Fare i conti con i conti pubblici

Tra pochi giorni il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti dovrà pubblicare il DEF, ma l'effetto del Superbonus, la crescita bassa e il debito che non scende gli stanno complicando il lavoro

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti in aula alla Camera, il 27 marzo 2024 (ANGELO CARCONI/ANSA)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti in aula alla Camera, il 27 marzo 2024 (ANGELO CARCONI/ANSA)
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All’inizio della prossima settimana, molto probabilmente martedì, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti porterà in Consiglio dei ministri il Documento di economia e finanza (DEF), che contiene i nuovi saldi di finanza pubblica e le previsioni di spesa, di crescita e d’indebitamento: andrà inviato al parlamento entro il 10 aprile, come previsto dalla legge. Sarà l’ultimo DEF, o almeno l’ultimo concepito in questo modo e con queste tempistiche: da settembre infatti entreranno in vigore le regole del nuovo Patto di stabilità e crescita, cioè le regole fiscali e finanziarie che gli Stati membri dell’Unione Europea devono seguire, e che prevedono tra le altre cose una diversa programmazione dei cicli di spesa rispetto a quella seguita negli ultimi tredici anni.

Sarà anche un DEF piuttosto complicato da mettere insieme, per Giorgetti, soprattutto perché la situazione dei conti pubblici italiani non è ottimale: il deficit del 2023, cioè il disavanzo nel bilancio del singolo anno, è stato di circa 40 miliardi più alto del previsto; la crescita del PIL del 2024, il prodotto interno lordo, sarà minore di quanto il governo aveva ipotizzato a ottobre; di conseguenza, anche il debito pubblico sembra destinato a salire.

Il tutto, peraltro, nell’anno in cui tornano in vigore le regole del Patto di stabilità, nella sua nuova formula, dopo tre anni in cui era stato sospeso a causa delle crisi generate dalla pandemia e poi della guerra, durante i quali i singoli Stati potevano spendere e indebitarsi in maniera straordinaria. In una sua relazione alla Camera, mercoledì il ministro Giorgetti ha ammesso che «è scontato che la Commissione Europea raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro come di diversi altri paesi».

Di per sé non è una notizia catastrofica. Saranno tra i dieci e i dodici, sui ventisette totali, i paesi europei oggetto di questa procedura, che imporrà di ridurre dello 0,5 per cento all’anno la spesa pubblica netta, cioè quella che non tiene conto del pagamento degli interessi sul debito pubblico e di altre voci di spesa occasionali o straordinarie. Ma era comunque un obiettivo stabilito dal governo italiano per i prossimi anni, vista la necessità di migliorare i conti pubblici a prescindere dalle regole europee.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen insieme alla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni durante il Consiglio Europeo del 22 marzo 2024, a Bruxelles (OLIVIER HOSLET/ANSA)

Per quanto riguarda il deficit, il principale problema con cui ha a che fare Giorgetti è l’effetto del Superbonus, il grande piano di agevolazioni fiscali introdotto nel 2020 per rimborsare le spese delle ristrutturazioni edilizie che migliorano l’efficienza energetica degli immobili. La misura, insieme agli altri bonus edilizi collegati, ha generato una spesa pubblica molto maggiore del previsto: dal luglio del 2020 al febbraio del 2024 è costata 114 miliardi, e il conteggio salirà. Per effetto del Superbonus, le stime del governo sul deficit sono state costantemente alzate nell’ultimo anno.

Ad aprile del 2023, nel DEF, si prevedeva un disavanzo per il 2023 del 4,5 per cento del PIL. A settembre, nella Nota di aggiornamento al DEF (NADEF) con cui il governo corregge le previsioni sull’andamento della finanza pubblica, il deficit era salito al 5,3 per cento. Il primo marzo scorso l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, ha stabilito che in realtà l’entità del deficit era maggiore: non più il 5,3 ma il 7,2 per cento in rapporto al PIL. Ma non è ancora finita, perché la scadenza per caricare fatture relative agli interventi edilizi fatti nel 2023 e chiedere così i rimborsi allo Stato è fissata al 4 aprile: solo allora l’Agenzia delle entrate, sulla cui piattaforma vengono registrate queste procedure, potrà comunicare al ministero dell’Economia l’ammontare complessivo della spesa dei bonus edilizi nell’anno passato. Alcuni funzionari del ministero ritengono che questo conteggio farà aumentare il deficit ancora, anche oltre l’8 per cento: significherebbe un disavanzo maggiore rispetto alle previsioni di un anno fa di oltre 3,5 punti percentuali di PIL, corrispondenti a più di 70 miliardi.

In merito alle previsioni sbagliate degli effetti sul bilancio che ha avuto il Superbonus, e sul fatto stesso che sia stata autorizzata la misura, di recente ci sono stati screzi tra il governo e il ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta, che ha il compito di vigilare sulla sostenibilità economica dei provvedimenti. Mazzotta dal maggio del 2019 è a capo della ragioneria generale, un organismo inserito nella struttura del ministero dell’Economia: dunque era in carica quando il secondo governo di Giuseppe Conte, sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dal Partito Democratico, approvò il Superbonus. Ha la responsabilità di aver autorizzato quella spesa, o quantomeno di non averla prevista in maniera adeguata e di non essersi opposto come avrebbe potuto (sia pure innescando un conflitto politico e istituzionale).

Anche per questo sui giornali si parla da settimane del fatto che il governo vorrebbe rimuoverlo dal suo incarico, il che consentirebbe peraltro alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al ministro Giorgetti di trovare un capro espiatorio: in realtà fino all’anno scorso anche Fratelli d’Italia e Lega avevano convintamente sostenuto il Superbonus, e anzi avevano criticato Mario Draghi quando nel 2021 e nel 2022, da presidente del Consiglio, tentò di annullare in qualche modo la misura. Quando gli è stato chiesto della possibile rimozione di Mazzotta, Giorgetti ha dato finora sempre risposte evasive, ma senza smentire le indiscrezioni.

Il Superbonus avrà ricadute non solo sul deficit del 2023, ma anche sul debito pubblico, per il quale del resto è già messo in conto che i vari bonus edilizi costeranno 40 miliardi all’anno fino al 2026. Anche per questo, Giorgetti il 26 marzo scorso ha fatto approvare dal Consiglio dei ministri un decreto che introduce nuove limitazioni per l’utilizzo del Superbonus. L’Istat ha calcolato che il debito pubblico nel 2023 è arrivato al 137,3 per cento del PIL, un po’ più basso rispetto alle precedenti stime fatte dal governo (grazie a un effetto indiretto che ha avuto l’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi, sui conti pubblici). Le possibilità che questa diminuzione venga consolidata, però, sono assai scarse: secondo le previsioni che circolano in questi giorni al ministero dell’Economia non dovrebbe esserci alcun calo nel 2024, e anzi è verosimile un suo incremento. Il Sole 24 Ore ha scritto che al momento la previsione si aggira tra il 137-138 e il 140 per cento.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante il question time al Senato, il 23 novembre 2023 (ETTORE FERRARI/ANSA)

Le analisi finali di questi giorni definiranno meglio queste previsioni, che dipenderanno anche dall’andamento della crescita: in linea di massima, se il PIL aumenta, questo contribuisce a far diminuire il debito, o quantomeno a non farlo salire. A settembre il ministro Giorgetti aveva previsto nella NADEF una crescita dell’1,2 per cento per il 2024 e dell’1,4 per cento per il 2025, anche grazie alle misure introdotte dal governo (è la cosiddetta crescita “programmatica”, diversa da quella “tendenziale” che invece non tiene conto dell’effetto delle politiche del governo).

Tuttavia vari istituti internazionali hanno diffuso previsioni meno ottimistiche. Per la Commissione Europea l’Italia crescerà dello 0,7 per cento nel 2024 e dell’1,2 per cento nel 2025. È verosimile che la cifra che il governo indicherà nel DEF sarà grosso modo a metà tra queste due stime. Dall’altra parte il governo ha anche il problema di dover confermare per i prossimi anni le misure che nelle sue intenzioni garantirebbero una maggiore crescita: le aveva approvate solo in via temporanea per il 2024, per cui a fine anno si dovranno trovare altri soldi per prorogarle o renderle strutturali, come si dice. Per fare un esempio, serviranno 15 miliardi solo per rinnovare il taglio del cuneo fiscale, cioè la riduzione delle imposte e dei contributi che si applicano sugli stipendi dei lavoratori.

Nel complesso, Giorgetti è stato prudente e cauto quando ha parlato del DEF, confermando l’atteggiamento che ha sempre tenuto in questo anno e mezzo di mandato da ministro dell’Economia. Nelle scorse settimane Meloni aveva raccontato che grazie a presunte concessioni ottenute nel negoziato sul nuovo Patto di stabilità, l’Italia avrebbe potuto beneficiare di 35 miliardi di “flessibilità” in più, cioè di margine di spesa, rispetto al passato. Ma era per lo più propaganda (ne avevamo scritto più nel dettaglio qui) basata su calcoli infondati, e infatti Giorgetti non ha fatto alcun riferimento a questi 35 miliardi, che se esistessero davvero gli sarebbero molto utili in questi giorni in cui sta lavorando al DEF.