Meloni e Schlein si stanno un po’ invertendo i ruoli sul PNRR

Mentre la prima ha smesso di essere scettica, la seconda propone modifiche che lo metterebbero a rischio

Elly Schlein ospite della trasmissione Porta a Porta, 10 ottobre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Elly Schlein ospite della trasmissione Porta a Porta, 10 ottobre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Lunedì il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto decreto “Energia” voluto dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, di Forza Italia. Il provvedimento era stato già proposto dallo stesso Pichetto Fratin il mese scorso, ma all’ultimo momento non era stato presentato nel Consiglio dei ministri del 23 ottobre per l’opposizione del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, che è il responsabile dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Quella bozza del decreto conteneva infatti una misura in conflitto con gli obiettivi del piano, la proroga del cosiddetto mercato tutelato dell’energia, ovvero un regime di mercato in cui le forniture di corrente e gas avvengono a prezzi stabiliti dall’ARERA, l’Autorità pubblica di regolazione del settore. La nuova versione approvata lunedì è stata privata di qualsiasi riferimento a questa misura, quindi nessuna proroga.

Il provvedimento è passato con l’unanimità in Consiglio dei ministri ma ha comunque generato malumori all’interno della stessa maggioranza parlamentare, come vedremo. Inoltre il giorno dopo quel Consiglio dei ministri è successa una cosa un po’ strana: a unirsi alle proteste di una parte della destra, e in particolare della Lega, è stata anche Elly Schlein. La segretaria del Partito Democratico ha criticato duramente questa scelta, definendola «una specie di tassa Meloni sulle bollette». Nel frattempo il PD ha proposto alcune modifiche alla norma per reintrodurre la proroga del mercato tutelato, e ha invitato i gruppi di maggioranza a condividere questa iniziativa.

Il tutto succedeva nelle stesse ore in cui la presidente Giorgia Meloni rivendicava di aver ottenuto da parte della Commissione Europea il parere favorevole per il pagamento della quarta rata del PNRR relativa ai 28 traguardi del primo semestre 2023, da cui l’Italia riceverà nelle prossime settimane 16,5 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni. È il secondo buon risultato conseguito dal governo nel giro di pochi giorni su questo, poiché venerdì la Commissione Europea aveva approvato il progetto di revisione del PNRR italiano con il nuovo capitolo dedicato all’energia, il RePowerEU.

Anche in quel caso Meloni ci aveva tenuto a dare risalto al successo. Aveva persino diffuso un messaggio un po’ ambiguo, lasciando intendere che tramite la revisione l’Italia avesse ottenuto «21 miliardi di euro in più», mentre in verità i miliardi in più che derivano dalla modifica del piano sono 2,9. Da 191,5 miliardi, comprendendo sia prestiti sia sovvenzioni, si passa ora a 194,4. Nel calcolo improprio proposto da Meloni vengono invece considerati i circa 18 miliardi che vengono riallocati: prima erano destinati a un certo progetto, e dopo la revisione verranno utilizzati per un altro.

Meloni al Senato accanto al ministro Fitto, 25 ottobre 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Al netto di questo tentativo di migliorare un po’ la realtà, Meloni ha comunque dimostrato nell’ultimo periodo una determinazione sul PNRR che non era scontata, visto lo scetticismo mostrato da lei stessa e da vari esponenti di Fratelli d’Italia nel recente passato. Nel maggio del 2020 per esempio i leader europei stavano discutendo dell’istituzione del Recovery Fund, cioè lo strumento europeo per finanziare gli aiuti ai diversi piani nazionali come il PNRR italiano. Meloni per commentare le trattative scrisse una lettera al Corriere della Sera sostenendo che sarebbe stato più saggio per l’Italia puntare non su quei fondi comunitari o su quelli del Meccanismo europeo di stabilità (MES), che avrebbero lasciato il nostro Paese «alla mercé dell’asse franco-tedesco», ma su un prestito speciale del Fondo monetario internazionale: i Diritti speciali di prelievo, un tipo di sovvenzione che l’FMI stanzia quasi esclusivamente per i Paesi in via di sviluppo.

Al Parlamento Europeo nel febbraio del 2021 Fratelli d’Italia si astenne nella votazione decisiva sui finanziamenti europei, criticando il progetto anche duramente. Lo stesso avvenne al parlamento italiano nell’aprile del 2021: gli esponenti di Fratelli d’Italia dissero che il governo guidato da Mario Draghi non aveva lasciato a deputati e senatori un tempo congruo per analizzare nel dettaglio il piano elaborato dall’Italia.

Durante la campagna elettorale in vista del voto di settembre 2022, poi, Meloni e altri dirigenti del suo partito evocarono più volte la necessità di modificare profondamente il PNRR. Secondo loro chiedere l’intera quota di prestiti messa a disposizione per l’Italia dalla Commissione Europea, 122 miliardi, era un errore che avrebbe poi limitato la possibilità di revisione. Tra i parlamentari della maggioranza di destra, in particolare tra quelli della Lega di Matteo Salvini, ci fu chi propose di rinunciare a una parte di quei fondi.

Una volta entrato in carica a ottobre del 2022, il governo Meloni ha spesso raccontato il PNRR più come un obbligo gravoso da dover rispettare, che non come una straordinaria possibilità di fare riforme e investimenti. A volte ha alimentato polemiche poco utili a risolvere i problemi, come quella con la Corte dei Conti. La modifica della governance, cioè della struttura governativa che aveva il compito di sovrintendere al piano, si è trascinata per mesi rallentandone l’attuazione. Si sono accumulati ritardi soprattutto sulla terza rata, e tuttora c’è il rischio concreto che la quinta rata, che riguarda gli obiettivi del secondo semestre del 2023, non venga conseguita entro la fine dell’anno come previsto.

Nel complesso però i lavori stanno procedendo, e su alcuni passaggi molto delicati il governo ha sostanzialmente ottenuto dalla Commissione Europea i riconoscimenti sperati. In questo senso è cambiata anche la retorica del governo e di Meloni al riguardo.

Tutto ciò mentre nel PD di Schlein l’attenzione sul PNRR è venuta progressivamente meno. Tra le priorità che la segretaria del partito ha indicato, sempre più negli ultimi mesi hanno prevalso temi di carattere sociale (salario minimo, pensioni), oltre che i diritti civili. La polemica di questi giorni sul mercato tutelato, invece, segna un po’ un cambio d’approccio: per la prima volta in maniera così esplicita il PD invoca l’adozione di una misura in palese contrasto con gli obiettivi del PNRR.

Schlein nella conferenza stampa in cui ha criticato Meloni sulla mancata proroga non ha eluso il tema. Ha ricordato che il governo ha impiegato dieci mesi per definire la proposta di revisione del piano. «Hanno fatto molte modifiche su molti punti del PNRR: perché su questo no?». Schlein ha insistito sul fatto che questa modifica sarebbe stata indispensabile perché è cambiato lo scenario del mercato internazionale, dopo la guerra in Ucraina e la crisi energetica.

L’obiezione di Schlein non sta in piedi. La fine del mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas è stata inserita nella legge annuale della concorrenza voluta dal governo di Mario Draghi nel novembre del 2021 ed entrata in vigore nell’agosto del 2022: è un provvedimento inserito tra gli obiettivi del PNRR fissati per il secondo semestre dello stesso 2022, quelli relativi cioè alla terza rata. Proprio per questo, anche se il governo Meloni avesse voluto, non avrebbe potuto modificare quella norma perché formalmente, secondo quanto comunicato alla Commissione Europea, era un obiettivo già conseguito, che come tutti quelli della terza rata non poteva essere oggetto di revisione.

In altre parole, se ora il governo seguisse il consiglio di Schlein incorrerebbe nel cosiddetto rischio di reversal, cioè di inversione di rotta, una procedura definita da un regolamento della Commissione Europea. Succede quando un governo contraddice una norma prevista nel PNRR, oppure approva un provvedimento che è in contrasto con le riforme inserite nel piano. Insomma, quando un governo va nella direzione opposta a quella concordata. Dopo aver fatto le verifiche necessarie, in questi casi la Commissione può sospendere i pagamenti successivi o ridimensionarli, in attesa di ravvedimenti da parte dello Stato membro. Trascorsi sei mesi dall’avvio della procedura, se il governo non ha preso provvedimenti, può revocare anche i pagamenti già effettuati relativi alla rata in cui era inserito l’obiettivo poi ritrattato.

La questione indicata da Schlein ha quindi un’evidente natura demagogica. Il costo delle bollette è un tema su cui si cerca sempre di raccogliere consenso facile, e su questo punto ogni partito ci tiene ad apparire molto attento ai bisogni di cittadini e cittadine. È una battaglia del tutto legittima sul piano politico, ma finora il PD aveva evitato di scendere su questo campo quando di mezzo c’era il PNRR. Non è solo Schlein, tuttavia, a suggerire questa scelta al governo. Anche nella coalizione di maggioranza di destra, infatti, ci sono stati parlamentari che hanno depositato proposte analoghe alla Camera e al Senato. In particolare Matteo Salvini ha chiesto esplicitamente a Meloni e Fitto di prorogare il mercato tutelato, anche a costo di riaprire una trattativa con l’Unione Europea. Nonostante le obiezioni espresse da Meloni martedì mattina, la Lega insiste su questo punto.