Perché non sogniamo di più gli smartphone?

Un’ipotesi è che, come altri strumenti e dispositivi, facciano parte della nostra storia evolutiva da troppo poco tempo

smartphone sogni
(Getty Images)
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Il modo in cui gli smartphone influenzano le abitudini delle persone, le loro relazioni sociali e la loro capacità di mantenere l’attenzione è da tempo oggetto di numerose ricerche. Ed esistono diversi studi, commentati e discussi, sugli effetti dell’uso degli smartphone sulla salute mentale degli e delle adolescenti, o sulla qualità del sonno. C’è invece molta meno ricerca sul modo in cui gli smartphone condizionano il contenuto stesso dei sogni.

In anni recenti ha suscitato interesse e curiosità un’osservazione molto condivisa secondo cui gli smartphone, a prescindere dalla loro capacità o meno di influenzare i sogni, tendono a non farne parte. Non sogniamo molto gli smartphone, insomma. O se non altro, per essere un oggetto che utilizziamo per gran parte del giorno, in diversi ambienti e situazioni, e per questo motivo a noi molto familiare, gli smartphone fanno parte dei nostri sogni molto meno di quanto ci si aspetterebbe.

I sogni sono in generale un fenomeno difficile da studiare scientificamente, sebbene in anni recenti le condizioni eccezionali determinate dalla pandemia abbiano permesso di raccogliere dati significativi molto più di quanto non capiti normalmente. Uno dei principali limiti della ricerca sui sogni è che si basa su ciò che le persone ricordano e raccontano dei propri sogni, e non su dati direttamente osservabili.

L’unico modo a disposizione di ricercatori e ricercatrici per essere relativamente sicuri che una persona stia sognando e per sapere cosa stia sognando è svegliarla mentre dorme e interrompere il sogno, come spiegò a Wired il neuroscienziato Raphael Vallat, un ricercatore della University of California Berkeley che studia il sonno e i sogni. Decenni di ricerca nel campo della psicologia, delle scienze cognitive e della filosofia della mente hanno inoltre chiarito come ogni sogno raccontato sia inevitabilmente una rielaborazione di immagini ed emozioni difficili da descrivere, e che in una certa misura diventano meno confuse – anche per l’autore o l’autrice del sogno – soltanto nel momento in cui assumono forma linguistica attraverso il racconto.

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Queste caratteristiche rendono i sogni un fenomeno seppure molto esplorato in larga parte incompreso: non sappiamo esattamente a cosa servano, né che senso abbiano, ma alcune delle teorie formulate nel corso degli anni permettono di ipotizzare perché non sogniamo molto gli smartphone. Uno dei tentativi di fornire una risposta fa riferimento a un’ipotesi di ricerca conosciuta nella psicologia evoluzionista come Teoria della simulazione della minaccia, formulata nel 2000 dal neuroscienziato e psicologo finlandese Antti Revonsuo.

Secondo l’ipotesi di Revonsuo, durante gran parte dell’evoluzione umana la presenza costante di pericoli fisici e minacce interpersonali avrebbe dato una serie di vantaggi riproduttivi agli esseri umani in grado di sopravvivere. E i sogni potrebbero essersi evoluti per quegli esseri umani come una sorta di esercitazione antincendio della coscienza: cioè uno strumento di sopravvivenza che, replicando quelle minacce, le rendeva più gestibili e permetteva di perfezionare le pratiche per affrontarle. Ancora oggi, secondo questa teoria, molti sogni che facciamo si spiegano nella misura in cui offrono la possibilità di provare le nostre risposte di fronte a situazioni e contesti sociali minacciosi e stressanti.

Una possibile conferma indiretta alla teoria della simulazione della minaccia proviene da studi secondo cui gli animali sognano attività legate alla sopravvivenza come cacciare, lottare e mangiare, e che se privati del sonno REM non sono in grado di svolgere nemmeno compiti elementari. In uno studio del 2004 un gruppo di ricerca del dipartimento di psichiatria della University of Wisconsin-Madison mostrò come la privazione del sonno REM e quindi della possibilità di sognare influisse pesantemente sulla capacità dei ratti di rispondere in modo appropriato alle minacce.

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La teoria della simulazione della minaccia presuppone anche che, essendo i nostri sogni un meccanismo di difesa evoluto, sia più probabile sognare paure e preoccupazioni che erano rilevanti per i nostri antenati. E da questo punto di vista gli smartphone, come altri dispositivi e strumenti tecnologici, fanno parte della nostra esistenza da troppo poco tempo per essere anche parte dei nostri sogni, come detto alla rivista The Cut dalla giornalista scientifica statunitense Alice Robb, autrice del libro Why We Dream (pubblicato in Italia da Rizzoli con il titolo La nuova scienza dei sogni).

Secondo Robb le persone tendono anche a non sognare tanto di leggere o scrivere, che sono attività legate a sviluppi più recenti nella storia umana. Sognano invece più spesso «cose legate alla sopravvivenza, come combattere, anche se non c’entra niente con quello che fanno nella vita». Questa ipotesi spiega in parte anche perché certi argomenti dei sogni siano ricorrenti in popolazioni diverse e in culture radicalmente diverse: perché ciò che gli esseri umani hanno in comune è spesso molto più profondo e ancestrale di ciò che li distingue.

Dal momento che condividiamo gran parte della genetica con i nostri antenati, «anche gli esseri umani moderni continuano a preoccuparsi degli animali di grandi dimensioni con grandi zanne», disse alla rivista Time Deirdre Barrett, caporedattrice della rivista scientifica Dreaming e docente di psichiatria della Harvard Medical School, tra le più conosciute e autorevoli autrici di ricerche sui sogni. Sognare di perdere qualche dente o tutti, per esempio, è uno dei sogni più frequenti nelle interviste utilizzate per le ricerche: in passato associato a presagi di morte, potrebbe evolutivamente derivare dalla paura del deterioramento fisico e, nello specifico, dalla paura di perdere qualcosa di indispensabile alla sopravvivenza.

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Il fatto che sia relativamente improbabile che gli smartphone facciano parte dei sogni delle persone non vuole dire che sia impossibile. Ma un’eccezione rispetto a questa tendenza, secondo Robb, si verifica a volte e non a caso proprio in una delle circostanze della vita difficili da superare: il lutto. «Molte persone fanno sogni molti intensi quando sono in lutto, e se sognano la persona morta un tema comune del sogno è essere chiamati [sullo smartphone] da quella persona», ha detto Robb.

Se da un lato la teoria della simulazione della minaccia può servire in parte a spiegare la scarsa presenza degli smartphone nei sogni, dall’altro accomuna questo oggetto a molti altri che non sono parte della nostra storia evolutiva recente. E di conseguenza rende quella scarsa presenza un fatto in fondo meno eccezionale di quanto si possa pensare. Un’analisi di oltre 16mila racconti di sogni raccolti nello Sleep and Dream Database, un archivio digitale diretto dal ricercatore statunitense Kelly Bulkeley, misurò nel 2016 la frequenza con cui vari oggetti comparivano nei sogni.

L’analisi mostrò che gli smartphone erano parte del racconto nel 3,55 per cento dei sogni delle donne e nel 2,69 per cento di quelli degli uomini: una frequenza effettivamente piuttosto bassa, ma comunque leggermente superiore alla frequenza di comparsa dei film, dei computer o della televisione. Nel complesso, rispetto alla frequenza di oggetti del gruppo «Tecnologia e scienza», fu più alta la percentuale di racconti di sogni – 24 per cento, sia maschili che femminili – che contenevano almeno un oggetto del gruppo «Trasporti», principalmente la macchina (9,12 per cento dei sogni femminili e 8,18 per cento di quelli maschili).

Una parte delle ricerche sui sogni, in contrasto con altri approcci, tende infine a indebolire l’idea che ci sia molta continuità tra cosa fa parte della vita quotidiana e cosa ha più probabilità di finire nei sogni. Che è del resto l’idea alla base della sorpresa per il fatto che gli smartphone, forse gli oggetti in assoluto più presenti nella quotidianità di miliardi di persone, compaiano relativamente poco spesso nei sogni.

Per un esperimento di uno studio pubblicato nel 2010 sulla rivista Current Biology, condotto da ricercatori e ricercatrici del dipartimento di psicologia della University of Notre Dame, nell’Indiana, a un gruppo di persone fu chiesto di imparare il percorso di un labirinto virtuale su un computer e poi di fare un pisolino. Quelle che avevano fatto un pisolino mostrarono di ricordare il percorso molto meglio rispetto a chi non aveva fatto il pisolino, ma soltanto l’8 per cento del gruppo raccontò di aver effettivamente sognato il labirinto.

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«In generale le influenze esterne hanno poca o nessuna influenza sui sogni», disse a Wired nel 2018 George William Domhoff, docente emerito di psicologia e sociologia alla University of California, Santa Cruz, e autore del libro The Emergence of Dreaming. E se invece si tende a pensare che ciò che è molto presente nelle nostre vite debba anche esserlo nei sogni è «perché in psicologia la visione dominante è il modello stimolo-risposta» e si tende a negare «che i sogni siano pensieri spontanei che appaiono in determinate condizioni».