Il grande attacco contro i civili in Sudan
È stato compiuto al mercato della città di Sennar e ha ucciso 21 persone: è stato attribuito alle forze paramilitari in guerra con l'esercito regolare da più di un anno
Domenica 8 settembre 21 persone sono state uccise al mercato di Sennar, città nel Sudan sud orientale e capitale dell’omonimo stato. Altre 70 persone sono state ferite. La Rete dei medici sudanesi, organizzazione indipendente che è molto attiva dall’inizio della guerra civile, in base alle testimonianze raccolte ha attribuito l’attacco alle Rapid Support Forces (RSF), il gruppo paramilitare impegnato da quasi un anno e mezzo in un conflitto interno contro l’esercito regolare.
La guerra civile in Sudan – che ha già causato decine di migliaia di morti e innescato una grave crisi umanitaria tra la popolazione – era iniziata nell’aprile del 2023, al culmine di una serie di tensioni tra il presidente Fattah al Burhan, che guida l’esercito regolare, e il vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti, che guida le RSF. I due erano a capo una di giunta militare, il Consiglio Sovrano, l’organo a partecipazione civile e militare che aveva preso il potere nell’ottobre del 2021 con un colpo di stato e che avrebbe dovuto portare il paese a elezioni democratiche nel 2023.
Nel dicembre 2022, su pressione internazionale, i due generali acconsentirono a iniziare una transizione democratica, ma sul come farlo non ci fu accordo e nacquero le prime forti divisioni. A provocare la rottura dei rapporti fu in particolare la decisione di Burhan di integrare nell’esercito sudanese le RSF guidate da Hemedti, scelta osteggiata molto duramente proprio dallo stesso Hemedti.
Il gruppo paramilitare RSF conta circa 100mila uomini ed è un diretto discendente dei Janjawid, un gruppo di miliziani arabi che durante la guerra nel Darfur del 2003 si rese responsabile di vari crimini di guerra, e secondo molte interpretazioni anche di genocidio.
Il 15 aprile del 2023, di fronte al possibile scioglimento delle RSF, Hemedti iniziò le prime operazioni militari contro l’esercito regolare. Già allora il gruppo poteva contare sul sostegno degli Emirati Arabi Uniti e aveva rapporti stretti e costanti con il gruppo Wagner, la compagnia di mercenari russi. L’esercito regolare ha invece circa 300mila uomini, è sostenuto dall’Egitto e ha il vantaggio militare di avere a disposizione l’aviazione.
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Lo stato di Sennar, che secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) ospitava già più di mezzo milione di sfollati prima dell’inizio della guerra civile, collega il Sudan centrale al sud-est del paese che è controllato dall’esercito dove centinaia di migliaia di altri sfollati hanno trovato rifugio. In agosto, e sempre in questo stato, un attacco dei paramilitari aveva causato almeno 80 morti.
Dopo una missione condotta nel paese, venerdì il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite aveva chiesto il «dispiegamento» di una forza «indipendente e imparziale» per proteggere i civili accusando entrambe le parti in conflitto di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani che potrebbero equivalere a crimini contro l’umanità. Nel rapporto, la missione delle Nazioni Unite chiedeva anche di imporre un embargo sulle armi.
Queste raccomandazioni sono state però ignorate dal governo sudanese, che ha invece denunciato una «palese violazione del mandato» da parte della missione delle Nazioni Unite. In una nota, il ministero degli Esteri ha scritto che «la protezione dei civili rimane una priorità assoluta per il governo», ha accusato «le milizie RSF di prendere sistematicamente di mira i civili e le istituzioni civili», ma ha anche fatto sapere che il rapporto delle Nazioni Unite «va oltre il mandato» dell’organizzazione stessa. Per il governo sudanese, le Nazioni Unite hanno portato avanti una missione «politica, non legittima» quando avrebbero invece dovuto «sostenere il processo nazionale» e non «cercare di imporre» qualcosa dall’esterno.
La guerra tra le due fazioni, dopo una fase iniziale in cui furono organizzate tregue temporanee per permettere ai civili di abbandonare le zone degli scontri (tregue per lo più violate), è diventata via via più violenta e generalizzata. L’esito militare è tuttora molto incerto: non è chiaramente distinguibile una linea del fronte, né si può davvero indicare se esercito regolare e RSF siano vicini a una vittoria o a una sconfitta finale.
La guerra sta colpendo in modo molto grave la popolazione civile e non solo per i bombardamenti e i combattimenti indiscriminati. Sin dai primi giorni di scontri, i due eserciti hanno depredato le case di molti civili, ci sono stati molti casi di uccisioni su base etnica, soprattutto nella regione del Darfur, e di stupri e crimini sessuali nei confronti delle donne.
La guerra ha provocato inoltre lo sfollamento di oltre dieci milioni di persone e, secondo l’ONU, uno dei «peggiori disastri umanitari della storia recente» che sta però faticando a ottenere attenzioni internazionali e quindi fondi per i necessari aiuti.
«Il grado di urgenza è scioccante, così come l’inazione per arginare il conflitto e rispondere alle sofferenze che sta causando», ha detto dal Sudan domenica il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus. Adhanom ha detto che oltre 25 milioni di persone, più della metà della popolazione, affrontano gravi carenze alimentari, che in alcune aree si può parlare di carestia, che gran parte del sistema sanitario del paese è «quasi al collasso», che circa il 70-80 per cento delle infrastrutture sanitarie non funziona e che il settore umanitario, che aveva richiesto aiuti per 14,7 milioni di sudanesi bisognosi per 2,7 miliardi di dollari (circa 2,5 miliardi di euro), ne ha raccolti meno della metà.