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  • Mercoledì 24 maggio 2023

Il comune sull’Appennino romagnolo rimasto isolato dopo l’alluvione

A Casola Valsenio le frane hanno reso inagibile la quasi totalità delle strade, e il 20 per cento del territorio è senza energia elettrica

di Angelo Mastrandrea

(Angelo Mastrandrea/Il Post)
(Angelo Mastrandrea/Il Post)
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La strada che da Casola Valsenio porta alla frazione di Baffadi, sull’Appennino romagnolo in provincia di Ravenna, si interrompe dopo poche decine di metri. È franata in più punti ed è impossibile passare. In qualche punto l’asfalto ha qualche crepa, in altri si è abbassato, altrove è ricoperto di alberi e terriccio. Più avanti metà montagna è caduta sulla strada, che è finita nel fiume Senio, cinquanta metri più sotto.

Edoardo Visani, un tecnico di una cooperativa montana locale che si occupa della manutenzione dei boschi, spiega che molte frane sono ancora in movimento e che stanno facendo il possibile per ripristinare la viabilità dov’è possibile, però «ci vorrà molto tempo e per molte strade bisognerà trovare un nuovo percorso». La provinciale 306 che porta a Baffadi e da qui a Palazzuolo sul Senio per poi sconfinare in Toscana, verso Marradi, è una di queste. Visani dice che ne hanno contate almeno un centinaio, ma si tratta solo di una stima perché è difficile controllare gli 85 chilometri quadrati di boschi e colline che appartengono al comune.

L’ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna ha contato più di mille frane in 54 comuni, 305 delle quali «significative». Di queste, 127 sono in provincia di Forlì-Cesena, 90 in quella di Ravenna, 49 in quella di Bologna, 12 in quella di Modena, 14 in quella di Reggio Emilia, 13 in quella di Rimini. In Romagna dieci giorni dopo l’alluvione i paesi di Brisighella e Modigliana sono accessibili solo ai residenti e ai soccorritori, mentre decine di frazioni, piccoli agglomerati e case sparse tra le montagne sono ancora irraggiungibili.

Una frana nel giardino di una casa a Casola Valsenio (Angelo Mastrandrea/Il Post)

Nel territorio di Casola Valsenio, comune di 2.500 abitanti, ci sono 92 chilometri di strade e di queste appena due chilometri sono agibili. Il sindaco Giorgio Sagrini, del Partito Democratico, dice che il comune non ha i soldi per risistemarle e chiede al governo un decreto «che ci permetta di avere risorse per coprire tutti i costi della rete infrastrutturale del territorio, per evitare che al dissesto idrogeologico si accompagni il dissesto sociale ed economico». Il timore è che alle frane segua l’abbandono del territorio e lo spopolamento, un processo già in corso da tempo nell’Appennino tosco-romagnolo. Già alla metà di aprile Sagrini aveva scritto alla giunta regionale chiedendo più fondi per il comune, per «evitare uno spopolamento, soprattutto giovanile, che si tramuterebbe in abbandono dei territori».

I cittadini si sentono meno ascoltati rispetto a quelli di pianura, dove le città sono più grandi e i danni maggiori.

«Sappiamo che è alto il prezzo, ma siamo romagnoli e ci rimbocchiamo le maniche, ma sembra che nessuno ci ascolti. Come se non avere avuto un metro d’acqua in casa fosse una colpa», ha scritto Silvia Sangiorgi, una residente, sul sito Ravennanotizie.it.

Casola Valsenio non è stata allagata, ma è rimasta isolata. Si trova su un altopiano sul fiume Senio ed è circondata dalle frane, che hanno travolto ogni cosa lungo il loro passaggio e cambiato per sempre il paesaggio. Non si può andare da nessuna parte, neppure al campo sportivo alle porte del paese. La via che porta a valle, verso Castel Bolognese, è aperta solo per i residenti. Un pezzo di montagna è franato sul centro abitato, distruggendo una casa vuota, usata solo in estate. Un’abitazione ottocentesca del centro storico, lungo la strada che dà sul Senio, ha perso le fondamenta e ora è inagibile, mentre tutto intorno le colline sono scivolate verso il basso. Un castagneto si è staccato ed è caduto più in basso su un’azienda agricola, gli smottamenti hanno sradicato alberi secolari, e lungo la strada che scende verso Riolo Terme il Senio è esondato e ha cambiato il suo corso. Ora costeggia la via provinciale ed è straripato ovunque, con una forza tale da rompere una chiusa in cemento armato.

Una casa danneggiata dalla frana (Angelo Mastrandrea/Il Post)

Più in alto le frane hanno girato attorno alla “Chiesa di sopra”, un edificio di culto di epoca medievale rimasto intatto. Invece un agricoltore ha visto precipitare a valle il suo uliveto, la frana ha travolto le gabbie con i conigli e ha sommerso il pollaio. Si è salvato solo l’asino perché la frana ha biforcato prima di raggiungere la stalla, mentre una gallina è stata trovata alle porte del paese con quattro pulcini ed è stata adottata. Ora è «la gallina di Ilario», che è il nome del contadino che ne era il proprietario. In paese ogni tanto ne ritrovano qualcuna, scappata da qualche allevamento distrutto. Le chiamano «galline profughe» e lo scrittore Cristiano Cavina, che è originario proprio di Casola Valsenio e ci ha ambientato diversi romanzi, dice che «faranno la fortuna dei lupi». Nell’allevamento intensivo dei fratelli Giovanni e Massimo Bertozzi sono morti 70mila polli, soffocati dalle esalazioni di ammoniaca provocate dall’interruzione di energia elettrica che ha fermato l’impianto di ventilazione nel capannone dove si trovavano.

I cittadini di Casola Valsenio raccontano che già dalla sera di martedì 16 maggio i torrenti si erano gonfiati e si sentivano piccole scosse che qualcuno aveva scambiato per terremoti. Per questo molti tra gli abitanti a ridosso della montagna, sul lato opposto del Senio, hanno preferito lasciare le abitazioni e dormire fuori. «Durante la notte mi dicevo che saremmo finiti anche noi nel rio che scorre dietro la nostra casa, gonfio come non l’avevo mai visto», dice Angela Cavina, che invece ha deciso di rimanere. Verso le 7:30 di mercoledì 17 maggio sua sorella Nicoletta ha sentito un rumore sordo, molto forte. «Mi sono affacciata alla porta e ho visto venir giù la montagna di fronte», racconta, indicando uno squarcio color marrone tra i boschi. Quel giorno i bambini delle scuole elementari sarebbero dovuti andare in gita a Riccione, la prima uscita dopo la pandemia. È stata annullata, le scuole sono chiuse e non si sa se riapriranno prima della fine dell’anno.

Nel piazzale davanti alla caserma dei vigili del fuoco gli elicotteri caricano pacchi con viveri destinati alle persone che non hanno voluto lasciare le loro case e agli animali delle aziende agricole. «Solo oggi abbiamo consegnato 65 quintali di mangime per bovini, pollame, pecore e capre, e altri 300 sono in partenza», dice il vicesindaco di Casola Valsenio, Maurizio Nati. La Lega antivivisezione ha allestito un canile provvisorio vicino alla palestra comunale. La mattina del 24 maggio, dieci giorni dopo l’alluvione, il comune ha aggiornato i dati dell’emergenza: 120 persone sono ancora isolate, 200 persone sfollate, il 20 per cento del territorio ancora senza energia elettrica.

(Angelo Mastrandrea/Il Post)

Le persone residenti nelle frazioni di montagna, piccole comunità costituite da poche case, sono state evacuate con gli elicotteri. Gli sfollati sono alloggiati in gran parte nella palestra comunale, mentre alcuni sono stati sistemati in appartamenti sfitti e altri sono ospitati da amici e familiari. Antonio Norrito ha messo a disposizione la sua pizzeria. Qualcuno non ha voluto abbandonare la propria casa e scende in paese a piedi, camminando per ore tra i boschi.

«C’è un fantino che fa su e giù dalle montagne con il suo cavallo per portare da mangiare, come si faceva nell’Ottocento», dice Cavina, che proprio il giorno dell’alluvione sarebbe dovuto partire per il Salone del libro di Torino, dov’era stato invitato dalla Scuola Holden. Cavina ora vive a Faenza, ma ha deciso di tornare in paese e ora si aggira per le strade sporco di fango. «Dopo l’alluvione non riuscivo a sentire nessuno, neppure mia mamma, così mi sono messo in auto e sono salito attraverso una stradina che conosci solo se hai vissuto lì», dice. L’acqua ha spazzato via lo scatolone con le copie del suo ultimo romanzo, intitolato Il ragazzo sbagliato, che gli aveva appena spedito la casa editrice Bompiani. Ne ha ritrovata solo una, ricoperta di fango e «adagiata sotto una piantina di menta», davanti alla casa di famiglia. «Possono capitare casi, nella vita di un uomo, in cui un badile scrive le cose meglio di una penna», ha scritto Cavina in un post su Facebook.