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  • Martedì 15 novembre 2022

Cosa sono i “movimenti secondari” dei richiedenti asilo

Sono un grosso tema di dibattito fra il Nord e il Sud Europa, nonché al centro delle tensioni di questi giorni fra Italia e Francia

Un mediatore culturale dell'ong Oxfam osserva un viadotto sul confine fra Italia e Francia a Ventimiglia (ANSA/ UFFICIO STAMPA OXFAM )
Un mediatore culturale dell'ong Oxfam osserva un viadotto sul confine fra Italia e Francia a Ventimiglia (ANSA/ UFFICIO STAMPA OXFAM )
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Gran parte della tensione fra Francia e Italia degli ultimi giorni sulla gestione dei richiedenti asilo si inserisce in un filone di accuse reciproche che da anni si scambiano i paesi del Nord Europa, come la Francia e la Germania, e quelli del Sud, come Italia e Grecia, sulla questione dell’immigrazione. In particolare sui cosiddetti “movimenti secondari” dei richiedenti asilo, tornati in questi giorni al centro del dibattito.

Per “movimenti secondari” si intendono gli spostamenti irregolari che i richiedenti asilo compiono all’interno dell’Unione Europea dopo essere riusciti a entrare nel suo territorio. Il Regolamento di Dublino, la principale norma europea sul diritto di asilo, stabilisce che il compito di ospitare ed esaminare la richiesta di asilo di una persona che entra irregolarmente in territorio europeo debba essere del primo stato in cui mette piede. Se una persona arriva via mare in Grecia, quindi, è lo stato greco che in teoria dovrebbe ospitarla ed esaminare la sua richiesta di asilo.

Il Regolamento di Dublino era stato immaginato e approvato in un periodo di scarsi flussi migratori. Quando i flussi aumentarono, come successo fra 2013 e 2015 soprattutto per via di guerre civili in Libia e in Siria, il sistema saltò: fra 2015 e 2016 buona parte dei paesi del Sud Europa smisero di registrare le decine di migliaia di richiedenti asilo in arrivo e lasciarono che si distribuissero nel resto dei paesi dell’Unione.

Da allora però il sistema non è cambiato, e i paesi del Sud come Italia, Grecia, Spagna e in misura minore Malta e Cipro continuano a essere responsabili, in teoria, delle richieste d’asilo di tutte le persone che cercano di entrare via mare in Europa.

Nel 2021 erano state 117.496, nel 2022 c’è stato un lieve aumento e oggi sono 129.930. Eppure le persone che entrano irregolarmente via mare sono solo una parte di quelle che ogni anno chiedono asilo ai paesi dell’Unione Europea, arrivando con altri mezzi (per esempio via terra) oppure sfruttando un visto regolare, magari turistico, lavorativo o di studio. Nel 2021 i paesi dell’Unione Europea hanno esaminato 537.345 richieste d’asilo avanzate per la prima volta, cioè di persone entrate verosimilmente da pochissimo tempo nei territori dell’Unione. I paesi che hanno ricevuto più richieste sono Germania (140.175) e Francia (103.790).

Questi due paesi ritengono di esaminare un numero sufficientemente alto di richieste d’asilo all’anno, e negli anni – tranne che al picco del flusso del 2015, quello della cosiddetta “rotta balcanica” – hanno accettato di accogliere soltanto quote simboliche di richiedenti asilo arrivati via mare nei paesi del Sud Europa. I paesi del Sud però ritengono comunque di sopportare un onere maggiore, dato che devono gestire gli sbarchi delle navi e le operazioni di primissima accoglienza, che in effetti prevedono un notevole impiego di risorse economiche e amministrative.

A parziale compensazione del fatto che nessun altro paese europeo si fa carico dei richiedenti asilo che arrivano via mare, i paesi del Sud non esercitano moltissimi controlli alle proprie frontiere, di fatto permettendo che i richiedenti asilo raggiungano altri paesi europei in cui magari hanno già dei familiari o degli amici che li possono aiutare a integrarsi (è il caso soprattutto della Francia, ma anche del Belgio e dei Paesi Bassi) o con una situazione economica molto florida, almeno vista da fuori, come la Germania.

A Ventimiglia per esempio, una cittadina della Liguria al confine fra Italia e Francia, i controlli più stringenti vengono eseguiti dalla polizia francese, di gran lunga la più interessata a evitare che i richiedenti asilo entrino in Francia, a volte anche con la violenza.

In un report di ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) del 2021 si legge che «il confine italo-francese si conferma un luogo di gravi criticità umanitarie», in cui «le persone fermate alla frontiera o sul treno vengono condotte alla stazione di San Luigi, foto-segnalate e viene consegnato loro un “rifiuto di ingresso” (refus d’entrée). Le persone soggette a procedura di respingimento rimangono spesso trattenute all’interno di un container adiacente al posto di polizia di frontiera francese anche per parecchie ore, in alcuni casi senza ricevere cibo o acqua e senza che venga garantito il contatto con avvocati».

La Francia ha spesso giustificato l’uso di queste misure come necessario per impedire i cosiddetti “movimenti secondari” di richiedenti asilo. Sembra che negli ultimi giorni i controlli a Ventimiglia da parte delle autorità francesi siano aumentati rispetto agli ultimi tempi, ma non è chiaro se ci sia una relazione con le tensioni col governo italiano sulle navi delle ong che soccorrono migranti nel Mediterraneo.

– Leggi anche: Come siamo arrivati alla crisi diplomatica con la Francia sui migranti

Sui “movimenti secondari” comunque non ci sono dati precisi, si possono stimare incrociandone altri. Nel 2021 sono arrivate via mare in Italia 67.477 persone, ma le richieste di asilo nello stesso anno sono state 45.200: significa che circa 22mila persone, un terzo di quelle arrivate, sono riuscite a non farsi registrare dalle autorità italiane e a chiedere asilo altrove. Un discorso simile si può fare per la Grecia: nel 2021 ha ricevuto 22.660 richieste d’asilo, ma si stima che diverse migliaia di persone siano attualmente in viaggio sulla cosiddetta “rotta balcanica”, e che quindi siano sfuggiti ai controlli delle autorità greche.

«Se ci sono paesi sotto forte pressione migratoria sono quelli del nord, dove si trasferiscono illegalmente i migranti che entrano in Italia», ha detto qualche giorno fa al Foglio un funzionario dell’Unione Europea.

Per risolvere la questione in maniera strutturale servirebbe riformare il Regolamento di Dublino, ma negli anni diversi tentativi portati avanti dal Parlamento Europeo e più di recente dalla Commissione Europea si sono rivelati fallimentari.