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  • Mercoledì 10 agosto 2022

I Repubblicani sono tutti contro l’FBI

Dopo la perquisizione nella casa di Trump hanno reagito uniti e duramente, segno che l'ex presidente non è per niente indebolito

Una manifestazione in sostegno di Trump davanti alla sua casa di Mar-a-Lago (ANSA/EPA/CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH)
Una manifestazione in sostegno di Trump davanti alla sua casa di Mar-a-Lago (ANSA/EPA/CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH)
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Nelle ultime ore moltissimi esponenti del Partito Repubblicano degli Stati Uniti hanno criticato duramente la perquisizione fatta dall’FBI, l’agenzia investigativa della polizia federale statunitense, nella villa dell’ex presidente Donald Trump in Florida. Era la prima volta nella storia del paese che le forze di polizia perquisivano la residenza privata di un ex presidente: anche per questo motivo i Repubblicani stanno protestando molto vivacemente contro quello che ritengono sia stato un tentativo di indebolire Trump e il partito in vista delle elezioni di medio termine (previste a novembre) e di una ricandidatura dell’ex presidente alle elezioni presidenziali del 2024.

Le reazioni dei Repubblicani sono state durissime e spesso piuttosto peculiari, e sono state alimentate da Trump stesso, che ha denunciato la perquisizione come un’ingerenza gravissima. Il sostegno praticamente unanime che gli ha dato il partito è stato anche interpretato come un segno del fatto che l’influenza di Trump sulla politica conservatrice americana è ancora molto forte.

L’FBI non ha comunicato i motivi della perquisizione, anche se sembra molto probabilmente legata ad alcuni documenti riservati che Trump aveva portato nella villa al termine del suo mandato presidenziale. Subito dopo la perquisizione, decine di sostenitori di Trump e del Partito Repubblicano si sono radunati davanti alla villa (chiamata Mar-a-Lago) e hanno cominciato a protestare con cartelli e slogan contro l’FBI, contro il dipartimento di Giustizia e contro i Democratici e il presidente Joe Biden.

Alcuni importanti esponenti Repubblicani molto vicini a Trump hanno ipotizzato future azioni giudiziarie nei confronti di Merrick Garland, procuratore generale degli Stati Uniti, capo del Dipartimento della Giustizia, nominato da Joe Biden, che secondo diverse fonti avrebbe autorizzato personalmente la perquisizione. Lo ha fatto molto esplicitamente Kevin McCarthy, leader della minoranza Repubblicana alla Camera, che su Twitter ha scritto che, se i Repubblicani riprenderanno il controllo della Camera dopo le elezioni di medio termine, condurranno immediatamente un’inchiesta sul Dipartimento: «Conserva tutti i tuoi documenti e non prendere impegni», ha scritto su Twitter rivolgendosi a Garland.

Un altro Repubblicano piuttosto celebre, come il senatore della Florida Marco Rubio, ha paragonato la perquisizione dell’FBI alla manovra di una «dittatura fascista del terzo mondo».

Ha usato toni ancora più coloriti Marjorie Taylor Greene, deputata Repubblicana molto nota per le sue teorie estremiste e complottiste, che su Twitter ha parlato di un complotto dei Democratici ai danni di Trump e ha invocato un taglio dei fondi all’FBI.

Anche Repubblicani più moderati, come l’ex vicepresidente Mike Pence, che potrebbe candidarsi alle primarie presidenziali dei Repubblicani per il 2024 e che da tempo è considerato molto lontano da Trump, hanno condannato la perquisizione.

I Democratici hanno ovviamente respinto tutte le accuse, ribadendo che per Trump vale la presunzione di innocenza e che il dipartimento di Giustizia ha tutto il diritto di svolgere le proprie indagini. La speaker della Camera Nancy Pelosi ha anche ricordato come l’attuale capo dell’FBI sia stato nominato proprio da Trump.

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Le reazioni mostrano come Trump sia ancora centrale nel Partito Repubblicano e come la maggior parte dei parlamentari sia ancora dalla sua parte. È inoltre un segno di come sia l’eventuale inchiesta che procederà dalla perquisizione sia le molte altre in cui Trump è coinvolto potrebbero essere complicate e ostacolate dalle mobilitazioni pubbliche e molto dure di Trump e dei suoi, che di fatto secondo molti analisti costituiscono una delle principali strategie di difesa dell’ex presidente.

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