Le «riforme strutturali» del governo non sono così strutturali

Per il governo i tagli alle tasse sono una misura storica, ma la legge di bilancio li finanzia solo per il 2024

(foto di Roberto Monaldo / LaPresse)
(foto di Roberto Monaldo / LaPresse)

Con l’approvazione del disegno di legge di bilancio, votato lunedì mattina dal Consiglio dei ministri, si sono definite le politiche fondamentali che il governo intende perseguire il prossimo anno. Servirà ancora del tempo per comprendere i dettagli di alcune delle misure annunciate, poiché il documento programmatico di bilancio che dovrà essere inviato alla Commissione Europea e al parlamento in queste ore non contiene l’indicazione delle esatte voci di spesa. Ma un dato è già evidente: le «riforme strutturali» che il governo e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avevano promesso sono assai poco strutturali.

Lo dimostra proprio il contenuto della legge di bilancio, che stanzia coperture estemporanee, cioè della validità di un anno, per finanziare misure che invece nell’intenzione del governo dovrebbero essere stabili. Le misure in cui si può osservare più chiaramente questa contraddizione sono soprattutto tre, di cui due sono certamente anche quelle più costose.

La prima è il taglio del cuneo fiscale, che assorbe circa 10 miliardi di una legge di bilancio che nel complesso vale 24 miliardi, di cui tra l’altro 14 vengono finanziati in deficit, cioè tramite un maggiore indebitamento dello Stato. Il taglio del cuneo fiscale è la riduzione delle imposte e dei contributi che si applicano sugli stipendi, quindi in sintesi il governo vorrebbe diminuire la differenza tra stipendio lordo e stipendio netto. Parliamo di una riduzione delle imposte del 7 per cento sui redditi fino a 25mila euro e del 6 per cento per quelli tra i 25 e i 35mila euro.

Un’altra misura significativa, anche questa riconducibile all’obiettivo di “ridurre le tasse”, è l’accorpamento delle aliquote IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Per il 2024 costa circa 4,5 miliardi e consiste in una prima, parziale ristrutturazione del sistema fiscale italiano. In sintesi: chi dichiara tra i 15 e i 28mila euro, e che attualmente era nel cosiddetto “secondo scaglione”, non pagherà più il 25 per cento di tasse sul reddito sopra i 15mila, ma verrà assimilato a chi sta nel “primo scaglione”, cioè chi guadagna meno di 15mila euro. Pagherà dunque il 23 per cento.

Infine ci sono i sostegni alla natalità e all’occupazione femminile. In questo caso le misure sono molto meno costose – si parla di 1 miliardo di euro complessivi – ma hanno un alto valore simbolico, visto che il governo fa del contrasto alla denatalità e del sostegno alla “famiglia” un impegno primario della propria azione. Nel concreto, la legge di bilancio stabilisce che venga trasferita a carico dello Stato la quota di contributi lavorativi riferiti alle donne con almeno due figli: una detassazione che nel caso di donne con due figli varrà fino a che il figlio più piccolo non abbia compiuto dieci anni, e invece per le donne con almeno tre figli fino a che il più piccolo non diventi maggiorenne.

Per tutti questi provvedimenti, il governo ha stanziato risorse solo per il 2024, senza dare alcuna indicazione sull’eventuale conferma per gli anni a seguire.

«Strutturale» era una parola che ricorreva molto nei discorsi di Giorgia Meloni durante la campagna per il voto del 2022, e viene ripresa anche in un capitolo del documento programmatico di bilancio 2024. Al punto 6 del programma elettorale di Fratelli d’Italia, il partito di cui Meloni è leader, «il taglio del cuneo fiscale e contributivo» veniva appunto definito strutturale. Tuttavia l’anno scorso si capì subito che le cose sarebbero state più complicate di così: il governo si trovò a dover fare una legge di bilancio a poche settimane dal proprio insediamento avvenuto a ottobre, avendo a disposizione poche risorse e in un contesto economico molto complicato.

C’era da un lato la necessità di prolungare le misure straordinarie contro il caro energia, in un periodo in cui i prezzi erano alti e si temeva ancora per le riserve di gas per l’inverno dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Dall’altro, e questo vale anche per quest’anno, si doveva gestire la pesante eredità fiscale del Superbonus e degli altri bonus edilizi, che continuano a pesare sul bilancio dello Stato per una ventina di miliardi all’anno, circa 120 miliardi in totale. Il tutto, peraltro, in una situazione economica internazionale altrettanto complicata, con una politica di rialzo dei tassi da parte della Banca Centrale Europea impegnata nel contrasto all’inflazione. Tutto ciò ha indotto e per certi versi obbligato il governo ad adottare una condotta estremamente prudente sui conti pubblici.

Per quel che riguarda il taglio del cuneo fiscale, la misura era stata introdotta con una logica di breve scadenza fin dall’inizio. Era il primo maggio scorso quando il Consiglio dei ministri, con un provvedimento sul lavoro perlopiù simbolico approvato appunto nel giorno della Festa dei lavoratori, introduceva quello che Meloni definì «il taglio delle tasse sul lavoro più importante degli ultimi decenni». In realtà era una riduzione modesta, sia pur significativa, e soprattutto aveva una durata di sei mesi.

Di qui, la necessità di rinnovarla nella legge di bilancio approvata lunedì. Ma la legge di bilancio decide di farlo anche in questo caso a tempo limitato: con una proroga che vale solo per il 2024. Durante la sua audizione in parlamento la scorsa settimana, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva peraltro rivendicato la natura temporanea dell’intervento: «Sono fiero di aver messo un’ipoteca a favore dei lavoratori, così tutti i governi in futuro dovranno trovare le risorse». Cosa che con ogni probabilità dovrà fare anzitutto lui stesso, visto che con la legge di bilancio del prossimo anno si ripresenterà lo stesso problema, cioè come rifinanziare il taglio del cuneo fiscale per il 2025.

È una questione che riguarda anche l’altra grande misura inserita nella legge di bilancio, cioè gli interventi sull’IRPEF. Anche in questo caso, il governo aveva dimostrato di puntare molto sul provvedimento: «Una riforma che l’Italia aspettava da 50 anni», aveva detto Meloni quando, nell’agosto scorso, la Camera approvò definitivamente la legge di delega fiscale, cioè la legge che doveva ristrutturare il sistema delle principali tasse italiane. Di questa riforma «storica» la legge di bilancio attua in realtà una parte marginale, l’accorpamento delle prime due delle quattro aliquote IRPEF.

La limitatezza dell’intervento si spiega anche con la limitatezza delle risorse disponibili, e anche l’accorpamento delle aliquote varrà solo per il 2024, visto che non vengono previste coperture economiche per finanziare la misura a partire dall’anno seguente.

Sulla durata delle misure intese a sostegno delle donne e della natalità c’è meno certezza, si dovrà attendere di poter leggere il provvedimento nella sua interezza. Un comunicato del ministero dell’Economia, infatti, lunedì sera ha precisato che per le donne con almeno tre figli la misura sarà strutturale, senza però chiarire la portata economica del provvedimento.