A che punto siamo col salario minimo

Maggioranza e opposizione ne discutono da giorni ma con poca concretezza: martedì si dovrebbe sapere se la proposta arriverà in parlamento

Un incontro tra Giorgia Meloni e una delegazione del Partito Democratico per parlare delle riforme costituzionali, a maggio del 2023 (ANSA/Filippo Attili - Ufficio stampa Palazzo Chigi)
Un incontro tra Giorgia Meloni e una delegazione del Partito Democratico per parlare delle riforme costituzionali, a maggio del 2023 (ANSA/Filippo Attili - Ufficio stampa Palazzo Chigi)
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All’inizio di luglio i principali partiti di opposizione si sono messi d’accordo per presentare insieme una proposta di legge che ha l’obiettivo di introdurre in Italia un “salario minimo”, cioè una soglia minima di compenso stabilita per legge uguale per tutti i lavoratori a prescindere dalla mansione che svolgono. La proposta è fortemente osteggiata dalla maggioranza di destra al governo, e nelle ultime settimane diversi suoi esponenti hanno preso posizioni molto nette contro il salario minimo. Nonostante se ne sia parlato molto, concretamente la proposta è ancora molto lontana non solo dal diventare una legge, ma anche dall’essere discussa nelle due aule del parlamento.

L’Italia è uno dei pochi paesi europei a non avere un salario minimo stabilito per legge: non è infatti la prima volta che se ne parla e in passato c’erano già state varie altre proposte per introdurlo. In breve, la nuova proposta delle opposizioni prevede una soglia minima salariale fissata a 9 euro lordi all’ora per tutti i lavoratori dipendenti e una serie di meccanismi che hanno l’obiettivo di garantire un equo compenso anche a lavoratori con contratti meno stabili e autonomi.

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La destra è da sempre scettica verso la possibilità di un salario minimo. Solo negli ultimi giorni lo hanno fatto capire molto chiaramente due esponenti del governo. Prima il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto che «non serve» e che «non siamo in Unione Sovietica, in cui tutti avevano lo stesso stipendio», confondendo la soglia minima uguale per tutti con un salario uguale per tutti. Poi il ministro per le Politiche del mare Nello Musumeci lo ha definito una misura di «assistenzialismo».

Nell’ultima settimana sono aumentate le discussioni sul tema perché la proposta sul salario minimo doveva essere votata nella commissione parlamentare competente, la commissione lavoro alla Camera, secondo l’iter che ogni proposta di legge deve seguire prima di poter essere discussa in aula. Le commissioni sono organi collegiali specializzati in un certo argomento, formate da un numero ridotto di parlamentari che tra le altre cose hanno il compito di discutere approfonditamente i testi di legge e prepararli per la discussione in aula.

La composizione delle commissioni però è decisa in modo proporzionale a quella del parlamento: la destra ha quindi la maggioranza in tutte le commissioni parlamentari, compresa quella sul lavoro, e ha abbastanza voti per decidere quali leggi far passare e quali no.

Per questo, prima che si arrivasse alla votazione della proposta sul salario minimo i membri della commissione appartenenti alla destra avevano presentato un emendamento al testo di legge che prevedeva la soppressione della proposta stessa: in questo modo avrebbero evitato di far arrivare la proposta in aula prima alla Camera e poi al Senato, dove le discussioni sulle leggi riescono solitamente a ottenere attenzioni pubbliche molto maggiori rispetto ai passaggi in commissione, seguiti perlopiù da addetti ai lavori.

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I testi di legge in commissione vengono approvati emendamento per emendamento, perciò non appena fosse stato votato quello sulla soppressione la proposta sul salario minimo sarebbe stata sostanzialmente cancellata. Per evitare che succedesse, i membri di opposizione in commissione lavoro hanno allora fissato una serie di interventi prima della votazione, facendola slittare dallo scorso martedì (18 luglio) al prossimo (25 luglio). Nel frattempo, in questi giorni hanno abbondantemente accusato la maggioranza di non curarsi dei lavoratori e di voler imporre la propria linea senza nemmeno discutere le proposte.

Il tentativo delle opposizioni di creare scompiglio sembra aver funzionato, perché ha attirato l’attenzione sul tema, che è finito su giornali e televisioni, e ha suscitato reazioni scomposte da parte della maggioranza. Repubblica ha ipotizzato che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni starebbe cercando una mediazione con i leader dell’opposizione. Sempre stando a Repubblica, Meloni si sarebbe detta disposta a un confronto sul tema dopo un invito pubblico del leader di Azione Carlo Calenda e avrebbe parlato privatamente della questione anche con la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein.

Al di là delle indiscrezioni però nessun esponente della destra ha fatto capire di aver cambiato idea sulla proposta, e al momento non sembra che le posizioni non ufficiali di Meloni impediranno alla destra di votare per sopprimere la proposta di legge in commissione lavoro. Il capogruppo del Partito Democratico in commissione lavoro, Arturo Scotto, è sembrato piuttosto scettico al riguardo. In una nota alle agenzie di stampa ha detto: «Non hanno mai avanzato un’obiezione sul merito della nostra legge, ma solo un emendamento soppressivo. Se ora ci hanno ripensato e vogliono confrontarsi, il macigno da rimuovere è quell’emendamento. E va fatto prima di martedì».

Secondo Scotto, la maggioranza starebbe temporeggiando dopo essersi spaventata per la diffusione di alcuni sondaggi che vedrebbero il salario minimo come una misura ampiamente popolare fra gli italiani, non solo fra gli elettori di centrosinistra. Se la destra decidesse di ritirare l’emendamento che cancella la proposta di legge, la discussione alla Camera sul salario minimo potrebbe iniziare già entro fine luglio.