I dispersi sulla Marmolada sono meno di quanti si pensasse

Secondo la procura sono ancora cinque gli escursionisti di cui non si hanno notizie, mentre continuano le ricerche

La parete Nord della Marmolada, con la porzione di ghiacciaio crollata al centro in alto. (AP Photo/Luca Bruno)
La parete Nord della Marmolada, con la porzione di ghiacciaio crollata al centro in alto. (AP Photo/Luca Bruno)

Le persone ancora disperse dopo il distacco di un’enorme porzione di ghiacciaio sulla Marmolada, il gruppo montuoso più alto delle Dolomiti, sono soltanto cinque secondo quanto ha detto la procura di Trento all’Ansa. Fino a martedì mattina si pensava che fossero di più, fino a 13: poi alcuni degli escursionisti che si pensava stessero percorrendo la via normale di salita domenica pomeriggio, e di cui non si avevano più notizie, sono stati rintracciati. Finora invece i morti accertati sono 7, ma ci si aspetta che il numero salirà: ci sono poche speranze di ritrovare vive le persone che sono state sepolte dalla frana di ghiaccio e roccia.

Le squadre di soccorritori, provenienti da varie unità e sedi, hanno avuto molte difficoltà a cercare i dispersi perché la calotta di ghiaccio che è crollata, soprannominata la “Pancia dei Finanzieri”, potrebbe nuovamente cedere. Nella striscia di parete dove è passata la frana, e dove si trovano probabilmente i corpi dei dispersi, potrebbero quindi cadere di nuovo detriti. Martedì l’intera area della Marmolada è stata chiusa agli escursionisti, con vari cartelli di divieto d’accesso, per evitare che qualcuno si avvicini troppo alle aree in cui si teme possano esserci nuovi crolli.

La frana ha travolto con estrema violenza gli escursionisti, in alcuni casi smembrandone i corpi, rendendo quindi più difficili le ricerche e anche il riconoscimento. Finora soltanto 3 dei 7 corpi ritrovati sono stati identificati: sono quelli del 27enne Filippo Bari, del 52enne Paolo Danni e del 48enne Tommaso Carollo, tutti residenti nel vicentino.

Le ricerche sono in corso quindi non via terra ma attraverso droni dotati di telecamere, che perlustrano la zona della frana, e di elicotteri di vario tipo, compreso uno in grado di captare il segnale dei telefoni cellulari ancora accesi. In caso venga avvistato qualcosa, i soccorritori possono calarsi per provare a scavare. Un’ipotesi citata da alcuni media è che si possa provocare artificialmente il distacco della parte restante della porzione di ghiacciaio considerata a rischio crolli, per poter effettuare le ricerche più in sicurezza: ma questo ricoprirebbe l’area di ricerche di altro ghiaccio e roccia.

Oltre al pessimismo sulle possibilità che alcuni degli escursionisti travolti possano essere sopravvissuti, c’è scetticismo tra i soccorritori anche sulle probabilità di ritrovare tutti i corpi, che potrebbero essere rinvenuti o riaffiorare nel corso di settimane, mesi o addirittura anni, com’è normale in montagna.

(Provincia autonoma di Trento via AP)

Fin da domenica esperti di vario tipo stanno dando interviste che in molti casi riflettono su quanto il distacco del ghiacciaio fosse prevedibile.

I ghiacciai sono per loro natura interessati da crolli, specialmente d’estate e nelle ore più calde della giornata, quando lo scioglimento dei ghiacci provoca il cedimento dei seracchi, le strutture a torre o comunque marginali dei ghiacciai. L’inverno senza precipitazioni, e quindi con poca neve a ricoprire e consolidare il ghiacciaio, e il caldo anomalo e intenso delle ultime settimane hanno sicuramente indebolito i ghiacciai alpini.

Carlo Barbante, glaciologo e Direttore dell’Istituto di Scienze Polari del CNR, ha spiegato a Repubblica: «Il caldo prolungato ha provocato probabilmente un’enorme intrusione di acqua tra il ghiaccio e la roccia. L’acqua ha scavato un’area che ha poi riempito. A ciò si aggiunga che con temperature più alte le rocce si riscaldano più facilmente: insomma, è crollato lo strato di ghiaccio sopra questa cavità e ghiaccio e rocce sono precipitati».

Nei giorni precedenti al crollo, il custode di Capanna Punta Penia, un rifugio in cima alla Marmolada, aveva pubblicato un video in cui diceva di sentire il rumore di torrenti scorrere sotto al ghiacciaio.

Domenica le temperature oltre tremila metri, quindi la quota del distacco, superavano i 10 °C, come era successo diverse altre volte nell’ultimo mese, eccezionalmente caldo. Il rischio di crolli era alto, e specialmente nel pomeriggio: solitamente infatti si preferisce percorrere i ghiacciai nelle prime ore della mattina. Ma è piuttosto normale che ancora nel primo pomeriggio di una domenica d’estate, e quindi con temperature alte, sulla via normale della Marmolada ci siano decine di persone, che in molti casi stanno scendendo dopo aver raggiunto la cima in mattinata (quel percorso peraltro è usato anche come via di discesa per chi fa una ferrata che arriva in punta).

– Leggi anche: Il ghiacciaio della Marmolada ci sarà ancora per 30 anni

La maggior parte delle analisi sta sottolineando come il riscaldamento globale causato dalle attività umane stia cambiando gli ambienti di alta montagna, sciogliendo progressivamente i ghiacciai e provocando dinamiche che ancora non conosciamo bene. Per questo anche protocolli e abitudini che riguardano la sicurezza in montagna sviluppati nel corso di decenni hanno bisogno di aggiornamenti e accorgimenti, specialmente in periodi di condizioni meteorologiche anomale – per la siccità e il caldo – come quello in corso.