Cos’è il “they singolare” in inglese

È il pronome neutro sempre più usato da chi non si riconosce né nel genere femminile né in quello maschile: ma è intraducibile e non vuol dire “loro”

(Steve Jennings/Getty Images for iHeartMedia)
(Steve Jennings/Getty Images for iHeartMedia)
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Mercoledì Demi Lovato, cantante statunitense, ha detto pubblicamente di essere una persona non binaria, cioè la cui identità di genere non è né femminile né maschile. Nel tweet in cui lo ha spiegato ha aggiunto che «cambierà i suoi pronomi», che d’ora in poi saranno they e them. Così ha di fatto chiesto che non si parli più della sua persona usando i pronomi femminili she/her, ma appunto they/them. Non è un comportamento inusuale: negli Stati Uniti, con l’emergere di nuove sensibilità e attenzioni ai linguaggi più inclusivi, tra chi non si riconosce come donna o come uomo, e quindi nei pronomi “lui” o “lei”, si è diffusa la pratica di definirsi in modo neutro con il they, sfruttando una caratteristica della lingua inglese. Parlando in italiano di queste persone però non bisogna fare l’errore di usare il plurale, come verrebbe naturale.

In inglese they (e le declinazioni them, their, theirs e themselves) è il pronome di terza persona plurale che in italiano traduciamo con “loro”. Nel modo in cui lo usa Demi Lovato e tutte le persone che lo indicano come proprio pronome, però, they ha un uso diverso, definito singular they, cioè “they singolare”. Non ha niente a che fare insomma con l’italiano “loro”, ma ha invece la funzione di pronome singolare neutro.

Per chi non si riconosce nei generi femminile e maschile le lingue che non prevedono forme neutre possono essere un problema. In molti casi infatti queste persone vivono con disagio il fatto di essere definite con un genere che non sentono proprio ogni volta che parlano con qualcuno. Solo per fare un esempio: come chiedereste in italiano a una persona non binaria dove è stata in vacanza? “Stato”o “stata”, infatti, attribuiscono all’interlocutore in un caso il genere maschile, nell’altro quello femminile.

Risolvere questo problema nella lingua inglese è stato più facile perché sostantivi, aggettivi e verbi non hanno desinenze che ne indichino il genere: non esiste il problema “stato/stata”, e non bisogna scegliere tra “alto” o “alta”, si usa sempre sempre tall. Negli ultimi tempi poi molte parole usate per definire le professioni sono state sostituite in modo da poter essere usate in modo neutro. Un esempio è quello dei termini che si usano per indicare chi serve ai tavoli di un ristorante: le parole waiter (cameriere) e waitress (cameriera) sono sempre più spesso sostituite dal neutro employ server. Da questo punto di vista quindi le cose per le persone non binarie che parlano in inglese sono più facili che per quelle che si esprimono in italiano.

C’è però la questione dei pronomi, che in inglese vanno sempre esplicitati quando si usa la terza persona: se in italiano, in un discorso in cui il soggetto è noto, se ne può parlare usando semplicemente i verbi (“è andato”, “ha fatto”), in inglese dove i verbi si coniugano molto meno è indispensabile accompagnarli al loro pronome (“he went”, “she made”).

In particolare, la questione riguarda la terza persona singolare: né he (lui) né she (lei) vanno bene per una persona non binaria, e nemmeno it, che è neutro, ma si usa per parlare di animali, oggetti inanimati o concetti. All’interno della comunità LGBT+ si sono quindi cercate e sperimentate negli anni alcune soluzioni linguistiche alternative, sia nello scritto che nel parlato e il they singolare inglese è una di quelle che hanno avuto più successo. C’è anche chi ha tentato di introdurre pronomi nuovi, come thon, xe/xem, ze/zir, che però non si sono mai diffusi altrettanto.

Il singular they peraltro ha dalla sua una lunga storia. Come spiega il blog Terminologia, curato dallinguista Licia Corbolante: esiste da più di 600 anni come soluzione neutra per quelle frasi in cui non è possibile scegliere tra pronomi singolari maschili e femminili, anche se fino a qualche anno fa non era particolarmente diffuso.

Tradizionalmente veniva usato in due casi. Il primo è quando il soggetto a cui si fa riferimento è indefinito, ad esempio perché indicato con anyone, someone, no one, everybody, nobody oppure a person: tutte parole neutre che indicano soggetti generici, e i cui corrispettivi italiani sono “qualcuno”, “nessuno” e “tutti”, in cui si usa il cosiddetto “maschile sovraesteso” per sopperire all’assenza di neutro. Una frase inglese in cui il they singolare viene usato in questo modo è: if anyone asks, tell them you don’t know. In italiano diremmo “se qualcuno chiede, digli che non lo sai” usando appunto il maschile come se fosse neutro, una pratica sempre più criticata da chi vorrebbe si diffondesse un linguaggio inclusivo. In inglese però la parola anyone è davvero neutra e quindi, nella seconda parte della frase, chi non vuole dover scegliere tra maschile (tell him) e femminile (tell her) può ricorrere al they singolare neutro (tell them).

Il secondo caso in cui il they singolare veniva usato tradizionalmente è quello in cui non si conosce il genere della persona di cui si sta parlando. In inglese è molto frequente incontrare dei sostantivi neutri: per esempio la parola friend può voler dire sia amico che amica. Se una persona parlando in inglese dice friend, e chi sta parlando con lei non sa se si sta riferendo a un uomo o a una donna, può ricorrere al they singolare. L’uso del they singolare che fanno le persone non binarie non è altro che un allargamento della regola che vale in questi due casi a un terzo caso: quello in cui la persona a cui ci si riferisce è non binaria, o comunque richiede un pronome neutro.

In passato il they singolare era stato oggetto di dibattito tra i linguisti e in epoca vittoriana si tentò di abolirlo perché ritenuto sbagliato da un punto di vista grammaticale. Ma anche prima di diffondersi nella comunità LGBT+ veniva comunque usato in modo informale, sia nell’inglese britannico che in quello americano.

In italiano non esiste una formula equivalente al they singolare ma non ha comunque senso tradurlo con “loro”, come capita di leggere su alcuni giornali, dato che in inglese non è plurale.

In generale è complicato parlare della pratica di specificare i propri pronomi anche perché nella lingua italiana, come dicevamo, si usano molto meno: pensate ad esempio a quante poche volte avete detto o letto le parole “lei” e “lui” in questa giornata, escludendo questo articolo; le cose sarebbero molto diverse se la vostra lingua principale fosse l’inglese. È invece più rilevante, e difficile da risolvere, il problema con “gli” e “le”, pronomi personali con funzione di complemento.

La questione principale, quando si parla di trovare soluzioni linguistiche in italiano per le persone non binarie, è comunque quella delle desinenze e infatti la cosa più simile al they singolare che si sta diffondendo è l’uso dello schwa. Indicata col simbolo ə, è una vocale dell’alfabeto fonetico internazionale e presente in vari dialetti italiani – quindi qualcosa che come il they singolare esisteva già – che è stata presa in prestito da chi si occupa di linguaggio inclusivo per dare una desinenza neutra alle parole, evitando la forma maschile o femminile.

Altre possibili soluzioni proposte in passato, oltre allo schwa, sono la desinenza in -u (contentu) o l’interruzione della parola (content), e, nello scritto, l’uso dell’asterisco (content*): sono generalmente poco diffuse e ciascuna ha dei limiti (l’asterisco, per esempio, non è un simbolo che si legge), ragion per cui lo schwa sembra aver raccolto maggiori adesioni.

La diffusione del they singolare nella lingua inglese ha tuttavia una portata molto diversa rispetto allo schwa in Italia, che nei fatti è ancora poco diffuso. Nel 2015 l’American Dialect Society, che studia l’evoluzione della lingua negli Stati Uniti e in Canada, ha scelto il they singolare come parola dell’anno e poi del decennio. Nel 2019 anche il Merriam-Webster, uno dei più noti e diffusi vocabolari statunitensi, ha scelto they come parola dell’anno basandosi sul fatto che le ricerche per quella parola erano aumentate del 313 per cento.

La pratica di segnalare i propri pronomi – quando ci si presenta a qualcuno, nelle biografie dei profili social, nelle firme in calce alle mail o sui badge che si indossano in certi contesti – ha una certa diffusione negli Stati Uniti e non solo tra le persone non binarie o comunque appartenenti alla comunità LGBT+. È ancora una pratica minoritaria, e tipica di contesti particolarmente progressisti, ma ci sono molte persone cisgender (che cioè si identificano nel genere corrispondente al sesso di nascita) che, condividendo l’idea che il genere con cui ci si riferisce a una persona debba poter essere scelto dalla persona stessa, e non stabilito da altri sulla base del suo aspetto esteriore, dimostrano solidarietà con le persone non binarie specificando di essere she/her o he/him.