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  • Lunedì 18 settembre 2023

Le nuove regole del governo sui Centri di rimpatrio

Il tempo massimo di permanenza per le persone straniere non richiedenti asilo in Italia sarà più lungo, tra le altre cose

(AP Photo/Valeria Ferraro)
(AP Photo/Valeria Ferraro)
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Lunedì il Consiglio dei ministri ha deciso di estendere a 18 mesi il limite massimo di permanenza delle persone straniere non richiedenti asilo nei Centri di rimpatrio (CPR), ovvero i centri in cui vengono detenute le persone che non hanno un permesso di soggiorno valido per rimanere in Italia, in attesa di essere rimpatriate: quindi chi ha già ricevuto la convalida dell’espulsione (ma il rimpatrio avviene soltanto nella metà dei casi, in media).

Attualmente la detenzione può durare fino a 3 mesi, prorogabili per altri 45 giorni, ma da mesi il governo guidato da Giorgia Meloni lo voleva allungare, anche perché vede il potenziamento dei CPR come soluzione per gestire meglio l’immigrazione e favorire i rimpatri dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale.

L’estensione del tempo di detenzione a 18 mesi sarà valida per gli stranieri non richiedenti asilo «per i quali sussistano esigenze specifiche», come i casi in cui «lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi».

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Il Consiglio dei ministri ha anche annunciato la costruzione di ulteriori CPR «in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili», probabilmente in caserme ed ex basi militari. Al momento ne esistono 10 in 8 regioni (Puglia e Sicilia ne hanno due ciascuna), per un totale di 1.300 posti: Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Macomer (Nuoro), Milano, Palazzo San Gervasio (Potenza), Roma, Torino e Trapani. Solo 9 di questi sono attivi, perché a inizio marzo il CPR di Torino è stato chiuso temporaneamente dopo una rivolta di alcune delle persone detenute, che avevano incendiato parte dei locali e reso inagibili gli spazi.

L’istituzione di nuovi CPR in zone poco popolate e lontane dai centri, tendenzialmente difficili da raggiungere per giornalisti e persone che si occupano della protezione dei diritti delle persone migranti, è stata molto criticata perché rende più facile la proliferazione di abusi e violenze. Nei CPR già esistenti, infatti, da anni le associazioni che si occupano di diritti umani denunciano le condizioni disumane e degradanti in cui si trovano le persone detenute.

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