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  • Giovedì 21 settembre 2023

Capiamoci, sui migranti

È una questione di cui si potrebbe discutere all'infinito, ma spesso lo si fa in modo improprio e poco accurato: una guida per saper distinguere

(AP Photo/Luigi Navarra)
(AP Photo/Luigi Navarra)
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Durante l’estate del 2023 gran parte del dibattito pubblico e politico è ruotata intorno a un tema di cui in realtà si parla da anni, se non decenni: i flussi migratori. Gli arrivi di migranti sulle coste italiane sono molto aumentati nei mesi estivi, sfiorando livelli che non si vedevano dal 2016. Le strutture di accoglienza si sono riempite presto, e il sistema si è rivelato (nuovamente) inadeguato per rispondere agli arrivi e ospitare tutti i richiedenti asilo.

Al di là delle situazioni specifiche dei centri di accoglienza, degli hotspot e degli enti locali che stanno affrontando il problema, quello dell’immigrazione è un tema estremamente vasto, di cui si potrebbe discutere all’infinito. Spesso però se ne parla in modo improprio, usando frasi fatte e luoghi comuni che circolano sui giornali o nel dibattito politico.

Per fare un po’ di chiarezza abbiamo preparato una piccola guida, che non pretende di essere esaustiva ma perlomeno prova a chiarire alcuni punti su cui è facile fare confusione.

Richiedenti asilo, rifugiati, profughi, irregolari
Il primo elemento di confusione nasce già dal linguaggio: alcuni termini del lessico migratorio sono ormai entrati nel discorso comune come sinonimi o quasi della generica parola “migranti”, ma non sempre vengono utilizzati in modo corretto.

I richiedenti asilo sono le persone che hanno lasciato il proprio paese d’origine e hanno presentato una richiesta per ottenere una forma di protezione riconosciuta in ambito internazionale in un altro paese, e sono in attesa di una decisione da parte delle autorità competenti. In questo momento tutti i migranti che sbarcano via mare in Italia vanno considerati richiedenti asilo, perché la stragrande maggioranza di loro farà una richiesta per ricevere protezione: questo perché in Italia non esistono canali legali per arrivare da vari paesi extraeuropei, a meno di fare specifiche professioni o di avere già in mano un contratto di lavoro (per effetto della legge Bossi-Fini).

Il termine rifugiato invece si usa per riferirsi a una persona che ha lasciato il suo paese d’origine, e non vuole tornarci perché teme di essere perseguitata per «la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche», come prescrive l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.

Lo status di rifugiato è una delle due forme di protezione internazionale che oggi in Italia possono essere garantite ai richiedenti asilo. L’altra è la protezione sussidiaria, applicabile alle persone che non possiedono i requisiti per essere riconosciuti come rifugiati – considerati estremamente stringenti e un po’ datati – ma che comunque tornando nel loro paese potrebbero subire un «danno grave» (come per esempio morte, tortura o altri trattamenti disumani).

Fino ad alcuni mesi fa esisteva anche un altro tipo di protezione, la “protezione speciale”, che aveva requisiti assai meno rigidi e veniva garantita a persone che provenivano da contesti complessi ma difficilmente inquadrabili nei rigidi parametri delle altre. La “protezione speciale” è stata sostanzialmente abolita con il decreto Cutro approvato a marzo dal governo, per ragioni mai del tutto spiegate.

Il termine profugo, invece, è meno generico e in italiano si usa per riferirsi a persone che scappano da un contesto di guerra. Un migrante diventa irregolare invece nel momento in cui entra in un paese evitando i controlli di frontiera, oppure se è entrato regolarmente – per esempio con un visto turistico – ma è rimasto in quel paese anche dopo la scadenza del visto, o ancora se non ha lasciato il paese di arrivo dopo l’ordine di allontanamento.

Quanti migranti arrivano, da dove, e perché 
Dal 1° gennaio al 21 settembre del 2023 sono arrivati in Italia via mare 132.832 migranti, il numero più alto almeno dal 2017 e vicino anche ai numeri del 2016, l’anno in cui per ora è stato registrato il maggior numero di arrivi via mare.

L’aumento dei flussi migratori può essere spiegato in diversi modi. Rimangono, innanzitutto, i grossi problemi che da decenni colpiscono i paesi di origine dei migranti: guerre, povertà, instabilità, regimi repressivi. Inoltre a partire dal 2020 in molti paesi africani questa situazione è stata aggravata dalla pandemia, dalla crisi economica seguita alla guerra in Ucraina, e dai cambiamenti climatici.

A questo si aggiunge una situazione molto complicata in Tunisia, che nel 2023 ha superato la Libia diventando il principale paese di partenza per i migranti che sbarcano sulle coste italiane. Il presidente Kais Saied, eletto nel 2019, ha progressivamente smantellato lo stato di diritto, accentrato i poteri e imprigionato i suoi oppositori politici. Saied ha poi addossato la responsabilità della crisi economica e sociale che il paese sta attraversando a un capro espiatorio: i migranti, in particolare quelli provenienti dall’Africa subsahariana che si trovavano già nel paese, che quindi in molti casi vengono costretti ad abbandonare la Tunisia.

Le persone che arrivano in Italia hanno nazionalità diverse. Nel 2022 gran parte dei richiedenti asilo proveniva dal Bangladesh, dal Pakistan, dall’Egitto e dalla Tunisia. Nel 2023 i primi due paesi di provenienza sono diventati Guinea e Costa d’Avorio, due paesi dell’Africa subsahariana, con circa 29mila persone in tutto.

I migranti del Bangladesh, un paese al confine con l'India, si trovano in una situazione particolare: molti partono in realtà dalla Libia, il paese in cui si trasferirono anni fa per cercare lavoro e da cui ora stanno fuggendo a causa degli sconvolgimenti politici e degli scontri che da tempo dividono il paese. Anche per questo la comunità bangladese in Italia è cresciuta molto, passando da 22mila persone nel 2002 a 138mila nel 2021.

Ma vengono tutti in Italia?
Una delle argomentazioni più comuni utilizzate dai partiti di destra per criticare l'arrivo di migranti è che l'Italia accoglie già troppe persone, e non può farsi carico di altre responsabilità: «Tutta l'Africa in Italia non ci può stare», ha detto per esempio il leghista Luca Zaia, presidente della regione Veneto, lo scorso agosto.

I dati però dicono un'altra cosa. Prima di tutto che gli africani migrano di meno, in media, rispetto al resto del mondo. E quando lo fanno si spostano soprattutto all’interno del continente africano. Un rapporto dell’ONU mostra che nel 2017 il 53 per cento dei migranti accolti dai paesi africani proveniva da altri paesi africani.

Negli ultimi anni poi diversi paesi europei hanno ricevuto molte più richieste d'asilo rispetto all'Italia. Nel 2022 per esempio il paese con più richieste è stato la Germania (quasi 218mila), seguita dalla Francia (137mila), la Spagna (116mila), l'Austria (110mila) e poi dall'Italia, che ha ricevuto 77.200 richieste d'asilo. Almeno dal 2011 l'Italia non è mai stato il paese con più richieste d'asilo dell'Unione Europea.

Secondo il regolamento di Dublino, il paese di primo arrivo dei migranti dovrebbe essere quello che si fa carico delle pratiche burocratiche relative all'accoglienza, e quindi anche delle domande di asilo. In teoria quindi paesi come la Germania e l'Austria dovrebbero ricevere poche domande, dato che geograficamente si trovano fuori dalle rotte migratorie. Non è così, a causa dei movimenti secondari: moltissimi migranti che arrivano in Europa non si fermano realmente nel paese di primo ingresso, ma continuano verso la loro destinazione finale e solo lì chiedono asilo, spesso con la complicità dei paesi di frontiera come Italia, Grecia e Spagna.

Non tutte queste richieste d'asilo vengono approvate. Per rimanere in Italia, i dati del ministero dell'Interno dicono che lo scorso anno l'Italia ha ricevuto complessivamente 84.289 domande (le 77mila riportate da Eurostat come prime richieste, e altre 7mila da persone che l'hanno ripresentata) e ha emesso 54.478 decisioni. Di queste il 56 per cento è stato un rifiuto o un'inammissibilità: i dinieghi sono molto aumentati negli ultimi anni per via di una diminuzione delle forme di protezione, di cui l'ultimo caso è stato l'abolizione della "protezione speciale" (che prima aveva maglie più larghe e si chiamava "protezione umanitaria").

Esiti delle domande di asilo esaminate dall'Italia nel 2022, ministero dell'Interno

Rifugiati o migranti economici?
Un'altra argomentazione citata spesso dai partiti di destra riguarda la necessità di distinguere tra i rifugiati, considerati come realmente meritevoli di protezione internazionale e quindi autorizzati a rimanere in Italia e ricevere assistenza, e i migranti economici, ossia persone che non rischiano di essere perseguitate nel loro paese di origine ma hanno comunque deciso di raggiungere l'Europa per trovare un lavoro migliore e vivere quindi in una situazione di maggiore benessere.

È una distinzione puramente politica, e non giuridica: spesso le valutazioni dipendono da caso a caso, e sono frutto dell'arbitrarietà di chi decide se assegnare o meno una forma di protezione (in Italia spetta alle cosiddette commissioni territoriali). Molti migranti che dicono di volere venire in Italia esclusivamente per lavorare e migliorare le proprie condizioni di vita provengono da situazioni delicate e controverse, e alle spalle hanno torture, violenze o condizioni estreme che li hanno spinti a migrare. Alcuni giudici potrebbero considerare sufficientemente sicuro il contesto da cui provengono, altri potrebbero prendere la decisione opposta: i criteri non sono quasi mai uniformi.

Perché il sistema di accoglienza non funziona? 
In Italia l'immigrazione è un fenomeno sistemico, che si ripresenta in modo costante da decenni. Nonostante questo i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno adottato un approccio perlopiù emergenziale e securitario, che punta sulle sanzioni e sull'aumento delle pene, e non sul miglioramento del sistema di accoglienza, che infatti continua a dimostrarsi inadeguato.

Il problema principale sta nel sovraffollamento cronico dei centri di accoglienza: i posti disponibili per accogliere i migranti in tutte le fasi del processo sono insufficienti per rispondere a tutte le richieste, e questo genera situazioni complesse e difficili da gestire sia per i migranti, che arrivano stremati dal viaggio, che per le associazioni incaricate di assisterli. Si è visto chiaramente a Lampedusa, il cui hotspot offre appena 400 posti ma che a metà settembre si è ritrovato a dover gestire oltre 6mila migranti. Durante l'estate il forte aumento degli arrivi ha saturato il sistema di accoglienza e lasciato centinaia di persone senza alloggio.

– Leggi anche: Il sistema di accoglienza in Italia non funziona come dovrebbe

Cosa ha fatto il governo Meloni, finora? 
Il tema dell'immigrazione è da tempo un cavallo di battaglia per i partiti di destra. Sia la Lega che Fratelli d'Italia puntano da anni sulla necessità di «fermare gli sbarchi», «chiudere i confini» nazionali e aiutare i migranti «a casa loro»: spesso le espressioni usate per criticare le politiche di accoglienza sono volutamente vaghe e richiamano formule che funzionano molto sul livello comunicativo, ma molto meno su quello pratico.

Il governo di Giorgia Meloni è entrato in carica nell'ottobre del 2022. In circa un anno di mandato ha preso varie decisioni sul tema dell'immigrazione, tutte volte a rendere più complicate le operazioni di soccorso per le ong che operano in mare, a scoraggiare le partenze (o almeno provarci) e ad aumentare le pene per chi arriva in Italia in modo irregolare.

Il primo provvedimento approvato sul tema è il cosiddetto “codice di condotta” per le ong che operano nel mar Mediterraneo: fu inserito in un decreto-legge approvato lo scorso dicembre, e di fatto ha reso molto più complicato effettuare i soccorsi in mare. Soprattutto ha vietato di fatto i “soccorsi plurimi”, rendendo quasi impossibile per le navi delle ong effettuare più di un soccorso in mare e costringendole invece a raggiungere nel tempo più breve possibile il porto assegnato loro dalle autorità italiane (che quasi sempre è lontanissimo dal luogo in cui era avvenuto il soccorso).

Il governo ha poi risposto al naufragio di Cutro, dello scorso febbraio, aumentando ulteriormente le pene per chi favorisce l'immigrazione clandestina e introducendo una nuova fattispecie di reato per “morte o lesioni gravi in conseguenza di traffico di clandestini”, che prevede da 10 a 30 anni di carcere. Non sembra però che queste misure siano state particolarmente utili, come peraltro segnalato da subito dagli esperti di migrazione: gli arrivi via mare sono continuati, e durante l'estate hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi anni. La situazione nel mar Mediterraneo era tanto critica che fra luglio e agosto il governo ha chiesto aiuto proprio alle navi delle ong per riuscire a soccorrere tutti i migranti in difficoltà, ed evitare di causare grossi incidenti che verosimilmente l'avrebbero messo in cattiva luce.

Infine a metà settembre il governo Meloni ha inserito in un decreto-legge alcune norme che rafforzano i Centri per il rimpatrio (CPR), le controverse strutture in cui i migranti irregolari vengono detenuti in attesa, in teoria, di essere riportati nel loro paese di origine. Il governo dice di averlo fatto per potenziare il sistema dei rimpatri, che però non ha mai funzionato in modo efficace, soprattutto perché spesso mancano gli accordi internazionali necessari ad avviare le procedure. E allungare di mesi la detenzione in centri dove i migranti sono spesso trattati in maniera degradante e disumana non cambia la situazione. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2021 sono state rimpatriate forzatamente 3.420 persone, un dato in calo rispetto alle 6.425 del 2018.

– Leggi anche: Tutti i problemi dei CPR

E cosa vorrebbe fare?
Durante l'ultima campagna elettorale Meloni ha puntato molto sul tema dell'immigrazione, di cui d'altra parte il suo partito, Fratelli d'Italia, si occupa da anni con toni allarmistici e diffondendo spesso notizie false e discriminatorie. Anche gli esponenti della Lega e di Forza Italia usano spesso termini presi dal lessico bellico per parlare d'immigrazione, con espressioni come «difendere i confini», «invasione» e «attacco».

Durante la campagna elettorale Meloni aveva fatto varie proposte, molto dure nella teoria ma poco verosimili su un piano concreto. La principale prevedeva di attuare un “blocco navale” per fermare le navi e le imbarcazioni di migranti che partono dal Nord Africa e arrivano in Italia. È un'idea irrealizzabile e problematica dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, come abbiamo spiegato qui.

In generale Meloni ha detto più volte che per risolvere il problema dei flussi migratori è necessario «fermare le partenze» dal Nord Africa, invece che migliorare il sistema di accoglienza o predisporre percorsi di integrazione efficaci. «Fermare le partenze» è un'espressione piuttosto astratta che nasconde gli accordi con i paesi di partenza, soprattutto Libia, Tunisia e Turchia, le cui autorità impediscono con la violenza ai migranti di raggiungere via mare l'Italia. In Libia poi gran parte di loro viene trattenuta in centri di detenzione in cui stupri, torture e violenze sono sistematiche.

– Leggi anche: Perché un blocco navale dei migranti è irrealizzabile e problematico

Davvero l’Europa ci sta lasciando soli?
Nelle ultime settimane vari paesi europei, tra cui la Germania e la Francia, hanno fatto sapere che non intendono accogliere i migranti che, secondo le norme internazionali, sarebbero di responsabilità dell'Italia. C'entra in gran parte il regolamento di Dublino: da anni i paesi europei sono concordi riguardo alla necessità di modificarlo, ma finora non è stato trovato un compromesso su come farlo.

Nella sua forma attuale il regolamento prevede che le responsabilità pratiche e burocratiche di accoglienza dei migranti ricadano sul paese di primo ingresso nell'Unione Europea. Questo presupposto però impone un onere ingente su un gruppo ristretto di paesi che a causa del loro posizionamento geografico sono più esposti ai flussi migratori, come la Grecia, l’Italia e la Spagna.

Nel tempo sono state approvate varie deroghe al regolamento, che però non hanno mai davvero risolto il problema. La più recente consiste nel “meccanismo volontario di solidarietà”, uno strumento attivato nel 2022 che prevede il ricollocamento in altri stati europei di 10mila migranti arrivati in Italia ogni anno. Finora però il meccanismo non ha funzionato in modo soddisfacente, soprattutto perché molti paesi non hanno mantenuto gli impegni presi, anche a fronte dei movimenti secondari e delle conseguenti richieste d'asilo nei paesi del Nord Europa, superiori a quelle ricevute dall'Italia.

I partiti della destra italiana ripetono spesso che l'Unione Europea non sta facendo abbastanza per aiutare l'Italia, lasciandoci «soli» nella gestione degli arrivi. In realtà sono proprio i paesi tradizionalmente alleati con la destra italiana, ossia la Polonia e l'Ungheria, che si oppongono a ogni riforma strutturale del sistema di accoglienza comunitario che includa una qualsiasi forma di redistribuzione dei migranti.

Anche la politica europea, come quella italiana, si sta spostando verso destra: a giugno del 2024 ci saranno le elezioni, e se il prossimo parlamento dovesse avere una maggioranza conservatrice è probabile che l'idea di riformare il regolamento di Dublino venga definitivamente abbandonata.