Dietro il muro di Kilometro Rosso

Oltre la linea rossa che si vede percorrendo l'A4 vicino Bergamo c’è uno dei parchi tecnologici più importanti d'Europa

di Claudio Caprara

Roberto Marelli è il direttore sviluppo del campus Kilometro Rosso.

Viene da diverse esperienze professionali che avevano a che fare con il marketing, la tecnologia e l’innovazione. Poi ha una passione per la gestione, la progettazione e la trasformazione degli immobili. Questo impasto di competenze gli ha permesso di essere chiamato a dirigere il “parco tecnologico” che si trova al confine tra i comuni di Bergamo e Stezzano.

Roberto Marelli (Tommaso Merighi/Il Post)

Molti conoscono solo il muro rosso (lungo per la verità poco meno di 900 metri) che si vede passando dall’autostrada A4. Spesso non sanno che oltre quella linea colorata ci sono ricercatori, impiegati, studenti, ingegneri…

«Kilometro Rosso è uno dei più importanti centri dedicati all’innovazione che ci sono in Europa. È un’iniziativa nata dall’idea dell’ingegner Alberto Bombassei, proprietario della Brembo». Spiega Marelli.

L’area oggi è occupata da 93 mila metri quadrati di laboratori, uffici, studi e spazi comuni.

Ogni giorno circa duemila persone hanno questo posto come sede di lavoro.

Ci sono 75 realtà economiche: imprese, centri di ricerca, un pezzo dell’Università di Bergamo, studi professionali, la sede provinciale della Confindustria. Sono soggetti molto diversi tra loro.

«Questo posto è stato progettato per far incontrare idee e persone. Poi c’è anche la tecnologia, ma quella è soprattutto un mezzo per accompagnare la crescita economica e culturale che si genera da noi. Kilometro Rosso è il luogo dello sviluppo dell’economia delle relazioni».

L’ispirazione che sta dietro il progetto urbanistico è nata già dagli anni ’50 negli Stati Uniti, quando si teorizzavano i parchi tecnologici: un’idea che si è arenata e che con il tempo si è sostanzialmente fermata ad un numero relativamente piccolo di casi (la newsletter di Strade blu di questa settimana è dedicata proprio a questo tema).

L’area del Kilometro Rosso

Prima della linea rossa, negli anni ’90, la zona dove oggi sorge il parco tecnologico era un’area quasi interamente verde.

«Dove è nato il campus c’era un insediamento della Hewlett-Packard, una delle più antiche multinazionali dell’informatica. A metà degli anni Novanta c’era il timore di forti aumenti dei dazi doganali e HP delocalizzò in Italia un gruppo consistente di ricercatori (accompagnati dalle loro famiglie), creando qui un campus dove venivano studiate soluzioni per stampanti laser».

Il campus di HP fu progettato dallo studio americano di Skidmore, Owings & Merrill (lo stesso del progetto del grattacielo Burj Khalifa a Dubai), e alcuni segni di quella presenza ci sono ancora: un campo di basket e il nucleo centrale della struttura.
Svanita la minaccia delle tassazioni doganali non c’era più l’interesse ad avere un presidio italiano e HP fece tornare tutti a casa.

All’inizio degli anni 2000 la Brembo acquistò l’area per ampliare gli spazio delle sue attività di ricerca e sviluppo e per avere una nuova sede per la direzione.

«L’ingegner Bombassei ha creato Kilometro Rosso seguendo il suo istinto: ha pensato che l’innovazione fosse l’elemento fondamentale per la crescita di un’impresa. Ha promosso l’idea di raggruppare in questo posto molte persone di talento, farle dialogare tra loro, indipendentemente dall’azienda di appartenenza, dagli ambiti di ricerca, dalle competenze. Ha pensato che la presenza nello stesso ambito di alte professionalità poteva portare benefici a tutti. Le tendenze della cultura industriale dei primi anni del secolo erano influenzate dalle teorie della Open Innovation, cioè l’innovazione di un’azienda non doveva procedere in isolamento, nel lavoro dei propri ricercatori nei sottoscala, ma le conoscenze frutto di diverse esperienze potevano essere condivise con i fornitori, con i clienti, con le università, a volte anche con i propri competitor per alzarne il valore. La conoscenza genera innovazione».

La struttura architettonica

Per avere delle idee ci vuole un luogo adatto.

«C’era bisogno di una struttura bella, un luogo stimolante e con un’identità forte e riconoscibile. L’A4 è una delle strade più trafficate d’Europa, ogni anno passano più di cento milioni di veicoli. Dalle auto la gente vede questa linea colorata, ne è incuriosita, attratta e coglie anche un senso di mistero», spiega Marelli.

Il progetto del parco tecnologico è dell’architetto francese Jean Nouvel, autore, tra i tanti progetti, della facciata dell’Istituto del Mondo Arabo e del Musée du quai Branly a Parigi; della Torre Agbar a Barcellona, del monolito dell’Expo 2002 a Murten in Svizzera e del Museo Nazionale del Qatar.

Nell’area è compresa anche la nuova sede di Italcementi, che segue le linee guida di sviluppo architettonico originario ed è opera di Richard Meier (architetto, tra l’altro, del Museo dell’Ara Pacis e della Chiesa di Dio Padre Misericordioso nel quartiere di Tor Tre Teste a Roma e del Getty Center a Los Angeles).

«L’obiettivo è sempre stato quello di avere un luogo funzionale e stimolante, pensato per favorire le connessioni tra le persone. Una parola chiave della nostra attività è “flessibilità”. Per noi è una condizione essenziale, ci insegna ad affrontare le diverse situazioni anche imprevedibili che si presentano e ci porta ad adattarci, ma anche a essere pronti a reagire di fronte alle opportunità o ai problemi».

Anche l’organizzazione degli spazi è funzionale a mettere in ambienti vicini gli operatori delle aziende, i tecnici, i ricercatori, i professionisti, gli studenti.

«Li aiutiamo a parlarsi tra di loro e cerchiamo di rendere comprensibile per ciascuno il linguaggio dell’altro. Cerchiamo di rendere comunicanti la lingua dell’imprenditore con quella dei ricercatori, quella dei docenti universitari con quella dei tecnici. Noi siamo – dice Marelli – un agente di trasferimento tecnologico che ha il compito di avvicinare soggetti diversi e aiutarli a conoscersi, a usare le stesse parole, le stesse definizioni».

Che cosa succede nel campus?

Le attività che si svolgono al Kilometro Rosso cambiano continuamente, ma riguardano sostanzialmente tre ambiti di attività: la gestione immobiliare, l’innovazione e i servizi alle imprese.

Recentemente è stato approvato lo sviluppo di ulteriori 13mila metri quadrati per la realizzazione di un’area dedicata alla costruzione di «laboratori pesanti», in grado di ospitare apparecchiature di grandi dimensioni. Fino ad oggi queste attività non erano previste: sono forni per lavorare su materiale carbonico e carboceramico. Strumenti per operare su componenti a temperature elevate e movimentare oggetti di grandi dimensioni.

La costruzione di nuovi spazi significa ampliare il numero di aziende che affittano i locali o, in qualche caso, la vendita degli immobili. L’azienda diretta da Roberto Marelli ha in questa attività una delle maggiori fonti di ricavo.

«Noi lavoriamo con aziende “mature” che hanno – fino ad oggi – la gestione di “laboratori leggeri” di ricerca. Questi soggetti si insediano nel campus e entrano in contatto con chi ha dato vita a start up e altre attività che hanno sede nella bergamasca. Il nostro compito è mettere in collegamento le nuove realtà imprenditoriali con le grandi imprese per “contaminarle” di innovazione. A volte anche le idee che non sembrano avere un grande futuro sono utili e portano energia e novità nell’organizzazione delle imprese tradizionali».

Al Kilometro Rosso si vuole far crescere la cultura dell’innovazione e nel 2023, in occasione dell’anno che vedrà Bergamo e Brescia Capitale italiana della Cultura, questo luogo potrebbe diventare un punto di riferimento significativo.

Poi ci sono i servizi di supporto alle attività aziendali: l’elaborazione di progetti e l’assistenza tecnica e organizzativa per compilare le domande per concorrere ai finanziamenti previsti da bandi europei, in particolare per l’attività di ricerca.

«Aiutiamo le aziende a trovare le soluzioni tecnologiche, i contatti con esperti, amministratori, partner italiani ed europei. Mettiamo in relazione soggetti diversi per affrontare i problemi posti nella modulistica, individuiamo possibili partner commerciali. La nostra rete di relazioni può essere una risorsa per permettere la crescita delle imprese che hanno sede qui da noi».

Il terzo livello di attività riguarda la crescita di Kilometro Rosso come comunità.

«Ogni giorno più di duemila persone entrano ed escono dai locali del parco tecnologico. C’è un centro conferenze che ospita 150 eventi all’anno. Abbiamo valutato che in anni “normali” almeno 20mila persone partecipano attivamente ai workshop, agli incontri, agli approfondimenti proposti dai diversi soggetti che operano da noi. Ci sono centinaia di ospiti che visitano le aziende. Kilometro Rosso è una vera e propria città. Noi  stimiamo in più di mezzo milione il numero di ingressi in un anno. Questi visitatori sono un pubblico che può rappresentare un moltiplicatore di idee e è per noi un grande patrimonio. Il nostro compito è continuare a fare incontrare queste persone, farle conoscere e parlare tra loro. Per questo proponiamo le attività più varie dai corsi di yoga a degustazioni di vini, a presentazioni di contenuti relativi alla ricerca, alla tecnologia, corsi di formazione e di specializzazione. Favoriamo lo scambio di idee e la costruzione di rapporti che possano sfociare in progetti e occasioni di arricchimento personale e professionale».

Il rapporto con il territorio

Marelli ripete che una delle sue principali preoccupazioni è “fare rete” con le attività del territorio più prossimo. Certamente, osservando una struttura come questa, il rischio che possa diventare “un corpo estraneo” si può correre.

«Ogni progetto coinvolge il sistema che ci sta intorno – precisa Marelli – Abbiamo ottimi rapporti con le amministrazioni del comune, della provincia, della regione. Con la Confindustria di Bergamo che ha appena aperto la sua sede all’interno del campus, ma anche con i livelli nazionali dell’associazione. Lavoriamo con le reti delle università, tanto che siamo tra i fondatori di uno dei centri di competenza del Politecnico di Milano per l’industria 4.0, il Made. Siamo parte del Digital Innovation Hub Lombardia. Ci sono molte altre iniziative importanti. È chiaro che “fare sistema” è un lavoro che richiede attenzione alle diverse sensibilità, accuratezza. È importante che sia condiviso da tutti il concetto del lavorare in rete, ma sentiamo che questa modalità sta entrando nella quotidianità delle imprese del territorio».

Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, conferma che l’impegno sul rapporto tra il parco tecnologico e il territorio è cresciuto in questi anni, ma nuovi progetti potranno migliorare questa relazione.

Oggi si stanno elaborando idee per concorrere al finanziamento di progetti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che privilegiano le collaborazioni tra pubblico e privato.

Se il progetto presentato al MIUR per accedere ai fondi previsti dal PNRR per la creazione in Italia di 12 “Ecosistemi dell’innovazione a livello territoriale, regionale o sovra regionale” – che vede protagonista Bergamo – dovesse avere successo, sarebbe una notevole occasione di crescita e sviluppo.

L’esempio della robotica

«Il nostro modello di attività è raro. – spiega Marelli – Esperienze come la nostra non si trovano in giro per il mondo. Il campus è stato inaugurato nel 2009 e dopo più di dieci anni abbiamo raggiunto dei buoni risultati. Questi ultimi due anni, nonostante la pandemia, per noi sono stati i migliori: mai così tante aziende avevano chiesto di entrare nei nostri spazi per aprire i loro laboratori o per spostare qui le loro attività».

I “Parchi scientifici” sono stati, di norma, realizzati da soggetti sostenuti da enti pubblici con finanziamenti statali. Questo modello non ha funzionato. Da qualche tempo si stanno invece realizzando esperienze di collaborazione tra enti pubblici e soggetti privati.

Kilometro Rosso parte infatti da un’iniziativa privata e, crescendo, i soggetti pubblici sono stati coinvolti su progetti concreti.

Un esempio di queste attività è il Joiint Lab: è un laboratorio che sviluppa robot, nato dalla collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia, Kilometro Rosso, Confindustria Bergamo, l’Università di Bergamo e Intellimech, un consorzio di imprese private che lavora per lo sviluppo della meccatronica e dello smart manufacturing, cioè una profonda revisione dei tempi e dei modi della produzione, portando nella fabbrica le tecnologie e le strategie per ottimizzare i prodotti, i processi e il lavoro delle persone (le 3P).

Un robot di Joiint Lab (Tommaso Merighi/Il Post)

Le città intelligenti

A Bergamo abbiamo conosciuto l’architetto Stefano Andreani, che si divide tra la sua attività qui dove ha il suo studio, Oblyk, e Harvard, dove insegna all’università.

Le altre attività nel Kilometro Rosso

Nel tempo che abbiamo trascorso al parco tecnologico di Bergamo abbiamo incontrato tre realtà imprenditoriali. Ma le altre 72 che sono presenti che cosa fanno?

«Abbiamo aziende che si occupano di ricerca farmacologica. Ricercatori dell’Istituto Mario Negri che si occupano dello studio di malattie rare, soprattutto renali. Poi ci sono aziende che ricercano soluzioni innovative nei sistemi per networking e telecomunicazioni. C’è EnginSoft, una delle società più importanti nel campo dello sviluppo di software di calcolo per le simulazioni di sistemi ingegneristici. C’è un’azienda del settore tessile, la Itemalab, che è tra i leader mondiali nella produzione di soluzioni avanzate per telai, materiali, e in generale nella ricerca di soluzioni per lo sviluppo della tessitura. ALBINI_NEXT, invece, studia i nuovi coloranti “green” per i tessuti e sistemi di tracciamento dei fiocchi di cotone dalla piantagione fino al prodotto finito, attraverso l’applicazione di tecnologie basate sui principi della blockchain. E c’è BGreen Technologies, una startup fondata nel 2019 con l’idea di portare le proprie competenze in ambito biotecnologico al servizio delle imprese “per promuovere la transizione economica in atto verso la bioeconomia”». Ne abbiamo parlato con i due fondatori, Giacomo Ghilardi e Raffaele Cavaliere, nell’ultima puntata del podcast di Strade blu.

L’elenco delle aziende che propone Marelli prosegue con imprese che aiutano il reperimento di finanziamenti alla ricerca e all’innovazione. Ci sono sedi di studi legali specializzati nella gestione della proprietà intellettuale, nei brevetti, nei marchi, nelle attività di servizio a nuove imprese e start up e nel trasferimento tecnologico.

Come vengono selezionate le imprese

«Non c’è una vera e propria ricerca di imprese per farle entrare nel campus. Spesso c’è una forma di autoselezione. È difficile che chiedano di entrare realtà, ad esempio, del settore alimentare. La ricerca si concentra tra le aziende che hanno una forte componente tecnologica».

«L’elemento umano è fondamentale. Noi cerchiamo di capire gli imprenditori e l’approccio di chi si candida a entrare nel campus. – spiega Marelli – Vogliamo conoscere le persone che verranno qui perché è fondamentale che abbiano un certo tipo di mentalità. Dobbiamo capire se saranno aperte, disponibili, curiose, se hanno la volontà di dedicare un po’ di tempo a conoscere chi lavora qui, se avranno l’umiltà di bussare alla porta di qualcuno che fa un lavoro diverso dal loro».

Marelli un po’ si lamenta, ma è anche contento, raccontando che dedica molto tempo a ospitare i rappresentanti di altri parchi scientifici, le delegazioni di industriali, di rappresentanti delle istituzioni.

«Servono anche queste cose per farsi conoscere e per attivare nuove relazioni. Ciò che ci interessa è intercettare realtà che siano già pronte a recepire la nostra missione, a investire nelle relazioni e riconoscerne il valore».

Non è sempre facile mettere a ragionare insieme soggetti che si occupano di cose tanto diverse tra loro. Ci sono però degli esempi virtuosi.

«Uno dei progetti di cui siamo più contenti riguarda un’idea che si è aggiudicata un finanziamento europeo, ma è nata al bar. Brembo e Italcementi fanno cose molto lontane tra loro. Brembo produce dischi, pinze e pompe freno destinate ad auto e moto per la maggioranza dei produttori nel mondo. Più intuitivo capire che Italcementi produce cementi di ogni sorta. I ricercatori di queste due aziende si sono incontrati e hanno deciso di sperimentare la produzione di pastiglie frenanti in materiali cementizi sostenibili, non inquinanti e che non rilasciano, durante la frenata, particelle tossiche nell’atmosfera. È nato così il progetto “Cobra” che ha ottenuto ottimi risultati, tanto che ora il nuovo prodotto è molto vicino a entrare in produzione. Ma c’è di più: per procedere nella ricerca di questo nuovo materiale è stato necessario fare delle analisi approfondite sull’impatto ambientale delle polveri e sulle reazioni che poteva avere il corpo umano al contatto con il particolato. Questo lavoro è stato svolto dai dirimpettai: i ricercatori dell’Istituto Mario Negri. All’inizio anche un centro di eccellenza come il loro non era attrezzato a svolgere questo lavoro di analisi, poi hanno capito che quel tipo ricerca poteva essere interessante e avere un mercato: per questo ci hanno investito e hanno aperto una nuova sezione dell’istituto, con un gruppo di ingegneri dedicato. Con il tempo i diversi soggetti coinvolti nel progetto hanno capito che si potevano utilizzare gli stessi software per analizzare la fluidodinamica del corpo umano e lo studio dei liquidi degli apparati frenanti. Da lì, continuando la collaborazione, hanno adattato alle loro necessità la stessa piattaforma software e hanno intuito che potenzialmente c’era più di un progetto su cui lavorare insieme».

Che effetto ha Kilometro Rosso sull’economia?

La società Kilometro spa, di cui Roberto Marelli è direttore, ha il compito di promuovere lo sviluppo del campus. Ci lavorano 14 persone che si occupano della gestione operativa e di tutte le attività che si svolgono all’interno dei nostri spazi.

La società ha due “linee di ricavo”. La più rilevante riguarda la gestione degli immobili e la riscossione degli affitti dalle attività presenti nel campus. L’altra è quella che ha origine nel supporto alle aziende per partecipare ai bandi di finanziamento europeo o nazionale.

Così come si misurano i visitatori, si può dare un valore all’impatto economico e sociale delle attività che si svolgono nel campus?

«Al momento la risposta è no. Succedono tante cose qui, ma riusciamo a misurare solo una parte delle attività. Sappiamo il numero di brevetti che vengono sviluppati ogni anno, il numero di pubblicazioni scientifiche che vengono elaborate da componenti delle realtà che operano qui, il numero di progetti europei presentati e quelli finanziati. Andare oltre è difficile. Non possiamo sapere se un brevetto ha generato ricavi in termini economici per l’azienda. Questo è uno dei temi di cui si discute anche a livello mondiale: la misurazione in termini di impatto economico delle attività dei parchi scientifici, la quota di ritorno di questi investimenti».

Il futuro

«Ci sono notevoli spazi di crescita. Dal punto di vista immobiliare ci sono più di 90 mila metri quadri che possiamo sviluppare. Il progetto originario prevedeva la crescita di una vera e propria città dell’innovazione e ora siamo a metà dell’opera. Ogni anno cresciamo di 10, 15 mila metri e abbiamo molte richieste. Poi siamo fiduciosi sullo sviluppo delle relazioni con tutto quello che ci sta attorno. Se crescono le interconnessioni, crescono l’energia, le idee e i progetti che si inventano qui. Lavoriamo a livello nazionale e internazionale e ritengo che sia molto importante ampliare questo livello di attività. Però dobbiamo mantenere un livello alto di concretezza: si può sottoscrivere un accordo, ad esempio, con il Parco scientifico di Barcellona, ma se poi non partono delle attività reali e i progetti rimangono solo sulla carta quel lavoro relazionale non ha senso. Io mi auguro che con il tempo questo sistema di contatti si dimostri sempre più forte e produttivo per le nostre aziende e i nostri centri di ricerca. Ci sono settori molto promettenti sui quali c’è tanto da lavorare».

La matrice

Ad un certo punto della sua vita Roberto Marelli ha lavorato in un’azienda che si chiamava Matrix. Kilometro Rosso può essere una matrice? L’esperienza bergamasca può essere replicata in altre parti d’Italia o del mondo?
«Io credo di sì. In realtà c’è una domanda. Noi non abbiamo mai voluto esportare il modello, il brand, abbiamo ancora troppo da fare qui per pensare ad altre avventure come questa. Abbiamo avuto ospiti cinesi (anche russi, ma prima degli eventi di queste settimane) che ci hanno proposto di fare dei Kilometri Rossi da e con loro. Anche a Roma si sta lavorando per lo sviluppo di un quartiere con caratteristiche simili alle nostre. Per ora ci siamo limitati a raccontare la nostra storia e a dare qualche indicazione gratuita su come si possa sviluppare un modello come il nostro. Servono un po’ di risorse, ma soprattutto un soggetto capace di essere il motore dell’iniziativa».

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