Cos’è l’identità alias

In alcuni contesti permette alle persone trans senza documenti rettificati di essere riconosciute con il proprio genere

Una bandiera arcobaleno esposta a una finestra del palazzo del Comune di Milano, il 17 maggio 2022 (Ufficio stampa del Comune di Milano)
Una bandiera arcobaleno esposta a una finestra del palazzo del Comune di Milano, il 17 maggio 2022 (Ufficio stampa del Comune di Milano)
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Il 16 maggio il Consiglio comunale di Milano ha approvato una mozione per istituire un registro dedicato alle persone trans la cui corretta identità di genere non è ancora riconosciuta dallo Stato: persone che hanno quindi indicato sui propri documenti il sesso biologico di nascita. Lo scopo del registro è riportare il nome che hanno scelto (e non quello registrato all’anagrafe) sui documenti di competenza del Comune, come la tessera della biblioteca e l’abbonamento per il trasporto pubblico. In sostanza, permetterà alle persone trans per cui lo Stato non riconosce ancora il percorso di transizione di avere “un’identità alias” almeno per il Comune.

La possibilità di avere un alias corrispondente all’identità di genere vissuta quando questa diverge da quella associata al sesso di nascita è già abbastanza diffusa all’interno di scuole e università italiane, dove questa pratica è nata (all’Università di Napoli Federico II almeno dal 2015). Gli studenti trans che hanno già iniziato il proprio percorso di transizione burocratico (e di fatto sociale, nei rapporti umani con famiglia e conoscenti), ma non sono ancora arrivati ad avere la propria identità confermata dai documenti, possono chiedere di essere indicati con il nome scelto su registri e libretti dei voti: in questo caso si parla di “carriera alias”, che in molte scuole superiori d’Italia sono state introdotte grazie alle richieste dei rappresentanti degli studenti.

Nelle università disporre di una carriera alias significa presentarsi di fronte ai professori in modo tale da essere chiamati con le giuste desinenze e con i giusti pronomi. Con un’analoga soluzione a livello comunale, le persone trans possono avere la sicurezza di essere riconosciute nella propria identità di genere dal personale delle biblioteche e del trasporto pubblico, ad esempio.

L’esigenza di carriere alias e identità alias dipende da come funzionano in Italia i percorsi di transizione istituzionali, quelli che permettono la rettifica dei dati anagrafici e dei documenti. Sono percorsi che possono durare diversi anni, che prevedono un coinvolgimento di psicologi e medici e si sviluppano in tappe successive, con tempi più o meno obbligatori.

Semplificando e generalizzando, la prima fase prevede che la persona, a seguito di esperienze di disagio provate per il genere corrispondente al sesso di nascita, cominci a prendere contatto con dei professionisti in ambito psicologico per valutare o avviare un percorso di transizione. Lo scopo della terapia psicologica è certificare la disforia di genere (cioè il senso di disagio provato nelle interazioni sociali per l’incongruenza tra sesso e genere percepito) e dare il nulla osta per la terapia ormonale che permette di compiere una transizione a livello fisico.

La seconda fase del percorso riguarda appunto la terapia ormonale, che serve a modificare alcuni caratteri sessuali (“femminilizzando” o “mascolinizzando” l’aspetto della persona) e a inibire manifestazioni fisiche del sesso biologico di nascita. Avviene sotto la supervisione di un medico endocrinologo e prosegue per tutta la vita.

Cominciate le cure ormonali inizia il cosiddetto “test di vita reale”: la persona inizia cioè a vivere nel mondo come persona del genere a cui sente di appartenere (anche se spesso lo faceva anche da prima). A questo punto del percorso, sebbene la persona abbia ancora i suoi documenti originali, il suo aspetto esteriore e il modo in cui si presenta in società è coerente con l’identità di genere percepita: per questo in alcune situazioni può dover affrontare delle esperienze incongruenti, come mettersi nella fila “sbagliata” ai seggi elettorali, dove ci si divide per sesso, o sentirsi chiamare con il proprio nome anagrafico di fronte ad altre persone da pubblici ufficiali.

Significa essere obbligati a rivelare la propria fase di transizione o la propria identità trans, cioè dover giustificare pubblicamente il contrasto tra genere vissuto ed esibito e quello mostrato dai documenti.

Si parla di “test” perché l’idea dietro questa fase è che solo dopo un certo periodo passato esprimendo all’interno della società il genere percepito si potrà essere sicuri del proprio percorso di transizione: per prassi dura dai dieci ai dodici mesi. Una volta concluso, gli psicologi e i medici che hanno seguito la persona preparano una relazione diagnostica e una perizia endocrinologica che viene poi presentata in tribunale, cioè il posto in cui la transizione è infine certificata dallo Stato.

Non è possibile prevedere la durata del procedimento legale: ogni tribunale ha tempi differenti, e può anche richiedere una consulenza tecnica, ovvero un’ulteriore relazione fatta da periti imposti, a pagamento, con allungamento dei tempi e dei costi. Per chi la chiede, può poi iniziare la fase chirurgica (di modifica degli organi genitali primari e di caratteristiche sessuali secondarie, come il seno), che però dal 2015 non è più obbligatoria per completare il percorso istituzionale.

L’attuale percorso è criticato da molte persone trans perché è spesso molto lungo, non permette alle persone di avere documenti rettificati durante il test di vita reale, richiede obbligatoriamente di seguire una terapia psicologica e non contempla la situazione delle persone che non si riconoscono nel binarismo di genere (e che dunque non vogliono passare “da un sesso all’altro”), dato che la legislazione italiana non ammette l’esistenza di generi che non siano quello maschile e quello femminile.

La mozione approvata dal Consiglio comunale di Milano è stata presentata da Monica Romano, la prima donna trans a ricoprire l’incarico di consigliera. Prevede che, una volta che il registro sarà stato istituito, le persone interessate all’identità alias possano presentarsi davanti a un ufficiale di stato civile e dichiarare il proprio nome scelto, e così ottenere di averlo indicato sui documenti di competenza comunale senza il coinvolgimento di personale medico. Varrà anche per i documenti di riconoscimento interni (i badge) dei dipendenti del Comune e delle aziende partecipate, oltre che per le tessere di accesso agli impianti sportivi comunali. Romano ha anche detto che il registro favorirà «l’esercizio del diritto di voto delle persone transgender»: non è stato chiarito come, probabilmente avrà un ruolo nelle regole con cui si vota ai seggi divisi per sesso.

 

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Il comune di Milano è il primo ad adottare una soluzione di questo tipo, anche se in precedenza erano già state avviate iniziative a livello comunale sulle identità alias.

Era successo per esempio a Ravenna lo scorso novembre, per iniziativa dall’azienda del trasporto pubblico locale Start Romagna: la possibilità di avere il proprio nome scelto sulla tessera di abbonamento ai mezzi era stata introdotta dopo che una ragazza trans e i suoi genitori, attraverso un’associazione da loro fondata, Affetti oltre il genere, ne avevano fatto richiesta. In precedenza la ragazza non aveva voluto fare un abbonamento per non avere una tessera su cui fosse indicato il suo nome anagrafico, e usava biglietti singoli per andare e tornare da scuola: un giorno però si era dimenticata di acquistarne uno e di fronte al controllore aveva dovuto dire il suo nome anagrafico.

A Ravenna non c’è un registro comunale come quello di Milano e perciò Start Romagna consente oggi di avere un’identità alias alle persone dotate di una tessera rilasciata da Affetti oltre il genere.

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