I rischi della tassa sugli “extraprofitti” delle banche

La misura approvata inaspettatamente dal governo potrebbe avere grosse conseguenze sul mercato del credito

Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini (AP Photo/Domenico Stinellis)
Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini (AP Photo/Domenico Stinellis)
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Il governo ha inserito nei cosiddetti decreti omnibus anche una tassa sugli “extraprofitti” delle banche, cioè quei maggiori guadagni ottenuti dalle banche grazie all’aumento dei tassi di interesse sui mutui e prestiti che si è visto nell’ultimo anno. Questo aumento era stato determinato a sua volta dagli aumenti dei tassi di interesse decisi dalla Banca Centrale Europea per fermare l’inflazione. La notizia ha fatto scendere moltissimo il valore dei titoli finanziari delle banche italiane quotate in borsa: alcune sono arrivate anche a perdere il 10 per cento, per una perdita complessiva di 10 miliardi di euro.

Non è ancora chiaro a cosa saranno destinati i proventi di questa tassa. In conferenza stampa il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha spiegato che il governo intende ricavarci «alcuni miliardi» e successivamente ha detto che l’idea è di usarli per aiutare le famiglie in difficoltà col pagamento delle rate dei mutui. È un tema su cui Salvini e il governo si erano molto impegnati: hanno sempre criticato la politica della BCE di aumento dei tassi di interesse, che tra le varie conseguenze ha fatto aumentare notevolmente le rate del mutuo di chi lo ha stipulato a tasso variabile. In Italia ci sono moltissime persone con mutui di questo tipo ed è un argomento molto sentito sul piano politico. La tassa sugli “extraprofitti” delle banche servirebbe a dare una risposta a questa questione, ma sta facendo molto discutere per le conseguenze che rischia di avere sul sistema bancario e sul mercato del credito in generale, per almeno tre motivi.

Il primo è legato all’impatto che può avere una tassa sugli extraprofitti sui costi delle banche. È probabile infatti che le banche scaricheranno gli oneri di questa tassazione aggiuntiva sui clienti, in termini di maggiori commissioni e costi sui conti correnti, tra le altre cose. Ed è probabile perché il mercato bancario italiano è caratterizzato dalla presenza di grandi gruppi bancari e da una concorrenza piuttosto ridotta: questo significa che le banche hanno la possibilità di tenere alti i costi senza temere di perdere clienti.

E questo si è visto anche nell’ultimo anno, dato che le banche italiane hanno scaricato ampiamente il costo dell’aumento dei tassi di interesse sui clienti: a fronte di un aumento dei tassi di interesse di riferimento di 4,25 punti percentuali da parte della BCE, hanno aumentato quelli dei mutui (ossia quelli che le banche stesse percepiscono) di 2,61 punti e quelli sui conti correnti (che le banche devono invece pagare ai clienti) di solo 0,32 punti percentuali. I conti correnti sono ormai reputati da molti un servizio di pagamento, che quindi non dovrebbero pagare un interesse: ma anche nel caso di altri strumenti simili, come i depositi, i tassi da pagare ai clienti sono stati aumentati molto meno di quelli sui prestiti.

Aumentando i tassi in loro favore di quasi dieci volte in più rispetto ai tassi che corrispondono ai clienti, le banche quindi hanno guadagnato notevolmente. Nel 2022 le due più grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno guadagnato oltre il 30 per cento in più rispetto all’anno precedente e anche nei bilanci delle altre banche italiane c’è stato un aumento dei profitti elevato.

– Leggi anche: Le banche italiane stanno guadagnando parecchio dall’aumento dei tassi d’interesse

In precedenza non era stato così. Le banche venivano infatti da un periodo di scarsissima redditività, visto che per anni i tassi sui prestiti sono stati vicini a zero e quelli sui depositi addirittura negativi: in quel caso le banche hanno tenuto i tassi di interesse sui prestiti piuttosto bassi e in linea con la politica monetaria, ma non hanno mai portato i tassi sui conti correnti dei clienti in negativo, assorbendo quindi la differenza.

Molti temono insomma che una tassa di questo tipo possa finire per danneggiare il business delle banche, che soprattutto in Italia sono essenziali per un buon funzionamento dell’economia.

Il secondo rischio di questa misura è legato al fatto che le tassazioni sugli “extraprofitti” sono generalmente usate in modo straordinario per correggere alcune tendenze di mercato distorsive e inique. Un esempio è la tassa sugli “extraprofitti” che molti paesi, tra cui l’Italia, hanno applicato sui guadagni eccezionali che hanno conseguito le aziende energetiche dall’inizio della guerra in Ucraina.

In economia si chiamano windfall tax e sono tasse straordinarie che si applicano a discrezione dei governi verso determinate imprese che stanno traendo un vantaggio da circostanze impreviste ed eccezionali. L’obiettivo di queste tasse è raccogliere fondi per finanziare misure a favore di chi invece è stato svantaggiato dalla situazione. Per esempio in Italia la tassa sugli “extraprofitti” delle società energetiche è servita a finanziare alcune misure a sostegno di cittadini e imprese che stavano pagando bollette elevate.

Per loro natura sono tasse straordinarie che servono quindi a correggere alcune distorsioni di mercato eccezionali, precise e temporanee. L’aumento dei tassi di interesse da parte di una banca centrale per contrastare l’inflazione rientra però nelle dinamiche di un normale ciclo economico, sebbene il rialzo dell’ultimo anno da parte della BCE sia comunque uno dei più vigorosi e veloci della storia dell’euro. In questo caso è la tassa in sé che rischia di essere distorsiva per il mercato bancario e un notevole precedente di tassazione arbitraria di un particolare settore che stava andando bene.

Infine, secondo molti critici questa tassa rischia di essere iniqua se effettivamente, come dice Salvini, i proventi saranno destinati a compensare l’aumento delle rate per chi ha un mutuo a tasso variabile: di fatto si darebbero dei soldi a chi per scelta ha optato per a una soluzione più rischiosa rispetto ai mutui a tasso fisso – che costano di più, ma danno la sicurezza di non variare nel tempo – e proprio per aver accettato quel rischio per anni ha beneficiato di tassi molto bassi sul proprio mutuo.

I mutui a tasso variabile per definizione hanno una componente di imprevedibilità: le rate sono agganciate alle oscillazioni e all’andamento dei cosiddetti indici Euribor, ossia il tasso di interesse medio a cui le banche europee si prestano denaro. A questo viene poi aggiunto un cosiddetto “spread”, una percentuale che varia da banca a banca e che rappresenta sostanzialmente il loro guadagno. Per esempio, se l’indice Euribor di riferimento è del 3 per cento e lo spread della banca è dell’1,5, il tasso di interesse totale sarà la somma delle due componenti, ossia il 4,5 per cento. L’Euribor sale se i tassi di interesse di riferimento aumentano, come sta succedendo da oltre un anno.

I mutui a tasso fisso invece non risentono delle dinamiche dei tassi di interesse e dei mercati; l’ammontare della rata non subirà mai variazioni, indipendentemente dai rialzi dei tassi di interesse. È questo il motivo per cui il mutuo a tasso fisso costa quasi sempre più del variabile: il sovrapprezzo copre una sorta di polizza assicurativa che consente al debitore di pagare sempre la rata stabilita nel giorno della stipula, fino alla scadenza.

Al momento della stipula di un mutuo la scelta tra tasso di interesse fisso e tasso variabile dipende da varie cose. La principale valutazione che solitamente si fa è quella di essere disposti o meno a rischiare di pagare rate più alte in periodi di rialzo dei tassi, a fronte di periodi in cui le rate saranno più basse della media quando i tassi scendono. Se non si vuole essere esposti alle fluttuazioni di mercato o se si crede di non potersi permettere rate troppo alte, allora il mutuo a tasso fisso è la scelta migliore, per quanto più costoso.

Dare delle somme per compensare gli aumenti delle rate a chi ha fatto un mutuo a tasso variabile significherebbe compensare le conseguenze di scelte finanziarie precise e rischiose, scaricandone il costo sulla collettività.

Molti hanno fatto notare che spesso le persone si ritrovano in difficoltà con il mutuo perché al momento della stipula e della scelta del tasso di interesse hanno sottovalutato i rischi del tasso variabile, anche per scarse conoscenze finanziarie. L’Italia è uno dei paesi europei in cui l’educazione finanziaria – ossia la conoscenza degli strumenti di base per la gestione delle finanze personali – è più bassa. E questo si riflette anche sul fatto che il tasso variabile è molto diffuso, per quanto rischioso: secondo i dati dell’ABI i mutui a tasso variabile sono il 37 per cento del totale.

Chi ha già un mutuo a tasso variabile al momento può solamente ricorrere alle misure riparative che già esistono, come la rinegoziazione o la richiesta di sospensione delle rate.

– Leggi anche: Ci sono soluzioni per chi ha un mutuo a tasso variabile e paga rate sempre più alte?

Oltre a questi tre rischi, c’è poi un altra questione. Molti hanno fatto notare che il rialzo dei tassi di interesse ha comunque delle controindicazioni anche per le banche. Anzitutto è una politica temporanea e prima o poi le banche centrali abbasseranno i tassi, quindi anche le banche si ritroveranno a dover abbassare quelli che applica sui prestiti.

Inoltre alla lunga i tassi di interesse alti rischiano di essere controproducenti per la redditività delle banche, perché rallentano l’attività economica in generale: l’obiettivo delle banche centrali è proprio quello di rallentare l’economia per fermare tutte quelle dinamiche che portano agli aumenti dei prezzi. Con interessi più alti nel tempo ci sarà una sempre minore richiesta di mutui e prestiti, e quindi nel tempo meno utili per le banche.