Il più prolifico critico musicale dell’internet italiana

Da trent'anni l'informatico italiano Piero Scaruffi recensisce dischi sul sito che porta il suo nome, con un approccio e un gusto a cui è difficile rimanere indifferenti

di Giuseppe Luca Scaffidi

Piero Scaruffi nel 2006 (Peter DaSilva/New York Times/Contrasto)
Piero Scaruffi nel 2006 (Peter DaSilva/New York Times/Contrasto)
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Qualificare Piero Scaruffi non è un compito facile: alcuni potrebbero definirlo un ingegnere di software, altri un pioniere di internet, altri ancora un grafomane in grado di produrre sconfinati saggi dedicati agli argomenti più disparati, dalla tecnologia agli usi e costumi della società americana. Tutti avrebbero una parte di ragione.

Non è raro vederlo impegnato in contesti diversissimi: tre anni fa per esempio l’azienda tecnologica cinese Huawei lo intervistò per conoscere il suo parere sulle future applicazioni dell’intelligenza artificiale, e gli capita spesso di partecipare in qualità di esperto di vari temi a conferenze e panel organizzati da importanti università americane. In Italia però Scaruffi è soprattutto una cosa: il più noto, influente e discusso critico musicale della storia di internet.

Tra gli anni Novanta e Duemila acquisì infatti uno status quasi leggendario tra i frequentatori dei primi blog e forum musicali, dovuto all’enorme quantità di testi che era in grado di produrre in tempi brevissimi, all’autorevolezza che nel tempo venne riconosciuta al suo gusto e alle sue conoscenze, ma anche all’estrema severità di molte sue recensioni, così come al mistero che circonda in parte il suo personaggio. Ma la sua notorietà non rimase confinata all’Italia. Nel 2006 il New York Times dedicò un articolo al suo blog personale, intitolato “Il più grande sito internet di tutti i tempi”.

Scaruffi lo aprì nel 1995, ma viveva negli Stati Uniti già da 12 anni. «Nel 1983 mi trasferii per contribuire a fondare il centro per l’intelligenza artificiale che Olivetti, la più importante azienda italiana del tempo, aveva aperto a Cupertino, in California», racconta. «La motivazione ufficiosa era lavorare come ingegnere di software, ma in realtà il vero obiettivo era un altro: coltivare la mia passione per la musica, e più in generale per la conoscenza».

Ai tempi Scaruffi aveva 27 anni, una laurea in fisica teorica e una certa fascinazione per un mestiere che aveva poco a che fare con i suoi trascorsi accademici: la critica musicale. «Ero un lettore affezionato di Riccardo Bertoncelli, che fu una delle prime persone a scrivere di rock in Italia, e delle grandi firme del giornalismo musicale americano, soprattutto Lester Bangs», dice.

Con le sue recensioni su scaruffi.com, Scaruffi avrebbe affascinato e ispirato un paio di generazioni di giornalisti e critici musicali italiani, contribuendo a definire un canone della musica rock, jazz, punk e d’avanguardia della seconda metà del Novecento, e attirandosi negli anni estese ammirazioni ma anche saltuarie contestazioni. Oggi, tra gli appassionati di musica che si formarono in quegli anni, la parola “scaruffiano” viene usata talvolta per indicare un particolare modo di intendere la musica, e anche di scriverne.

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Prima di aprire il sito, Scaruffi aveva già iniziato a dedicarsi alla scrittura in modo continuativo. Verso la metà degli anni Ottanta cominciò prima a collaborare con le prime riviste musicali italiane (Rockerilla) e americane (Option), e poi a inviare alcune recensioni «a un numero ristretto di contatti, i pochi che possedevano un indirizzo email», spiega.

Quando andò online la prima volta, il sito ospitava già una mole di contenuti impressionante. Scaruffi, che nel frattempo aveva lasciato il lavoro in Olivetti per mettersi a vendere software, disponeva infatti di un archivio enorme per i tempi: nel 1989 proprio Bertoncelli, che in quel periodo dirigeva la casa editrice Arcana, aveva pubblicato Una storia della musica rock, una sconfinata antologia che Scaruffi aveva cominciato a scrivere già negli anni Settanta, e che uscì in sei parti fino al 1996.

Il sito, però, era dedicato anche a molte altre cose: fin da subito Scaruffi cominciò a usarlo come uno spazio eterogeneo in cui pubblicare articoli dedicati ai suoi altri interessi, come cinema, filosofia, viaggi, escursionismo, arte, tecnologia, poesia e letteratura. Assomigliava insomma a una specie di Wikipedia ante litteram, ma fatta da una sola persona.

Secondo 404PageFound, un progetto che raccoglie i più antichi siti ancora in funzione, scaruffi.com fu uno dei primissimi siti internet, insieme a nomi oggi mitici come taco, travelassist e mcspotlight. Scaruffi continua ad aggiornare il sito ancora oggi, anche se ha scelto deliberatamente di non modernizzarne la grafica, che è la stessa di trent’anni fa. Non si tratta di una scelta luddista, ma di una questione pratica: serve a «garantire che il sito sia utilizzabile da chiunque, anche da chi dispone di una connessione molto lenta», dice.

Nel 2006, affascinato dall’eclettismo di Scaruffi, dalla sua eccezionale produttività e dal fatto che trovasse il tempo di scrivere ogni approfondimento sia in italiano che in inglese, il giornalista del New York Times Dan Morrell andò a Redwood City, la cittadina californiana in cui viveva, per intervistarlo. In quell’occasione, Scaruffi disse che ormai non aveva «più tempo neppure per respirare», e che quello che in teoria era il suo vero lavoro (vendere software) era ormai diventato una specie di attività accessoria a quella di blogger, dato che la maggior parte del suo tempo era assorbita dalla scrittura e dalla gestione del sito.

Oggi scaruffi.com accetta donazioni su PayPal da chi vuole sostenere il sito, e ha dei rudimentali spazi per articoli sponsorizzati. C’è poi una pagina apposita che elenca una serie di tirocini non retribuiti per vari tipi di mansioni redazionali, e anche una in cui chiede l’aiuto volontario dei lettori per svolgere alcuni compiti, specialmente di riorganizzazione e completamento dell’archivio, per cui Scaruffi non ha tempo.

In Italia comunque la fama di Scaruffi è legata principalmente alla sua attività di critico, su cui perlomeno nel periodo d’oro dei forum musicali, gli anni Duemila, tra appassionati era difficile rimanere indifferenti. Da un lato, Scaruffi si rifaceva a un certo tipo di giornalismo musicale, molto consolidato soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che non si limitava a proporre analisi circoscritte alla musica, ma si estendeva anche alle modalità con cui questa viene influenzata da fattori sociali e da altre forme espressive, e viceversa. Dall’altro però il suo approccio era estremamente personale, e risentiva fortemente dei suoi gusti e di alcune sue convinzioni, a partire da quella che il valore di band e musicisti sia intrinsecamente legato alla loro capacità di innovare, sperimentare e definire nuovi standard nella musica, indipendentemente che si tratti di pop, rock, folk, jazz, punk o musica colta.

Il suo metodo di valutazione, che è lo stesso dal 1995, è molto pragmatico e intuitivo: attribuisce a ogni disco un punteggio che va da 0 a 10. I voti funzionano come una specie di consiglio per gli acquisti: per esempio, 9 equivale a «masterpiece» (capolavoro), 8 a «buy it now» (compralo subito), 7 a «buy it eventually» (compralo prima o poi), 6 a «buy it if you are a fan» (compralo solo se sei un fan), e così via. Finora Scaruffi non ha mai assegnato un 10, il voto più alto, che equivale a «best album ever» (miglior album di sempre).

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I tre dischi che si sono avvicinati di più, con 9,5, sono Trout Mask Replica di Captain Beefheart, uno dei più venerati compositori del rock americano degli anni Settanta, Rock Bottom di Robert Wyatt, tra i più importanti interpreti del progressive rock britannico, e Faust dei Faust, tra le band che animarono il krautrock tedesco.

Anche i Velvet Underground rientrano tra le ossessioni musicali di Scaruffi, che è noto per aver dedicato grandi attenzioni alle molte scene post-punk che si svilupparono nel Regno Unito e negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta. I Pere Ubu, i Pop Group, i Butthole Surfers e i Mercury Rev sono altre band tipicamente “scaruffiane”. Ma tra i dischi rock migliori di sempre secondo Scaruffi ce ne sono anche di famosissimi e del tutto mainstream, come Doors dei Doors, Blonde on Blonde di Bob Dylan, Astral Weeks di Van Morrison e The River di Bruce Springsteen. Moltissime recensioni Scaruffi le ha dedicate poi al jazz, e in particolare al free jazz degli anni Sessanta, da Ornette Coleman ad Albert Ayler a Cecil Taylor.

L’antipatia musicale più nota di Scaruffi è invece quella per i Beatles, che ha definito «quattro musicisti mediocri che cantavano ancora canzoni melodiche di tre minuti, le stesse che si facevano da decenni». Nel tempo, la sua acredine nei confronti del gruppo diventò una specie di meme sui forum musicali. Un altro obiettivo polemico frequente di Scaruffi è David Bowie: «dire che sia un musicista è come dire che Nerone era un suonatore di lira: un fatto tecnicamente vero, ma fuorviante», scrisse in una monografia dedicata al cantante.

Anche se una parte di critica italiana lo ha contestato in più occasioni per via dei suoi giudizi perentori, Scaruffi sottolinea che spesso gli è capitato di ritrovare pezzi delle sue recensioni incollati in articoli di alcuni giornalisti italiani, anche piuttosto quotati. «Questa cosa mi dà molto fastidio, anche perché è capitato che i lettori mi accusassero di aver copiato dai miei plagiatori: un paradosso. Ogni volta devo perdere tempo per dimostrare il contrario, ed è sempre il contrario», dice.

Negli anni, Scaruffi ha approntato anche degli stratagemmi per individuare chi si appropria del suo lavoro. Oltre a pubblicare periodicamente degli aggiornamenti dedicati ai “thieves and plagiarists” (una specie di muro della vergogna digitale dedicato ai ladri e plagiatori), si è inventato anche un musicista fittizio: Youstol Dispage, una forma di slang che significa «hai rubato questa pagina». Successe, perciò, che su altri siti venissero pubblicate cose come «Youstole Dispage pubblicò il disco nel 1933», «Youstole Dispage morì nel 1955», e così via.

Secondo Francesco Farabegoli, giornalista musicale e autore della newsletter Bastonate, «ci sono due modi di fare critica musicale: uno estremamente puntuale, ragionato e per così dire “obiettivo”, l’altro estremamente parziale, partigiano e svincolato da ogni pretesa di oggettività: tra gli anni Novanta e Duemila, Scaruffi fu il massimo esempio di questa seconda concezione». Farabegoli aggiunge che «ci sono delle pagine di scaruffi.com che, per una certa bolla, sono diventati piccoli pezzi di storia di internet».

Una di queste è proprio la classifica dei 100 dischi rock migliori di sempre, in cui sono menzionati nomi che non compaiono quasi mai in liste di questo tipo, come Red Crayola, Royal Trux, Lisa Germano e Diamanda Galás. «Slow, Deep and Hard, il primo disco dei Type O Negative (un gruppo gothic metal newyorkese), è un disco che non fa parte della storia della musica in nessun modo», dice Farabegoli. Eppure, Scaruffi lo considerava un disco essenziale, uno di quelli da recuperare a tutti i costi, e «in qualche modo riusciva a convincerti che valesse la pena ascoltarlo».

A inizi anni Duemila, quando Scaruffi era ormai diventato un nome molto noto negli ambienti della critica musicale italiana, la sua attività fu oggetto di commenti piuttosto piccati da parte di alcuni colleghi: «c’era chi ne riconosceva l’originalità e la rilevanza, e dall’altro lato chi proprio non lo sopportava», ricorda il redattore di OndaRock Francesco Nunziata, che si definisce uno «scaruffiano».

Per esempio, in un’intervista del 1999, quando il sito era già popolarissimo, il giornalista di Mucchio Selvaggio Federico Guglielmi disse che Scaruffi non poteva «essere altro che un bluff, uno che vomita cartelle su cartelle facendo un lavoro di taglia e cuci di pareri di altri. Come si fa ad avere l’arroganza di scrivere una storia del rock di 2.500 pagine?». Guglielmi aggiunse anche che «quando voglio prendere in giro Bertoncelli, gli ricordo che è stato il primo a dare credito a Scaruffi».

(Wikimedia Commons)

Secondo Nunziata, tra gli anni Novanta e Duemila, «Scaruffi ha fatto scuola, anche se in tanti non glielo riconoscono». Prima che il suo sito sdoganasse una modalità così spontanea e libera di scrivere di musica, aggiunge, «bisognava necessariamente passare da una rivista musicale: contattare un redattore, sperare in una risposta e poi, forse, combinare qualcosa».

Scaruffi invece «era un po’ l’editore di sé stesso, e aveva il peso di una rivista musicale a tutti gli effetti. Convinse tante persone a mettersi in proprio, e a pubblicare le proprie opinioni su blog o webzine». Nunziata racconta che fu colpito fin da subito dal metodo di Scaruffi, che gli dava l’idea di essere «onesto nei confronti del lettore». «Per un critico musicale i voti alti dovrebbero essere una specie di anomalia»; oggi invece «è piuttosto comune leggere recensioni positivissime, anche di dischi pop di scarsissima qualità o assolutamente dimenticabili, e le classifiche di fine anno delle varie riviste propongono quasi sempre gli stessi dischi. Per Scaruffi invece la critica è una cosa serissima».

Valerio Mattioli, editor per NERO e autore tra le altre cose di Superonda: Storia segreta della musica italiana, ha invece un’opinione un po’ diversa. «L’aspetto più distintivo di Scaruffi era certamente il suo stile, che in teoria si faceva un punto d’onore nell’essere freddo e razionale, in polemica con la tipica emotività del fan rock medio». «Tuttavia», continua, «alla fine il suo approccio faceva il giro e risultava molto adolescenziale, infarcito di espressioni enfatiche, oracolari quando non direttamente apocalittiche, un po’ come quando a 15 anni incontri il tipo che si è appena letto Nietzsche e per una settimana non smette di scimmiottare lo Zarathustra». Secondo Mattioli, più che un critico in senso stretto «Scaruffi era un personaggio curioso che ogni tanto saltava fuori quando inserivi nel motore di ricerca cose assurde come, che ne so, “gruppi noise neozelandesi che parlano di coprofilia”».

Scaruffi dice che, comunque, le critiche non lo hanno mai toccato più di tanto: «fanno sempre bene, soprattutto se vengono da specialisti, categoria di cui io non faccio parte. Chiunque può obiettare sulle cose che scrivo». Le cose che lo infastidiscono, oltre ai copiatori, sono altre. Per esempio, su internet si è diffusa la diceria secondo cui scaruffi.com non sarebbe gestito da una sola persona, ma da decine di collaboratori. Sul punto, però, Scaruffi è piuttosto categorico: «i testi sono tutti miei. Ho dei collaboratori che si occupano di correzione di bozze, fanno ricerche e segnalano qualche novità. Ma scaruffi.com si chiama così perché lo scrivo io».

L’ultimo disco recensito da Scaruffi è stato Wall of Eyes degli Smile, il progetto parallelo di Thom Yorke e Jonny Greenwood dei Radiohead, a cui ha attribuito un punteggio di 4 su 10, definendolo tra le altre cose «una raccolta di litanie soavi e scarne».

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