post condivisi sui social o ne avranno una descrizione dai racconti giornalistici.

I parlamentari più accorti, infatti, spesso agiscono a favore di telecamera, per così dire: dopo essersi accertati della presenza dei cronisti o dei fotografi, espongono cartelli o prendono appunti in modo tale che dalle tribune li si possa leggere.

Il senatore del PD Filippo Sensi fa spesso delle caricature dei ministri o dei leader politici durante alcune sedute dell’aula, lasciando talvolta che dalle tribune li si possa vedere: questo ritrae Carlo Nordio, ed è stato realizzato durante l’informativa sul caso di Almasri il 5 febbraio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Si discusse a lungo, per esempio, della possibilità che Silvio Berlusconi avesse volutamente fatto in modo che il suo famoso appunto pieno di critiche nei confronti del comportamento Giorgia Meloni («supponente», «prepotente», «arrogante», «aggressivo») venisse letto e fotografato dai giornalisti che stavano nelle tribune del Senato, o se fosse stata una svista: in ogni caso quel biglietto generò un clamoroso trambusto all’interno della coalizione di destra quel 13 di ottobre del 2022, il giorno in cui Ignazio La Russa fu eletto presidente del Senato senza i voti di Forza Italia, e generò una reazione furente di Meloni, che stava trattando con gli alleati per la formazione del suo governo e che poche ore dopo replicò dicendo di non essere «ricattabile».

Non sempre, in realtà, le tribune sono frequentate. Anzi, per la maggior parte del tempo sono in gran parte deserte: se infatti nelle porzioni riservate ai fotografi o ai teleoperatori c’è sempre qualcuno che assiste e riprende per poi mandare le immagini alle agenzie stampa o ai telegiornali, in quelle destinate ai cronisti c’è di solito scarsissimo traffico. I giornalisti parlamentari che lavorano per i quotidiani o per le riviste preferiscono infatti seguire i lavori, spesso distrattamente, dai televisori installati nel Transatlantico della Camera o nel Salone Garibaldi del Senato, cioè dai locali antistanti le due aule. È più comodo stare lì perché l’obiettivo principale non è tanto ascoltare quel che si dice in aula, ma intercettare esponenti dei vari partiti che passano da quelle parti e che possono rilasciare dichiarazioni, dare informazioni o imbeccate.

Ci sono però sedute in cui anche i cronisti decidono di seguire i lavori dalle tribune: ed è quello di solito un segnale inequivocabile dell’importanza del dibattito che si svolge in quella giornata. Succede infatti durante gli interventi del (o della) presidente del Consiglio o di qualche membro di governo su temi di particolare rilievo; durante le mozioni di sfiducia contro un ministro o una ministra; in occasione dell’approvazione di provvedimenti di grande importanza.

Assistere alle sedute dalle tribune consente infatti un grande vantaggio, e cioè poter non soltanto osservare l’oratore in primo piano come viene mostrato dalle telecamere di servizio, ma scrutare anche l’atteggiamento o l’espressione di chi gli sta vicino, cogliere le reazioni di altri partecipanti al dibattito, captare gli umori di chi è in aula: tutti elementi che poi possono dare sostanza al racconto della giornata. Spesso tutto ciò serve a comprendere meglio alcune dinamiche (per esempio se un gruppo di maggioranza è tiepido nell’applaudire un ministro, se tra leader di partiti diversi ci sono ammiccamenti o colloqui riservati, se qualche deputato esce al momento del voto o scuote la testa in dissenso rispetto a un suo collega di partito); altre volte si finisce col cercare dei tratti di colore per alimentare polemiche più o meno strumentali.

È indubbio comunque che osservare l’aula dalle tribune è un’attività sempre utile e preziosa, un po’ come guardare uno spettacolo teatrale dalla prima fila. E talvolta, in maniera furtiva, anche da dietro le quinte.

Sia il regolamento della Camera sia quello del Senato impongono infatti che quando la seduta è sospesa le tribune debbano essere chiuse: per questo i giornalisti, quando il presidente interrompe i lavori, sono invitati a uscire dai commessi. Talvolta però capita che i cronisti provino a sottrarsi a questa regola. Nella scorsa legislatura, alcuni senatori del Movimento 5 Stelle dissenzienti rispetto al resto del gruppo erano soliti restare in aula per confabulare tra loro, e succedeva che qualche cronista si accovacciasse sotto le sedie o si appartasse dietro una colonna della tribuna per poter restare lì e ascoltare quel che si dicevano, finendo poi quasi sempre redarguito dai commessi.

In certe occasioni, poi, quel che succede in tribuna condiziona in maniera notevole il dibattito dell’aula, fino quasi a diventare parte del dibattito stesso. Sono situazioni rare, ma che restano in un certo senso memorabili. L’11 febbraio del 2016, durante una seduta decisiva per l’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili, alcuni gruppi di attivisti LGBT presenti sulle tribune animarono una insolita protesta: per contestare i tentativi di ostruzionismo da parte del centrodestra, due ragazzi si baciarono platealmente contravvenendo al regolamento che prescrive a chi sta in tribuna di rimanere in silenzio e seduto e di non interferire in alcun modo coi lavori dell’aula, nemmeno con commenti o applausi.

Carlo Giovanardi, uno dei senatori di Forza Italia più conservatori e più risolutamente contrari al provvedimento, intervenne per denunciare questa provocazione, dicendo che non era decoroso («e ciò vale per gli uomini, ma varrebbe anche tra uomo e donna», disse). Ne nacque una discreta cagnara, che contribuì a rendere ancor più turbolenta quella seduta già di per sé molto tesa.

– Leggi anche: Che anno è stato per il parlamento, in numeri

Tra il 2013 e il 2014, invece, durante alcune delle più importanti sedute sotto il governo di Enrico Letta e di Matteo Renzi, Beppe Grillo aveva preso l’abitudine di assistere ai lavori del Senato dalle tribune riservate al pubblico. Lo faceva un po’ per motivare i suoi parlamentari alla prima esperienza ancora piuttosto sprovveduti, e un po’, soprattutto, per attirare su di sé l’attenzione dei cronisti che stavano nelle tribune poco distanti, a cui faceva talvolta anche delle smorfie, mostrando bigliettini o ghigni buffi.

Durante la pandemia da Covid-19, poi, molte delle tribune divennero parte dell’aula a tutti gli effetti. Per consentire ai parlamentari di continuare a lavorare in presenza, ma adottando precauzioni necessarie a evitare i contagi, si decise infatti di distanziare deputati e senatori lasciando vuoti i banchi tra l’uno e l’altro degli eletti: divenne quindi necessario far sedere alcuni di loro anche nelle tribune solitamente riservate al pubblico o alla stampa, predisponendo anche lì le pulsantiere per le votazioni.

Non mancarono, in quei mesi, malfunzionamenti e lamentele dei parlamentari per l’acustica non ottimale e per la difficoltà di intervenire dalle tribune. In un’occasione si rischiò anche un piccolo incidente. Nel dicembre del 2020 il senatore del M5S Nicola Morra, a cui era stato assegnato uno scranno provvisorio sulle tribune, si sporse troppo dalla balconata – cosa che è di norma vietata – e si fece scivolare dalle mani lo smartphone, che cadde a poca distanza da una collega del PD.

– Leggi anche: Come il taglio dei parlamentari ha peggiorato i lavori del parlamento