Forza Italia è ancora lì

In tanti la davano per spacciata dopo la morte di Silvio Berlusconi, e invece l'attuale segretario Antonio Tajani sta rianimando la base elettorale con l'aiuto di Salvini, Renzi e Calenda

Antonio Tajani con i colleghi di partito durante la seconda giornata del congresso nazionale di Forza Italia a Roma, il 24 febbraio 2024 (RICCARDO ANTIMIANI/ANSA)
Antonio Tajani con i colleghi di partito durante la seconda giornata del congresso nazionale di Forza Italia a Roma, il 24 febbraio 2024 (RICCARDO ANTIMIANI/ANSA)
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Tra i dati più significativi emersi dalle elezioni regionali in Abruzzo di domenica scorsa, vinte dal candidato della destra Marco Marsilio, c’è il buon risultato di Forza Italia, che ha ottenuto il 13,4 per cento dei consensi e 77.800 voti. Dopo le elezioni sarde del 25 febbraio, quindi, quelle in Abruzzo consolidano il ruolo di Forza Italia come secondo partito della coalizione almeno nel Centro e nel Sud, e rendono più vicino l’obiettivo di superare la Lega anche sul resto del territorio nazionale a giugno, quando si voterà per le elezioni europee.

In Sardegna infatti Forza Italia aveva tenuto, come si dice in gergo, andando in un modo non eccezionale ma comunque soddisfacente: il 5,5 per cento con 43.100 voti. Meno di quello che aveva raccolto alle politiche del settembre 2022 (l’8,6 per cento con 58.800 voti) e alle precedenti regionali del 2019 (l’8 per cento con 57.5400 voti), ma abbastanza per superare la Lega, che aveva ottenuto appena il 3,7 per cento (25.600 voti), in calo sia rispetto alle politiche del 2022 (6,3 per cento e 42.800 voti) sia rispetto alle regionali del 2019, quando era in piena crescita in tutt’Italia e raggiunse sull’Isola l’11,4 per cento con 81.400 voti.

In Abruzzo questa tendenza si è confermata in modo ancor più netto, e non solo rispetto alla Lega, che col 7,6 per cento e 43.800 voti ha ottenuto poco più della metà dei consensi di Forza Italia, ma anche rispetto ai precedenti: alle regionali del 2019 Forza Italia aveva ottenuto il 9 per cento con 54.200 voti, e alle politiche del 2022 l’11,1 per cento con 69.500 voti. In Abruzzo insomma non ha semplicemente tenuto, ma si è rafforzata. I dirigenti di Forza Italia non a caso hanno esultato per questo risultato. Il report dell’Istituto Carlo Cattaneo, uno dei centri di ricerca italiani più autorevoli nell’analisi dei flussi elettorali, ridimensiona però questo entusiasmo, spiegando come non ci sia stato alcun «enorme balzo in avanti» e parlando piuttosto di una «lenta ripresa» di Forza Italia, che si è avvalsa anche di «candidati al Consiglio [regionale, ndr] che trainano più dei candidati di altri partiti».

Questo è un aspetto che va tenuto sempre in grande considerazione, quando si analizzano i voti locali. Sul loro esito influisce molto la capacità dei singoli candidati di costruire reti di relazioni e consenso personali e raccogliere preferenze anche al di là delle convinzioni ideologiche dei vari elettori, che votano appunto la persona più che il partito. E in questo aspetto Forza Italia ha sempre mostrato solidità nelle regioni del Centro e del Sud. Si spiegano così per esempio alcuni dati notevoli in certe aree della Sardegna: nel comune di Olbia, guidato dal forzista Settimo Nizzi, già due volte deputato e in precedenza due volte sindaco tra il 1997 e il 2007, Forza Italia ha ottenuto il 25 per cento con 5.627 voti. Più del doppio di Fratelli d’Italia.

Lo stesso è accaduto in Abruzzo, dove Forza Italia ha potuto contare sul consenso di alcuni suoi candidati particolarmente radicati sul territorio, come Roberto Santangelo all’Aquila che ha preso 9.555 preferenze, o il presidente del Consiglio regionale uscente Lorenzo Sospiri, pescarese, con 8.822 preferenze.

«Ma tutti i nostri candidati hanno fatto ottime prestazioni: basti pensare che solo 3 su 29 hanno ottenuto meno di mille preferenze, che non è poco in una regione di 1,2 milioni di abitanti», dice il deputato Nazario Pagano, coordinatore del partito in Abruzzo. Un’ulteriore conferma dell’abilità del partito ad attrarre nuove forze sta anche nella classe dirigente: il gruppo di Forza Italia nel consiglio regionale dopo le elezioni del 2019 aveva appena 3 membri, negli anni successivi sono aumentati fino a diventare 8 (una è Sara Marcozzi, candidata alla presidenza della regione nel 2019 con il Movimento 5 Stelle, poi 3 sono arrivati dalla Lega e 1 da una lista civica centrista).

Il deputato Nazario Pagano, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e coordinatore di Forza Italia in Abruzzo (FABIO CIMAGLIA/ANSA)

Nel complesso, sia in Abruzzo sia in Sardegna è successa una cosa che Alessandra Ghisleri, sondaggista un tempo molto vicina a Silvio Berlusconi e che conosce bene le tendenze elettorali della destra e del centrodestra, ha spiegato in una sua analisi pubblicata mercoledì sul quotidiano La Stampa: e cioè che parecchi elettori storici che negli anni scorsi avevano creduto nell’ascesa di Salvini, ora stanno ritornando un po’ “a casa”, per così dire, e quindi quelli più di destra estrema sostengono Fratelli d’Italia e quelli più moderati ricominciano a votare Forza Italia.

Da questo punto di vista la forza di attrazione che per ora Forza Italia sta dimostrando non era affatto scontata. Dopo la morte di Berlusconi, nel giugno del 2023, le previsioni di quasi tutti i commentatori politici erano concordi nel considerare improbabile una sopravvivenza di Forza Italia nel medio e lungo periodo. Nel gruppo dirigente di Fratelli d’Italia c’era chi temeva un rapido tracollo del partito, con eventuali conseguenze gravi anche sulla stabilità del governo di Giorgia Meloni; gli stessi parlamentari di Forza Italia erano cauti sul futuro prossimo.

In tutto questo la leadership di Tajani, ottenuta senza una vera investitura popolare, sembrava appannata, contestata peraltro da una corrente del suo partito che gli rimproverava un eccessivo asservimento nei confronti di Meloni.

Il momento più critico per Tajani e per la sua autorevolezza di leader fu l’8 agosto, quando tornando da una visita istituzionale in Belgio, a Marcinelle, scoprì che Meloni aveva deciso di approvare nel Consiglio dei ministri di quel tardo pomeriggio una misura che introduceva una tassa sugli extraprofitti bancari, cioè sui maggiori utili conseguiti dalle banche in seguito all’aumento dei tassi d’interesse sui mutui e sui prestiti. Tajani, preso alla sprovvista, e dopo un rapido consulto con alcuni colleghi di partito, acconsentì e i cinque ministri di Forza Italia votarono il provvedimento.

La decisione però portò a una serie di polemiche e contestazioni. I giornali stranieri più attenti alle questioni economiche, come i britannici Financial Times o l’Economist, criticarono la norma, il mondo bancario ne indicò alcune storture e si lamentò del mancato coinvolgimento, lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ammise gli errori compiuti nel pensare e poi annunciare il provvedimento in modo improvvisato. Qualche settimana dopo la tassa venne di fatto annullata.

L’immagine di Tajani, sia di fronte ai suoi parlamentari sia nella percezione degli ambienti industriali e finanziari di cui Forza Italia si propone come referente politico, ne uscì ammaccata, anche perché Meloni spiegò che non aveva ritenuto di condividere con lui le informazioni perché erano questioni delicate, delegittimandolo ulteriormente. La famiglia Berlusconi, che ha importanti interessi nel settore bancario, criticò la scelta, e segnalò il proprio malcontento a Tajani, che a seguito di quell’incidente istituì un apposito “comitato economico” a cui rivolgersi in casi del genere: ne fanno parte parlamentari ed ex parlamentari, come Alessandro Cattaneo e Sestino Giacomoni, manager e importanti funzionari del mondo bancario e finanziario, come Renato Sala di MPS, Federico Cornelli della CONSOB (l’organo di controllo italiano dei mercati finanziari), l’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Enrico Tommaso Cucchiani, l’ex comandante generale della Guardia di Finanza Giorgio Toschi.

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani all’ultima giornata dell’edizione 2023 della festa di Fratelli d’Italia, Atreju, a Roma, il 17 dicembre 2023 (FABIO CIMAGLIA/ANSA)

Sembrava un po’ il momento decisivo per il declino di Forza Italia, e invece da quel momento le cose cambiarono in meglio. Matteo Renzi e Carlo Calenda proprio in quelle settimane ufficializzarono la rottura definitiva del loro “cartello” elettorale, il cosiddetto Terzo Polo tra Italia Viva e Azione che aveva l’obiettivo di attrarre consensi e dirigenti politici nell’area moderata del centro, la stessa occupata da Forza Italia.

Un obiettivo che fin qui si è rivelato fallimentare: Letizia Moratti, che si era candidata alle regionali in Lombardia nel febbraio del 2023 con il Terzo Polo, lo scorso ottobre è tornata in Forza Italia, e su questo ritorno Tajani ha costruito molta della sua narrazione per dimostrare che il suo partito è ancora appetibile. Allo stesso tempo anche le tattiche seguite da Salvini hanno aiutato indirettamente Tajani. Dopo la morte di Berlusconi, il leader della Lega ha rinunciato ad accreditarsi come un nuovo riferimento per il mondo imprenditoriale del Nord, e ha invece deciso di riposizionarsi all’estrema destra, rafforzando alleanze con partiti euroscettici e ultranazionalisti e lasciando quel ruolo ancora a Forza Italia.

Tajani ha quindi organizzato una mobilitazione sul territorio con eventi, tesseramenti e congressi locali. Una mobilitazione che è culminata poi nel congresso nazionale che si è tenuto a fine febbraio a Roma concludendosi con la riconferma a segretario di Tajani, che era del resto l’unico candidato. Sembrava uno sforzo per certi versi artificioso, sia per l’assenza di una concreta alternativa e di una competizione reale sia per la tradizione personalistica del partito, che per vent’anni è stato una semplice emanazione di Silvio Berlusconi: eppure è servito a rianimare la base elettorale e quella del partito.

Inoltre, Tajani ha anche ottenuto piccole vittorie politiche: nella lunga trattativa all’interno della destra per scegliere chi candidare alle cinque elezioni regionali in programma nel 2024, Forza Italia sembrava dover cedere alle richieste di Lega e Fratelli d’Italia che rivendicavano ciascuna un maggiore peso, in quanto primo e secondo partito. Alla fine di tutto quanto però ne è uscita meglio Forza Italia, che è riuscita a confermare entrambe le candidature dei presidenti uscenti di Basilicata e Piemonte, Vito Bardi e Alberto Cirio.