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  • Venerdì 22 luglio 2022

La notevole storia del nuovo capo della polizia di Boston

Michael Cox, afroamericano, fu pestato nel 1995 da alcuni colleghi dello stesso dipartimento, che poi cercarono di insabbiare la violenza

Michael Cox, a destra, in compagnia di un altro membro della polizia di Boston (AP Photo/Steven Senne)
Michael Cox, a destra, in compagnia di un altro membro della polizia di Boston (AP Photo/Steven Senne)
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A capo della polizia di Boston, la più antica degli Stati Uniti, è stato nominato Michael Cox, poliziotto afroamericano che quasi trent’anni fa denunciò lo stesso dipartimento di polizia per violazione dei diritti civili: Cox fu malmenato da alcuni suoi colleghi perché scambiato per un aggressore, lottò per anni contro i successivi tentativi di insabbiamento e fu poi trasferito al dipartimento di polizia di Ann Arbor, in Michigan. Ora tornerà alla polizia di Boston con l’obiettivo di riformarla e ridurre l’impiego della violenza da parte dei suoi agenti.

Cox ha 57 anni e dirigeva la polizia di Ann Arbor dal 2019, dopo moltissimo tempo passato nel dipartimento di Boston, dove era entrato a 24 anni. A nominarlo nuovo capo è stata la sindaca Michelle Wu, Democratica, eletta lo scorso anno e una delle pochissime persone di origini asiatiche a ricoprire questo incarico in una grande città americana. Anche Wu, così come Cox, aveva espresso l’intenzione di riformare la polizia locale, riducendo gli episodi di razzismo ed eliminando la corruzione.

Cox si insedierà come nuovo capo della polizia di Boston il prossimo 15 agosto. Guiderà un dipartimento di circa 1.600 agenti, accusato di essere razzista e restìo al cambiamento (come del resto molti altri negli Stati Uniti). Il dipartimento, tra l’altro, è senza capo da oltre un anno, perché quello precedente, Dennis White, era stato rimosso perché accusato di violenza domestica.

Cox è un convinto sostenitore del cosiddetto community policing, che nei paesi anglosassoni indica un modello di polizia particolare: dove gli agenti vengono reclutati e formati in modo che conoscano le zone in cui hanno competenza e i gruppi sociali che li abitano, e che vedano il proprio mestiere soprattutto come un servizio a queste comunità, senza necessariamente assumere il ruolo di “sceriffi”. Nel caso di Boston, Cox vorrebbe creare un legame di maggiore fiducia con le persone afroamericane (circa il 24 per cento della popolazione cittadina), che tendono a essere più diffidenti verso la polizia locale.

«Se la gente ha dei problemi – problemi che hanno radici storiche – noi dobbiamo ascoltare e dimostrare che siamo in grado di accettare le critiche», ha detto Cox.

– Leggi anche: Il problema della polizia negli Stati Uniti

Cox è piuttosto conosciuto nell’ambiente della polizia. Nel corso della sua carriera ha ottenuto diversi riconoscimenti, ma anche ricevuto critiche: due anni fa, per esempio, fu accusato di aver creato un ambiente lavorativo ostile e di avere assunto spesso un atteggiamento dispotico nei confronti di agenti e staff del dipartimento di polizia di Ann Arbor. L’episodio per cui è più noto, però, è proprio il pestaggio che subì nel 1995.

A Cox successe questo: una notte di gennaio del 1995 lui e alcuni suoi colleghi stavano inseguendo due persone sospettate di aver sparato a un uomo in un ristorante, uccidendolo. Sia Cox che gli altri agenti erano in borghese (non indossavano le divise da poliziotti). Nel corso dell’inseguimento, Cox fu scambiato per uno dei sospettati: mentre cercava di scavalcare una recinzione fu preso da dietro da uno dei suoi colleghi, sbattuto a terra, immobilizzato e poi preso a pugni, a calci e colpito più volte alla testa con una serie di oggetti.

Quando uno dei poliziotti si accorse che era uno di loro, Cox fu lasciato a terra, sanguinante e incosciente. Ore dopo fu portato d’urgenza in un ospedale di Boston: aveva grosse ferite alla testa e sul viso, una commozione cerebrale e alcuni danni ai reni. Ci mise sei mesi per riprendersi.

A rendere nota la sua storia furono soprattutto i tentativi di insabbiamento del pestaggio da parte dei suoi colleghi, che quella mattina chiamarono la moglie di Cox e la avvisarono che suo marito era rimasto ferito durante un inseguimento perché «era scivolato su un pezzo di ghiaccio e aveva battuto la testa». Quando Cox si riprese, denunciò il dipartimento di polizia e ne seguì un processo federale durato anni, e che di fatto non portò da nessuna parte.

Cox si scontrò con quello che il New York Times definisce il «codice del silenzio, la legge non scritta che presume che gli agenti di polizia si proteggano l’un l’altro dalle responsabilità». Cox raccontò di aver ricevuto anche numerose minacce, probabilmente per scoraggiarlo a proseguire nella causa legale.

E come in tanti altri casi nella storia degli Stati Uniti in cui la polizia è stata accusata di aver picchiato o ucciso una persona afroamericana, nessuno dei suoi colleghi fu incriminato per il pestaggio, che restò quindi impunito. Contro Cox si schierarono anche i sindacati di polizia americani, anche questa una pratica molto frequente.

La battaglia legale di Cox, che nel tempo acquisì visibilità, attirò l’attenzione pubblica sui rischi che correvano gli agenti di polizia neri e sulle discriminazioni che subivano nei processi. Nel 2009, riferendosi al pestaggio di Cox, Eric Adams, allora poliziotto afroamericano e oggi sindaco di New York, disse: «Se un gruppo di poliziotti neri sparasse accidentalmente ad alcuni studenti bianchi o picchiasse dei bianchi, ci sarebbe immediatamente una ricerca su scala nazionale per capire i motivi della violenza» (anni dopo Adams avrebbe nominato a capo della polizia di New York Keechant Sewell, afroamericana e la prima donna della storia a ricoprire questo ruolo).

La nomina di Cox a capo della polizia di Boston è stata accolta piuttosto bene dai commentatori progressisti: «Segna un nuovo, sorprendente capitolo per il dipartimento di polizia che un giorno lo punì per aver parlato», ha scritto il Boston Globe.

Parte dell’entusiasmo si spiega anche col fatto che negli Stati Uniti i capi dei singoli dipartimenti hanno molto più potere di quello che ha in Italia un poliziotto a capo di un commissariato: anche se negli Stati Uniti esistono organi di sicurezza federali come l’FBI, la polizia è gestita soprattutto a livello locale (città, contee e stati), con un buon margine di autonomia: è anche ciò che rende più complicata una riforma della polizia su tutto il territorio statunitense.

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