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  • Giovedì 11 agosto 2022

Cosa sta succedendo con le inchieste su Trump

La perquisizione dell'FBI in Florida e l'interrogatorio di mercoledì a New York sono solo gli ultimi dei molti casi giudiziari che lo riguardano

 (AP Photo/Julia Nikhinson)
(AP Photo/Julia Nikhinson)
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Tra lunedì e mercoledì l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è trovato ad affrontare due vicende giudiziarie distinte, che hanno attratto entrambe enorme attenzione: la perquisizione della sua villa in Florida da parte dell’FBI e un interrogatorio a New York relativo a un’indagine sui possibili reati finanziari della sua azienda. Che le due cose siano accadute nel giro di tre giorni è stata solo una coincidenza, ma ha fatto tornare a parlare delle molte inchieste in cui è coinvolto l’ex presidente americano, che potrebbero ostacolare le sue intenzioni di candidarsi alle primarie presidenziali del Partito Repubblicano in vista delle elezioni del 2024, e che Trump sta usando come scusa per polarizzare ulteriormente il suo elettorato.

Soprattutto la perquisizione dell’FBI, che era stata organizzata dal dipartimento di Giustizia e sembra avesse a che fare con alcuni documenti riservati che Trump aveva portato nella villa al termine del suo mandato, è stata commentata molto criticamente da vari membri dei Repubblicani, il suo partito, che hanno accusato gli investigatori di voler ostacolare una nuova candidatura dell’ex presidente.

L’interrogatorio era stato invece ordinato dalla procuratrice generale di New York Letitia James, che sta indagando sulla possibilità che la società dell’ex presidente, la Trump Organization, abbia manipolato il valore delle sue proprietà e di altri beni per ottenere prestiti favorevoli e sgravi fiscali: l’indagine è cominciata nel 2019 e riguarda fatti precedenti alla presidenza di Trump.

Durante l’interrogatorio, però, Trump si è rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda, invocando il Quinto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che tra le altre cose garantisce che una persona possa rimanere in silenzio quando viene interrogata. L’interrogatorio è stato una delle ultime fasi dell’indagine di James, che ora dovrà decidere se avviare una causa civile contro Trump o la Trump Organization.

Secondo i giornali americani durante l’incontro con James, che è durato circa quattro ore, dopo una prima dichiarazione in cui ha definito l’inchiesta «la più grande caccia alle streghe della storia di questo paese», Trump ha invocato il Quinto emendamento e da lì in poi a ogni domanda ha continuato a ripetere: «Stessa risposta», appellandosi ogni singola volta alla facoltà di non rispondere.

– Leggi anche: I Repubblicani sono tutti contro l’FBI

Oltre a quella condotta da James, c’è anche un’altra indagine sui conti della società di Trump, avviata dal procuratore del distretto di Manhattan, Cyrus Vance: in questo caso è però un’indagine penale e non civile, e le accuse nei confronti di Trump potrebbero portare a condanne molto severe nel caso in cui l’ex presidente venisse ritenuto colpevole. Ma quest’indagine prosegue a rilento e con molte difficoltà (per ottenere i rendiconti fiscali della società di Trump, tra le altre cose) e non è affatto certo che alla fine porterà a qualcosa. Peraltro nel 2021 Vance aveva lasciato il proprio incarico ed era stato sostituito da Alvin Bragg, il quale in passato aveva espresso diversi dubbi sull’indagine.

Il caso più grosso e rilevante politicamente in cui potrebbe essere coinvolto Trump è però un altro, quello relativo all’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, compiuto dai suoi sostenitori per cercare di fermare la certificazione dell’elezione vinta da Joe Biden. Al momento è al lavoro sul caso una Commissione d’inchiesta della Camera statunitense che da mesi sta analizzando tutti gli elementi riguardanti quella giornata, per cercare di ricostruire come andarono le cose e quale fu effettivamente il ruolo di Trump.

La Commissione della Camera non può incriminare l’ex presidente: qualsiasi procedimento giudiziario dovrebbe essere deciso dal dipartimento di Giustizia, che per ora non si è espresso a riguardo. Ma considerata la gravità dei comportamenti emersi finora, non è escluso che il dipartimento deciderà di procedere, anche se sulla sostenibilità dell’eventuale processo sono stati avanzati alcuni dubbi.

Dalle testimonianze e dai documenti raccolti finora, è emerso che Trump quel giorno per varie ore si rifiutò di fermare o anche soltanto condannare l’attacco, e che diede l’impressione di stare dalla parte dei rivoltosi, e non dei parlamentari e del personale del Congresso che furono messi in pericolo. È emerso anche che per tutto il tempo dell’attacco Trump non cercò mai di mettersi in contatto né con le forze dell’ordine né con il Pentagono, cioè il ministero della Difesa. Soprattutto, la Commissione sta cercando di dimostrare che Trump avesse cercato di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020.

La Commissione pubblicherà un documento finale con i risultati completi della sua indagine a settembre, e Trump potrebbe essere accusato di “sedizione”, un reato già usato per altri partecipanti all’attacco del 6 gennaio, o di altri reati meno gravi.

Un’altra inchiesta, sempre relativa alle elezioni presidenziali del 2020, riguarda la possibilità che Trump avesse cercato di sovvertire il risultato nello stato della Georgia, provando a convincere il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, a “trovare” i voti necessari per ribaltare il risultato in suo favore. L’inchiesta, basata soprattutto su una registrazione telefonica tra Trump e Raffensperger, è iniziata da circa un anno e nelle prossime settimane cominceranno a essere raccolte le prime testimonianze davanti a un gran giurì, ovvero una giuria con poteri speciali prevista negli ordinamenti giuridici di alcuni stati.

C’è infine il caso di E. Jean Carroll, giornalista famosa per aver curato a partire dal 1993 una rubrica di consigli sentimentali sulla rivista Elle, che nel giugno del 2019 aveva accusato Trump di averla stuprata nel 1996. Trump aveva risposto a Carroll dicendo di non averla mai incontrata e l’aveva accusata a sua volta di essersi inventata tutto per «cercare di vendere il suo nuovo libro». Carroll aveva quindi citato in giudizio Trump per diffamazione: la prima udienza del processo è fissata per febbraio del 2023, ma è possibile anche che le due parti trovino un accordo extragiudiziale prima di quella data.

– Leggi anche: Le conseguenze dell’innalzamento del livello dei mari, secondo Trump

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