Robert Oppenheimer, il “padre dell’atomica”

Cosa fu e come fu la vita di una persona che davvero cambiò la storia, al centro del nuovo atteso film di Christopher Nolan

J. Robert Oppenheimer (AP Photo)
J. Robert Oppenheimer (AP Photo)
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Il film Oppenheimer del regista Christopher Nolan, in uscita negli Stati Uniti e in molti altri paesi del mondo a fine luglio e in Italia a fine agosto, racconta le intricate e appassionanti vicende che furono dietro alla creazione della bomba atomica e soprattutto il ruolo che ebbe Julius Robert Oppenheimer. Fu uno degli scienziati più celebri e complessi del Novecento, e il film si concentra su ciò che fu in grado di realizzare in pochi anni alla fine della Seconda guerra mondiale, e sui dilemmi etici e personali che lo tormentarono per avere creato una delle armi più potenti e distruttive nella storia dell’umanità.

In una lettera inviata al fratello Frank nell’ottobre del 1929, Julius Robert Oppenheimer ammise di avere talvolta «bisogno della fisica più che degli amici», una frase che descrive meglio di molte altre citazioni più famose il “padre della bomba atomica”. All’epoca Oppenheimer aveva 25 anni, una laurea in chimica e un dottorato, studiava meccanica quantistica e fisica nucleare. Le ambizioni non gli mancavano, ma difficilmente avrebbe immaginato che una quindicina di anni più tardi avrebbe diretto uno dei più importanti progetti scientifici mai organizzati, per costruire e testare le prime armi nucleari. Una tecnologia che nel bene e nel male avrebbe segnato per sempre la vita del suo inventore.

J. Robert Oppenheimer era nato il 22 aprile del 1904 a New York in una famiglia di origini ebraiche: la madre faceva la pittrice, mentre il padre era un importatore di tessuti emigrato negli Stati Uniti dal Regno di Prussia alla fine del diciannovesimo secolo. A scuola Oppenheimer aveva mostrato da subito un certo interesse per le materie scientifiche e in particolare per la chimica, disciplina in cui si laureò nel 1925 ad Harvard. Dopo un breve periodo a Cambridge, nel Regno Unito, si trasferì in Germania per studiare all’Università Georg-August di Gottinga dove insegnava Max Born, uno dei più importanti fisici dell’epoca e tra i principali teorici della meccanica quantistica.

Alto e molto magro, al punto da apparire talvolta emaciato, Oppenheimer fumava sigarette in continuazione e saltava spesso i pasti, soprattutto nei periodi di studio più intensi. Era molto solitario e alternava periodi di giovialità ad altri di profonda depressione, nei quali non cercava la compagnia di nessuno. Sembrava effettivamente che preferisse la fisica agli amici, anche se in Germania aveva fatto conoscenza e avviato buoni rapporti con alcuni dei fisici più importanti di inizio Novecento come Werner Heisenberg, Enrico Fermi, Paul Dirac e Wolfgang Pauli.

Oppenheimer partecipava con grande interesse alle lezioni: fin troppo, a detta dei suoi colleghi, e mostrava una grande passione per lo sviluppo e l’analisi delle teorie in ambiti della fisica all’epoca ancora poco esplorati. In quel periodo fu autore di varie ricerche scientifiche e, dopo avere conseguito il dottorato sotto Born nel 1927, tornò negli Stati Uniti per lavorare al California Institute of Technology e ad Harvard: promettente e capace era molto conteso, di conseguenza i due istituti avevano dovuto trovare un compromesso per averlo entrambi. Fu poi il turno della University of California, Berkeley, dove insegnò e divenne poi docente di ruolo nel 1936.

In quella decina di anni si occupò di astronomia teorica, fisica nucleare, meccanica quantistica e naturalmente di relatività, argomento molto dibattuto all’epoca. Fu tra i primi a ipotizzare l’esistenza del positrone, l’antiparticella dell’elettrone, due anni prima della sua scoperta. Si dedicò allo studio delle stelle di neutroni, l’ultimo stadio di vita delle stelle con una massa molto grande, anche in questo caso teorizzando cose e oggetti che si sarebbero scoperti molti anni dopo; compresi quelli che oggi chiamiamo buchi neri, ovvero l’ultimo stadio di vita delle stelle con massa ancora maggiore.

A detta dei colleghi e degli studenti che lavoravano con lui, c’era poco in grado di distogliere Oppenheimer dal suo grande interesse per la fisica. Le cose iniziarono a cambiare dopo l’ascesa del nazismo in Germania, cui Oppenheimer guardava con preoccupazione, come molti altri membri della comunità scientifica negli Stati Uniti. A metà anni Trenta aveva iniziato a fare donazioni per aiutare i fisici tedeschi a lasciare la Germania nazista e si avvicinò ai movimenti progressisti e a quelli comunisti. I finanziamenti e le frequentazioni di quei gruppi gli sarebbero costati cari negli anni Cinquanta, quando Oppenheimer finì sotto inchiesta nel periodo del maccartismo e della “caccia ai comunisti”.

Fu con quelle frequentazioni che conobbe prima Jean Tatlock, che faceva parte del partito comunista statunitense, con cui ebbe una breve e travagliata relazione, e in seguito Katherine Puening con la quale si sposò nel 1940. L’anno seguente ebbero il primo figlio, Peter, e tre anni dopo Katherine. Oppenheimer aveva però riallacciato i rapporti con Tatlock, circostanza che in seguito avrebbe attirato ulteriori sospetti da parte di chi riteneva fosse un comunista. Tra indagini e sospetti, sembrava altamente improbabile se non impossibile che Oppenheimer potesse essere messo a capo di un progetto segreto per far finire il prima possibile la Seconda guerra mondiale.

Nell’autunno del 1941, prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra, il governo statunitense aveva approvato il finanziamento di un programma per sviluppare un nuovo tipo di arma, mai sperimentata prima: una bomba atomica, che sfruttasse le conoscenze e le scoperte fatte negli ultimi anni sull’energia, la materia e il suo funzionamento. Non c’era tempo da perdere perché il primo che avesse disposto di una tecnologia di quel tipo avrebbe sicuramente vinto la guerra, e gli statunitensi e i loro alleati temevano che i nazisti o i sovietici potessero arrivarci prima di loro.

La bomba atomica sarebbe stato il frutto di una enorme mobilitazione di scienziati, ingegneri e tecnici, che avrebbe coinvolto le migliori menti soprattutto nel campo della fisica. Lo sapeva bene James B. Conant, tra i membri del Comitato nazionale della ricerca per la difesa, istituzione che aveva proprio il compito di condurre ricerche scientifiche e sperimentazioni per lo sviluppo di nuovi sistemi di guerra. Conant conosceva Oppenheimer dai tempi di Harvard e nella primavera del 1942 gli propose di iniziare a lavorare allo studio dei neutroni veloci, che si producono nella fissione nucleare in processi altamente energetici. Oppenheimer accettò e iniziò a coinvolgere studenti e altri ricercatori a Berkeley, compresi Edward Teller e Hans Bethe.

A settembre dello stesso anno, intanto, il programma per l’atomica si era strutturato meglio ed era nato il Progetto Manhattan, sotto la guida di Leslie R. Groves Jr. delle forze armate statunitensi. Il progetto avrebbe coinvolto centri di ricerca e basi militari in varie zone degli Stati Uniti, ma avrebbe avuto un laboratorio di ricerca principale per studiare e sviluppare l’atomica.

Julius Robert Oppenheimer a sinistra e Leslie Groves a Los Alamos, New Mexico (Keystone/Getty Images)

Groves scelse Oppenheimer come direttore del laboratorio, sorprendendo molti colleghi considerate le molte voci circolate sui suoi orientamenti politici. Oppenheimer aveva 38 anni e una specchiata carriera accademica, certo, ma non aveva mai coordinato il lavoro di tante persone in progetti di grandi dimensioni. Groves era però persuaso che fosse la persona più adatta: riflessivo e taciturno, dava l’idea di qualcuno che avrebbe svolto il difficile compito che gli era stato assegnato senza interferire con le scelte e le decisioni dei militari, principali responsabili del progetto.

Le esigenze di segretezza resero necessaria l’identificazione di un luogo remoto e fuori da sguardi indiscreti dove condurre le ricerche, il più velocemente possibile. Oppenheimer conosceva alcune zone nel New Mexico dove aveva un ranch e alla fine fu scelto un pianoro, non troppo distante da Santa Fe, dove sorgeva una scuola, il cui edificio fu riadattato per costruire le prime strutture di quello che sarebbe poi diventato famoso come il laboratorio di ricerca e sviluppo di Los Alamos.

Parte dell’area tecnica di Los Alamos, New Mexico (Wikimedia)

La quantità di persone necessaria per sviluppare l’atomica e per gestire il laboratorio fu ampiamente sottostimata. Inizialmente Oppenheimer riteneva che qualche centinaio di persone sarebbe stato più che sufficiente per l’impresa: un paio di anni dopo a Los Alamos erano circa in 6mila. Tra questi c’erano molti militari, ma anche alcuni dei più famosi o promettenti fisici dell’epoca, che lavoravano senza sosta al Progetto Manhattan. Si erano trasferiti nel deserto del New Mexico con le loro famiglie e Los Alamos era diventato via via una piccola città, molto controllata per ovvi motivi di sicurezza e segretezza.

Oppenheimer dirigeva il lavoro dei gruppi di ricerca, sia dei fisici teorici sia di quelli sperimentali, non sempre facili da mettere d’accordo. Dopo la guerra, molti ricercatori di Los Alamos avrebbero raccontato che Oppenheimer non offriva molte idee o suggerimenti, ma era sempre presente in una sala riunioni o in un laboratorio quando stava per succedere qualcosa di importante. Era una presenza rassicurante e che aiutava i gruppi a lavorare, condividere le scoperte ed elaborare i passi successivi per raggiungere il loro obiettivo, spesso muovendosi in territori ancora poco esplorati della fisica nucleare.

Le sperimentazioni erano dedicate alle reazioni di fissione scoperte nel 1938, dove i nuclei di atomi pesanti – come gli isotopi plutonio 239 e uranio 235 – vengono indotti a spezzarsi liberando una grande quantità di energia termica. Passare dalla teoria alla pratica non era però semplice, sia per quanto riguardava l’approvvigionamento degli isotopi, sia nello sviluppare un sistema che fosse stabile e sicuro, fino al momento della detonazione. Il plutonio veniva prodotto altrove in reattori sperimentali, ma divenne evidente che le sue caratteristiche non si conciliavano con un primo modello di bomba (metodo di innesco “balistico”) che era stato esplorato nei primi tempi di Los Alamos.

Davanti a queste difficoltà, nell’estate del 1944 Oppenheimer decise di riorganizzare buona parte del lavoro dei laboratorio, per concentrarsi su un sistema a implosione che, sfruttando l’esplosione di varie cariche intorno al nocciolo della bomba, comprimeva il materiale fissile fino a innescare la reazione nucleare. Lo sviluppo dell’altro tipo di bomba fu portato avanti da un gruppo più piccolo e utilizzando l’uranio per evitare i problemi incontrati con il plutonio.

Alla fine i gruppi di lavoro di Los Alamos impiegarono appena due anni per superare le grandi difficoltà nello sviluppo dell’atomica. La mattina del 16 luglio 1945 nel deserto della Jornada del Muerto, sempre nel New Mexico, fu sperimentata la prima detonazione di un’arma nucleare della storia. Un grande bagliore accompagnato dalla produzione di un’alta nube incandescente confermò il successo dell’esperimento, per nulla scontato. Fino a pochi istanti prima, tutte le persone coinvolte compreso Oppenheimer avevano forti dubbi sul fatto che quella prima bomba atomica potesse funzionare.

Oppenheimer assistette con soddisfazione da un bunker di osservazione e in seguito raccontò di avere pensato ai versi di uno dei testi sacri dell’induismo, del quale era un profondo e appassionato conoscitore: «Sono diventato Morte, il distruttore di mondi». Quella frase sarebbe diventata la più celebre e citata di Oppenheimer, anche se non fu pronunciata in quel momento, stando alle testimonianze delle persone che erano con lui.

Appena tre settimane dopo quell’esperimento, “Little Boy”, la bomba atomica all’uranio, fu sganciata su Hiroshima in Giappone, e tre giorni dopo l’ordigno al plutonio “Fat Man” sulla città giapponese di Nagasaki. Le due gigantesche esplosioni causarono la morte di circa duecentomila persone (le stime variano molto) in uno dei più terribili eccidi della storia, e sono convenzionalmente considerate ciò che portò alla fine della Seconda guerra mondiale, una guerra che però aveva già i propri vincitori da diverso tempo.

A Los Alamos il successo del bombardamento di Hiroshima fu accolto con un misto di sollievo e compiacimento, per avere portato a termine qualcosa che appena due anni prima appariva impossibile, ma anche di orrore per l’enorme numero di persone uccise. Le opinioni, comprese quelle di Oppenheimer, furono più nette e critiche per il successivo bombardamento di Nagasaki, ritenuto strategicamente non necessario dal punto di vista militare.

In quell’estate del 1945 Robert Oppenheimer era diventato per tutti il “padre della bomba atomica”, una paternità difficile da sostenere man mano che diventavano evidenti non solo gli effetti immediati dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, ma anche quelli successivi legati alle alte dosi di radiazioni, che causarono sofferenze a migliaia e migliaia di persone giapponesi e lutti che segnarono le generazioni successive. In un colloquio organizzato nell’autunno di quell’anno con Harry Truman, l’allora presidente degli Stati Uniti, Oppenheimer confessò di «sentirmi le mani sporche di sangue». Truman rimase colpito e offeso da quell’affermazione, tanto da interrompere all’istante l’incontro e da dire in seguito a un proprio assistente: «Non voglio mai più vedere quel figlio di puttana in quest’ufficio».

Insieme ai gruppi di ricerca di Los Alamos, Oppenheimer aveva portato a termine un’impresa scientifica e tecnica con pochi precedenti, aprendo nuove conoscenze e opportunità legate alle tecnologie nucleari. Al tempo stesso, però, aveva reso possibile la costruzione dell’arma più potente e mortale mai realizzata con il potenziale di distruggere l’intera umanità. Dopo i bombardamenti sul Giappone, Oppenheimer avrebbe convissuto per sempre con questo dilemma difficile da risolvere, e probabilmente proprio per questo divenne uno dei più convinti sostenitori della necessità di istituire regole comuni e internazionali per tenere sotto controllo la proliferazione delle armi nucleari.

Oppenheimer durante un’audizione a Washington, DC, dopo la fine della Seconda guerra mondiale (AP Photo,File)

Oppenheimer divenne uno dei membri più importanti della Commissione per l’energia atomica (AEC), istituita nel 1946 dal governo statunitense per sostenere lo sviluppo e il controllo delle tecnologie nucleari. In incontri, lezioni e conferenze illustrò quali potessero essere gli usi pacifici della fissione nucleare per esempio per produrre energia elettrica, insistendo sulla necessità di costituire un’organizzazione internazionale sul nucleare. Ipotizzò che ogni paese rinunciasse a parte della propria sovranità nel settore, in modo da avere un sistema condiviso per l’uso pacifico delle tecnologie nucleari. Segnalò anche i pericoli della cosiddetta “corsa agli armamenti”, che avrebbe portato a una proliferazione di testate nucleari, visto che altri paesi a cominciare dall’Unione Sovietica avevano sviluppato programmi per la ricerca e la produzione di bombe atomiche. I suoi appelli rimasero in buona parte inascoltati.

Nel 1949 Oppenheimer si oppose inoltre allo sviluppo di una bomba a idrogeno, basata sulla fusione nucleare, il processo che fa funzionare il Sole e che sarebbe stata molto più potente delle bombe a fissione. Il governo degli Stati Uniti decise però diversamente e nel 1952 fu condotto il primo test su grande scala di una bomba H, fatta esplodere nelle Isole Marshall nell’oceano Pacifico. Oppenheimer partecipò alla stesura di un approfondito rapporto dopo il test, nel quale si segnalava che né gli Stati Uniti né l’Unione Sovietica avrebbero potuto mai raggiungere una superiorità nucleare, portando quindi a molti rischi e allo sviluppo di bombe sempre più potenti.

L’insediamento di Dwight D. Eisenhower a presidente degli Stati Uniti nel gennaio del 1953 portò Oppenheimer a essere più ascoltato, specialmente nei suoi inviti al governo di mantenere un approccio più aperto e trasparente sui propri piani nucleari, visto come una via per ridurre le tensioni con l’Unione Sovietica. Oppenheimer divenne molto influente, ma al tempo stesso osteggiato da politici e militari che teorizzavano approcci più aggressivi nell’impiego degli arsenali nucleari per fare deterrenza.

Nell’autunno del 1953 al potentissimo capo dell’FBI, J. Edgar Hoover, arrivò una segnalazione da parte di William Liscum Borden, già capo del Comitato sull’energia atomica del Congresso e fervente sostenitore dello sviluppo di arsenali nucleari. Il messaggio diceva che molto probabilmente Oppenheimer era una spia sovietica, rispolverando le informazioni sulle sue vecchie frequentazioni con comunisti prima della guerra. In poche settimane, a Oppenheimer fu prospettato di perdere l’accesso a buona parte delle informazioni riservate dell’AEC sul nucleare e gli fu proposto di dimettersi, evitando un’inchiesta vera e propria sul suo conto. Ritenendo di non avere nulla da nascondere, Oppenheimer rifiutò la proposta e l’anno seguente fu più volte interrogato sulle sue vecchie amicizie, i suoi orientamenti politici e la sua opposizione alla bomba a idrogeno.

L’inchiesta avvenne nel pieno del maccartismo, dal nome del senatore Joseph McCarthy a capo della principale commissione per la repressione delle attività ritenute antiamericane. In quel periodo negli Stati Uniti si assistette a una ricerca spasmodica e ossessiva di persone che mostrassero comportamenti ritenuti sovversivi perché filo-comunisti, con l’obiettivo di fermarle e di impedire loro di avere un qualsiasi ruolo nella società. Moltissime persone furono accusate ingiustamente, perdendo il lavoro e la propria reputazione.

Oppenheimer nel suo studio a Princeton nel 1954 (AP Photo)

Durante le audizioni Oppenheimer faticò a fornire testimonianze coerenti e mostrò in più occasioni la propria insofferenza per l’inchiesta, che riteneva assurda e con accuse infondate. In realtà, è ormai opinione diffusa tra i suoi biografi che per un certo periodo fosse stato un convinto sostenitore del partito comunista, e che ne avesse finanziato le attività. Nel 1954 Oppenheimer perse ufficialmente le proprie autorizzazioni di sicurezza e qualsiasi influenza diretta sulle decisioni del governo statunitense sul nucleare.

Oppenheimer continuò comunque a tenere discorsi e conferenze concentrandosi sul ruolo della scienza nella società, sulle implicazioni di ciò che era stato ottenuto a Los Alamos e sull’importanza di mantenere un dialogo aperto tra le nazioni per tenere sotto controllo il rischio posto dagli arsenali nucleari. Nel 1963 ricevette il premio Enrico Fermi dal governo degli Stati Uniti, segno di un parziale processo di riabilitazione nei suoi confronti. Non avendo comunque più i permessi di sicurezza continuò ad avere un ruolo marginale nelle decisioni politiche.

A sessant’anni continuava a essere solitario e a preferire soprattutto la compagnia della fisica e delle sue sigarette: era un fumatore incallito e ne accendeva una dopo l’altra. Nel 1965 gli fu diagnosticato un cancro alla gola e né la chemioterapia né un trattamento con le radiazioni si rivelarono efficaci per fermare o per lo meno rallentare la malattia. Morì il 18 febbraio del 1967 nella propria casa di Princeton (New Jersey), fu cremato e le sue ceneri furono disperse in mare. Due mesi dopo il “padre dell’atomica” avrebbe compiuto 63 anni.

Il 16 dicembre 2022 il governo degli Stati Uniti annullò la decisione con cui Oppenheimer era stato privato delle proprie autorizzazioni di sicurezza, riconoscendo la gestione fallace della vicenda nel 1954: «Col passare del tempo, sempre più prove sono emerse sui pregiudizi e sulle ingiustizie del processo a cui il dottor Oppenheimer fu sottoposto, mentre le prove della sua lealtà e del suo amore per il paese sono solo state ulteriormente confermate».