La prima immagine di un buco nero

Siamo riusciti a osservarne uno per la prima volta, ed è un risultato storico: servirà per capire come sono fatti gli oggetti più misteriosi dell'Universo

di Emanuele Menietti – @emenietti

(Event Horizon Telescope)
(Event Horizon Telescope)

Event Horizon Telescope (EHT), un consorzio internazionale tra più radiotelescopi, è riuscito per la prima volta a osservare direttamente l’“ombra” del buco nero supermassiccio che si trova al centro della galassia M87 (Virgo A), a 55 milioni di anni luce da noi. L’annuncio è stato fatto oggi dal team di ricerca di EHT, che ha inoltre mostrato un’immagine del buco nero, la prima a essere realizzata nella storia dello studio di queste misteriose regioni dello Spazio. Lo storico risultato consentirà di comprendere meglio le caratteristiche dei buchi neri, per confermare o smentire alcune parti della teoria della relatività di Einstein e della meccanica quantistica. Se vi sta già girando la testa, fate un bel respiro e partiamo con calma, dall’inizio.

Che cos’è un buco nero
Immaginate un cannone che spara una palla verso l’alto, perfettamente perpendicolare al suolo. Che cosa succede? La palla raggiunge una certa quota poi, a causa della gravità, torna indietro. Se però il cannone riesce a sparare la palla con la giusta velocità, questa può vincere la forza di gravità e può continuare ad allontanarsi dalla Terra senza tornare indietro. Per farlo ha raggiunto la cosiddetta “velocità di fuga”. Ma cosa accadrebbe se collocassimo il cannone su un corpo diverso dalla Terra, con una massa enorme, talmente grande da rendere gravitazionalmente impossibile la fuga della palla?

Seguendo questo ragionamento, basato sulla fisica newtoniana, nel Diciottesimo secolo a scopo puramente speculativo fu immaginata l’esistenza di un corpo con una massa così grande – e quindi una forza di gravità – da non consentire a nulla, nemmeno alla luce, di raggiungere la velocità di fuga. Anche se mancavano ancora concetti fondamentali introdotti dalla fisica nei primi del Novecento, quella speculazione corrispondeva alla prima inconsapevole ipotesi sull’esistenza dei buchi neri.

Un buco nero è una regione dello spaziotempo (la struttura quadrimensionale dell’Universo: lunghezza, larghezza, profondità e tempo) che possiede un campo gravitazionale così intenso che nulla di ciò che contiene al suo interno può sfuggirgli. E quando diciamo nulla, intendiamo proprio niente: nemmeno la luce. Per fuggire da un buco nero si dovrebbe raggiungere una velocità superiore a quella della luce, ma siccome per quanto ne sappiamo la velocità della luce è un limite insuperabile, nessuna particella e nessun tipo di energia può allontanarsi da quella regione dello spaziotempo: resta tutto per sempre intrappolato al suo interno.

Il concetto di buco nero, nella sua forma oggi più condivisa e basata sulla relatività, fu teorizzato nel 1916 dal fisico tedesco Karl Schwarzschild. Albert Einstein aveva pubblicato un anno prima la Teoria della relatività generale, che tra le altre cose diceva che un campo gravitazionale è una deformazione dello spaziotempo causata dalla presenza di un oggetto con una grande massa. Semplificando molto, potete immaginarla come un trampolino elastico sul quale mettete una palla da bowling: il telo cede e si deforma formando una sorta di imbuto intorno alla palla. In questa analogia, il trampolino è lo spaziotempo, mentre la palla è l’oggetto molto massiccio. Einstein teorizzò inoltre che la velocità della luce sia una costante limite: oltre non si può andare.

Affascinato dal lavoro di Einstein, che spiegava tutto questo, Schwarzschild si mise a studiare la teoria della relatività e calcolò che se si comprime un oggetto sferico rendendolo ad altissima densità, questo produce una deformazione nello spaziotempo tale da impedire a qualsiasi cosa di sfuggirgli. E siccome nulla può sfuggire, nemmeno la luce, l’oggetto è nero, un buco nero. Nella nostra analogia di prima del trampolino, sarebbe come accendere una torcia elettrica sull’orlo della deformazione e vedere che la luce viene attirata verso la palla da bowling, da cui non può sfuggire.

Come si forma un buco nero
Tutto comincia con una stella, il più grande reattore nucleare che esista. Attraverso i processi di fusione nucleare, una stella consuma enormi quantità di idrogeno trasformandolo in elio. Quando ne ha consumato il 90 per cento circa, le reazioni nucleari nel suo nucleo si fermano e di conseguenza si riduce la pressione verso l’esterno: la forza gravitazionale, non più in equilibrio con la pressione, prevale e comprime la massa della stella verso il suo centro. Il processo porta alla fusione nucleare tra atomi di elio e si producono altri elementi: è una fase molto turbolenta per la stella, con continue espansioni e contrazioni, che portano all’espulsione di parte della sua stessa massa.

Le stelle più piccole di solito non vanno oltre questa fase, si spengono e si raffreddano in un processo che dura milioni di anni. Ma se il nucleo della stella supera una massa critica, le reazioni nucleari proseguono fino alla formazione del ferro. A differenza di tutti gli altri elementi che l’hanno preceduto, dopo il processo di fusione che porta al ferro non si produce altra energia. Il ferro continua ad accumularsi al centro della stella fino a quando raggiunge, appunto, una massa critica che fa collassare il nucleo stellare. In un istante la stella implode risucchiando ulteriore massa al suo centro e si verifica una supernova, una colossale esplosione stellare.


Il prodotto di una supernova può essere una stella di neutroni o, se la stella è massiccia a sufficienza, l’intera massa collassa nuovamente producendo un buco nero. Oltre a questi buchi neri di taglia stellare, ci sono i buchi neri supermassicci. Sono più grandi e hanno una massa di milioni (talvolta miliardi) di volte quella del nostro Sole. Non sappiamo di preciso come si formino e ci sono diverse teorie ancora da verificare: c’è chi pensa che siano il frutto della fusione di buchi neri stellari molto grandi (originati dalle prime gigantesche stelle dell’Universo) e chi ritiene che siano invece il frutto del collasso delle prime nubi stellari. Secondo le teorie più accreditate, si ritiene che in quasi tutte le galassie ci sia un buco nero supermassiccio al loro centro e che la Via Lattea non faccia eccezione. Il nostro buco nero si chiama Sagittarius A* ed è a una rassicurante distanza di 26mila anni luce da noi.

Come è fatto un buco nero
Qui le cose si complicano ulteriormente, perché non abbiamo conoscenze a sufficienza per descriverlo con certezza. Possiamo immaginarlo come una sfera al cui interno è presente l’oggetto massiccio vero e proprio. La superficie sferica segna il confine entro il quale si verificano le condizioni per cui niente può sfuggire, o tornare indietro se è finito nel buco nero: questa sfera è detta “orizzonte degli eventi”. L’oggetto massiccio che si trova al centro della sfera, e che crea la deformazione nello spaziotempo, è invece definito “singolarità”: ha questo nome perché non ne conosciamo le caratteristiche, anche se sappiamo che sono diverse da quelle che regolano il comportamento della materia per come la conosciamo. È inoltre ipotizzato che la densità della singolarità sia tale da tendere all’infinito.

Non possiamo sapere che cosa succede entro i confini dell’orizzonte degli eventi, perché niente al suo interno può sfuggire per raggiungere un osservatore esterno. In questo senso un buco nero è un po’ come quel detto su Las Vegas: ciò che accade nel buco nero resta nel buco nero. In compenso, dall’esterno possiamo osservare che cosa succede alla materia quando finisce in prossimità dell’orizzonte degli eventi e, in base alle sue reazioni, capire qualcosa in più sul buco nero. E qui entra in gioco l’Event Horizon Telescope (EHT).

Osservare un buco nero
Per esplorare a distanza ciò che avviene nei pressi di un buco nero si utilizzano i radiotelescopi, grandi antenne che a differenza dei classici telescopi ottici utilizzano le loro parabole per rilevare le onde radio emesse dalle cose (radiosorgenti) che ci sono nello Spazio. Il loro impiego ci consente, elaborando i dati raccolti, di osservare che cosa accade a distanze che nemmeno riusciamo a immaginare, tali da richiedere alla luce viaggi di decine, centinaia e a volte migliaia di anni. Negli anni, sulla Terra abbiamo costruito molti radiotelescopi, spesso nei posti più remoti e inaccessibili del pianeta, lontani da altre sorgenti radio che potrebbero disturbare le loro rilevazioni.

Il radiotelescopio ALMA in Cile (The Yomiuri Shimbun via AP Images )

In linea di massima: più sono grandi le parabole, più precise possono essere le osservazioni. Ed è partendo da questo presupposto che i ricercatori si sono chiesti: ma se trovassimo il modo di trasformare l’intero pianeta in un’unica grande antenna? La risposta a questa idea, un po’ matta come tutte quelle che riguardano la radioastronomia, è stata la costituzione dell’Event Horizon Telescope (EHT). I radiotelescopi partecipanti, dal Cile all’Antartide alle Hawaii, sono stati sincronizzati con orologi atomici e hanno raccolto all’unisono dati dal centro della galassia M87.

La rete di radiotelescopi utilizzata da EHT (ESO)

Il tentativo di rilevamento è avvenuto nell’aprile del 2017 e ha coinvolto otto osservatori, che perfettamente sincronizzati hanno funzionato come fossero un solo radiotelescopio. La gigantesca quantità di dati è stata poi raccolta da ogni radiotelescopio ed è stata trasferita all’osservatorio Haystack del Massachusetts Institute of Technology (Stati Uniti), dove è iniziato un lavoro di controllo e incrocio dei dati che ha richiesto quasi due anni per essere completato. Un supercomputer ha elaborato tutte le informazioni e ha infine consentito di produrre la prima osservazione diretta dell’ombra del buco nero al centro della galassia M87: un risultato storico e senza precedenti.

Per comprendere l’importanza del risultato, è opportuno chiarire una cosa sull’orizzonte degli eventi del buco nero nella galassia M87: il suo raggio è comunque gigantesco, si stima che abbia un diametro di 40 miliardi di chilometri. Il problema è che si trova molto lontano da noi, 55 milioni di anni luce, e – come sappiamo – più un oggetto è distante più è difficile distinguerlo da ciò che ha intorno anche se è molto grosso. La misurazione è stata quindi complicatissima, ha richiesto grandi quantità di dati e margini di errore bassissimi. Inoltre, ciò che vediamo è un’immagine di come appariva quella regione di Universo 55 milioni di anni fa: il tempo che ha impiegato la luce per raggiungerci.

Cosa si vede nell’immagine dell’EHT
A prima vista, l’immagine del primo buco nero potrebbe apparirvi un po’ deludente: un alone di luce con una forma simile a una macchia che potrebbe lasciare una tazza di tè sul vostro tavolino di legno preferito. Eppure, questa immagine racchiude informazioni fondamentali per comprendere meglio i buchi neri e trovare conferme alla teoria della relatività per quanto riguarda i forti campi gravitazionali.

(Event Horizon Telescope)

Come abbiamo visto, non possiamo osservare direttamente un buco nero, ma possiamo vedere la materia che ha intorno e come si comporta: il cosiddetto “disco di accrescimento”. Tra l’orizzonte degli eventi e il limite interno del disco di accrescimento c’è uno spazio vuoto pari a tre volte il raggio dell’orizzonte degli eventi. È una sorta di area di equilibrio, oltre la quale la materia non riesce a rimanere in un’orbita stabile e viene risucchiata dal buco nero. C’è però qualcosa che può avvicinarsi di più al buco nero: la luce.

Non avendo massa, la luce può permettersi di rimanere in orbita fino a una distanza di un raggio e mezzo dall’orizzonte degli eventi. Qui diventa un po’ complicato, ma immaginate che la luce in quella zona di spazio sia una sorta di sfera più grande rispetto a quella dell’orizzonte degli eventi. Se fosse un uovo di Pasqua, la luce sarebbe la cioccolata e l’orizzonte degli eventi la sorpresa al suo interno.

(Veritasium / YouTube)

La luce compie orbite velocissime: se potessimo essere sulla superficie di quella sfera e guardassimo avanti a noi vedremmo la nostra schiena, perché la luce che abbiamo davanti farebbe un giro completo arrivando alle nostre spalle in un istante. L’orbita di questa sfera di luce, inoltre, non è stabile: i fotoni che la costituiscono finiranno prima o poi per cadere nell’orizzonte degli eventi, oppure per sfuggire e disperdersi nello Spazio. (Tenete duro, va tutto bene.)

Per capire meglio come si comporta la luce intorno a un buco nero, immaginiamo di puntare contro l’orizzonte degli eventi un fascio di luce. Questo sarà assorbito e non lo vedremo mai più. La stessa cosa accadrà se proveremo a far passare il fascio di luce appena sopra l’orizzonte degli eventi e anche se questo sarà alla stessa distanza a cui si trova la sfera di luce. L’unico modo per sfuggire con il nostro fascio luminoso è allontanarlo dall’orizzonte degli eventi di una distanza pari a 2,6 volte il suo raggio. Il fascio sarà comunque perturbato dal buco nero (compirà un’orbita intorno all’orizzonte degli eventi), ma avrà velocità a sufficienza per sfuggire all’attrazione.

Questo ci dice che la parte di ombra prodotta dal buco nero che vediamo è per forza più grande del solo orizzonte degli eventi. Nell’immagine realizzata da EHT vediamo un’ombra che ha un raggio più grande rispetto a quello dell’orizzonte degli eventi. In questa ombra sono comprese innumerevoli immagini dell’orizzonte degli eventi, che naturalmente non possiamo vedere. Ciò che invece possiamo osservare è la luce che viene perturbata e poi riesce a sfuggire, trovandosi a una distanza non inferiore a 2,6 raggi dell’orizzonte degli eventi. Ed è questa la spia che ha permesso l’osservazione con EHT.

Naturalmente i radiotelescopi terrestri non hanno inviato della luce verso M87, ma hanno analizzato le informazioni provenienti dal disco di accrescimento del buco nero, l’unica cosa veramente visibile. Immaginate di avere in mano un piatto: potete osservarlo dall’alto e vederlo nella sua interezza, oppure a un’altra angolazione, vedendone solo una porzione o, ancora, solo il bordo. Con un buco nero le cose funzionano un po’ diversamente: anche se non osserviamo il disco di accrescimento perpendicolarmente, possiamo comunque vederlo per la maggior parte.

Ormai abbiamo capito che il buco nero ha la capacità di modificare lo spaziotempo e di “piegare” la luce. La luce della parte di disco di accrescimento che si trova dietro l’ombra viene piegata verso l’alto e può quindi raggiungere lo stesso EHT. E la stessa cosa accade, al contrario, con la luce al di sotto del disco di accrescimento, che passa al di sotto del buco nero e viaggia poi verso i nostri radiotelescopi. La luce della porzione di disco di accrescimento davanti all’ombra viene a sua volta piegata dal buco nero e contribuisce a creare una lieve aura intorno all’ombra stessa.

Se fossimo vicini a sufficienza al buco nero il risultato finale sarebbe molto simile a quello mostrato nel film Interstellar. La forma che assume la luce, piuttosto accurata, è proprio dovuta al modo in cui vengono deviati i fotoni del disco di accrescimento.

Ma M87 si trova a 55 milioni di anni luce da noi e la sua osservazione è piuttosto complicata. Per questo l’immagine di EHT assomiglia di più a un semplice cerchio: possiamo immaginare l’ombra al suo centro e vediamo la luce del disco di accrescimento intorno. Un lato è più luminoso dell’altro perché la materia nel disco di accrescimento è in movimento: orbita ad altissima velocità. La parte che idealmente viene verso di noi appare quindi più luminosa di quella che si allontana, nel suo moto circolare.

In estrema sintesi
Oggi per la prima volta abbiamo avuto la prova più concreta circa l’esistenza di un buco nero supermassiccio al centro della galassia M87. L’immagine, la prima nel suo genere, mostra che cosa succede alla luce e alla materia che si trovano in prossimità del buco nero. I dati raccolti e le prossime osservazioni ci aiuteranno a capire meglio il funzionamento dei buchi neri, la loro storia e la loro evoluzione. Ci aiuteranno inoltre a trovare conferme o eccezioni alle teorie relativistiche che cercano di spiegare come funziona tutto, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. L’immagine di oggi è solo l’inizio.