Le cose che il governo vorrebbe fare ma non può per via del PNRR

L’anno scorso era il POS non obbligatorio, adesso il rinvio di norme per la concorrenza sul mercato dell’energia

(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)

Lunedì il Consiglio dei ministri ha deciso di non approvare due misure che erano state proposte dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, ampiamente anticipate da diversi quotidiani che ne avevano descritto l’entrata in vigore come imminente. Le due misure sono due proroghe. Una riguarda il mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas, per prolungare oltre la scadenza prevista del 10 gennaio 2024 i contratti a prezzo stabilito dall’ARERA, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente. L’altra misura avrebbe ritardato l’avvio delle procedure di assegnazione di alcune concessioni idroelettriche oltre il termine previsto del 31 dicembre 2023.

Tuttavia entrambi i provvedimenti erano in conflitto con gli obiettivi fissati dal PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo spiega come intende spendere i finanziamenti che arriveranno dall’Unione Europea. Quindi avrebbero potuto comprometterne l’attuazione, mentre l’Italia sta attraversando una fase delicata nelle trattative con la Commissione Europea per l’approvazione delle modifiche al piano proposte dal governo: e non è la prima volta che il governo si trova a dover scartare misure che aveva proposto a causa del PNRR.

Non è un caso che a obiettare sull’approvazione delle due misure sia stato Raffaele Fitto, il ministro per gli Affari europei che ha la delega al PNRR. Erano state proposte dal ministero dell’Ambiente al cosiddetto “pre-consiglio”, cioè la riunione preparatoria che anticipa di solito di alcune ore il Consiglio dei ministri e in cui i funzionari dei vari ministeri analizzano sul piano tecnico le misure che poi verranno esaminate dai ministri. Al pre-consiglio sono emersi chiaramente i dubbi sulla compatibilità delle due proroghe con il PNRR, e subito dopo si è deciso di non inserirle nell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Fonti dello staff di Pichetto Fratin hanno detto al Post che sono state rinviate al Consiglio dei ministri della prossima settimana, ma al momento questa decisione non è stata confermata né dalla presidenza del Consiglio né dal ministero per gli Affari europei.

Una cosa simile era successa l’anno scorso, durante la discussione della legge di bilancio, nelle cui bozze era stata inserita una norma che limitava l’utilizzo dei pagamenti elettronici con il POS, poi ritirata. Il governo infatti inizialmente voleva introdurre una misura che rimuoveva l’obbligo per i commercianti di accettare il pagamento tramite POS per cifre inferiori a 30 euro. Quando la bozza della legge di bilancio iniziò a circolare, alcuni giornali e vari partiti di opposizione fecero notare che una simile disposizione sarebbe entrata in conflitto con un obiettivo fissato nel PNRR. A quel punto, a seguito di preoccupazioni espresse anche da Banca d’Italia, il governo decise di rimuovere quella misura.

La questione era delicata, perché l’obiettivo contemplato nel PNRR prevedeva infatti la “definizione di efficaci sanzioni amministrative in caso di rifiuto di accettare pagamenti elettronici da parte dei fornitori privati”. Proprio per raggiungere questo obiettivo il governo Draghi aveva inserito in un apposito decreto del novembre 2021 una norma che prevedeva «una sanzione amministrativa pecuniaria di 30 euro, aumentata del 4 per cento del valore della transazione oggetto del rifiuto, nei casi di mancata accettazione di un pagamento, di qualsiasi importo, effettuato con una carta». La norma sarebbe dovuta entrare in vigore il 1° gennaio 2023, ma poco dopo si decise di anticipare di ulteriori 6 mesi quella scadenza, per andare incontro a specifiche sollecitazioni della Commissione Europea. Mantenendo quella misura sul POS in legge di bilancio, dunque, il governo Meloni avrebbe rischiato di compromettere l’attuazione del PNRR.

Il punto è che il PNRR prevede scadenze semestrali (anche se il termine dei sei mesi non è perentorio, ma indicativo), al termine delle quali vanno raggiunti alcuni obiettivi da cui dipende poi l’erogazione dei fondi corrispondenti previsti. La Commissione Europea, cioè, al termine di ciascuna scadenza riceve dallo Stato membro una richiesta di pagamento: a quel punto verifica che gli obiettivi siano stati effettivamente raggiunti e in seguito manda i soldi. Solo che nel caso in cui quegli stessi obiettivi per cui sia stato già corrisposto il pagamento vengano poi disattesi o pregiudicati, la Commissione può procedere a tagliare le rate successive rivalendosi così sullo Stato che è venuto meno agli impegni presi.

Era appunto quello che sarebbe successo se si fosse approvata la norma sul POS, ed è un rischio a cui l’Italia andrebbe incontro oggi se venissero approvate le proroghe rimaste in sospeso lunedì.

Queste due misure riguardano entrambe obiettivi che il governo di Mario Draghi aveva inserito nel PNRR, alla voce: «Rimozione di barriere all’entrata nei mercati», cioè misure che rientrano nella legislazione in favore della concorrenza, una materia su cui l’Italia è spesso considerata manchevole o in ritardo dalle istituzioni europee. L’ordinamento italiano prevede fin dal 2009 l’approvazione di una legge per il mercato e la concorrenza ogni anno, ma fino alla ratifica del PNRR l’Italia ne aveva adottata una sola, nel 2017, con il governo di Paolo Gentiloni.

Per questo nel PNRR c’era l’impegno a garantire la cadenza annuale di una legge sulla concorrenza. Nella prima di queste, proposta nel 2021 dal governo Draghi ed entrata definitivamente in vigore nell’estate del 2022, venivano introdotte norme per favorire la liberalizzazione sia del mercato dell’energia sia di quello delle concessioni idroelettriche: le due misure che appunto ora tornano in discussione.

A gennaio 2024 come abbiamo detto era prevista la fine del mercato tutelato dell’energia. Con questa espressione ci si riferisce a quelle forniture di energia che avvengono sotto la “tutela” dell’ARERA, a condizioni e prezzi stabiliti da questa autorità pubblica. Tutte le persone che ancora adottano questo genere di servizio dovrebbero scegliere un’offerta nel mercato cosiddetto libero entro la scadenza di gennaio fissata anche nel PNRR. Il ministro Pichetto Fratin questa settimana ha proposto di rinviare questa scadenza.

Nel PNRR l’obiettivo è indicato in modo chiaro:

In materia di vendita di energia elettrica occorre completare il processo di piena liberalizzazione nel settore previsto per il 2023, attraverso l’adozione di regole finalizzate ad assicurare un passaggio consapevole e trasparente al mercato libero da parte della clientela domestica e delle microimprese, anche seguendo il modello già adottato per il servizio a tutele graduali, fissando tetti alla quota di mercato, e potenziando la trasparenza delle bollette per garantire maggiore certezza ai consumatori.

Questo obiettivo era già stato considerato raggiunto con il pagamento della terza rata, eseguito dalla Commissione Europea solo poche settimane fa con 18,5 miliardi di euro, sulla base di obiettivi che erano fissati per dicembre 2022.

Lo stesso discorso vale per l’altra misura bloccata dal governo, il rinvio della messa a gara delle concessioni idroelettriche, anche questo proposto da Pichetto Fratin. Come la fine del mercato tutelato, è una questione che si trascina da molto tempo. Riguarda la necessità per l’Italia di adeguarsi alle normative europee che dal 2011 impongono l’assegnazione tramite gara delle concessioni dei grandi impianti idroelettrici (quelli, cioè, con una potenza media pari ad almeno 3 megawatt). La legge sulla concorrenza approvata nel 2022 inclusa nel PNRR ha stabilito infatti che le regioni debbano avviare entro il 31 dicembre 2023 le procedure di assegnazione delle concessioni dei grandi impianti idroelettrici.

Il governo si è dovuto rivolgere alle regioni perché la competenza su questa materia spetta a loro. Peraltro quelle a statuto speciale hanno rivendicato specifiche prerogative, ottenendo tempi più dilatati nell’avvio delle procedure, fino al 31 dicembre 2024. La provincia autonoma di Trento, in particolare, ha approvato alla fine del 2022 una legge che proroga la scadenza delle concessioni dal 2024 al 2029, contro cui il governo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale.

Nel frattempo il ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, aveva annunciato di voler formare un “tavolo tecnico”, una specie di organismo con i vari ministri interessati, per risolvere la questione. Ma la formazione di questo organismo non ha avuto grandi conseguenze e così si è arrivati a lunedì scorso. Secondo le bozze che sono circolate, la norma proposta da Pichetto Fratin consentiva a regioni e province autonome di riassegnare almeno in parte le concessioni scadute al concessionario uscente, contraddicendo un obiettivo del PNRR già raggiunto e previsto nella terza rata.