Il Bagno degli americani

La storia della prima scuola di surf “adattato” in Italia, l’idea di proiettare i film sulla spiaggia e rendere il mare accessibile sempre

di Claudio Caprara

Questa storia comincia a Manila, nelle Filippine. Massimiliano Mattei, livornese del 1976, dopo diversi viaggi si era trasferito a fare il cuoco dall’altra parte del mondo. «Ho cominciato a fare surf a 15 anni, nel mare di Livorno. Poi la fortuna e il lavoro mi hanno portato in giro per il mondo. Dai 20 ai 27 anni sono stato nelle Filippine e ho continuato a coltivare le mie passioni per lo sport. Ho fatto pugilato, basket, surf. Nell’oceano Indiano ci sono quasi 3500 isole e le onde non mancano».

In una mattina del 2005, rientrando da un allenamento di boxe, a bordo della sua motocicletta, Mattei correva per rientrare quando perse il controllo e finì giù da un cavalcavia. Fece un volo di 7 metri e già i primi soccorritori capirono che la sua situazione era grave.

Il trauma
«A parte gli attimi immediatamente successivi all’impatto con il terreno, sono stato cosciente tutto il tempo e ricordo ogni cosa» racconta Mattei, come se l’incidente fosse stato ieri. «Il primo mese l’ho passato in ospedale a Manila, poi dopo diversi voli sono arrivato a Firenze, all’Unità Spinale dell’Ospedale Careggi. E ho subito iniziato a condividere le mie passioni con un gruppo di ragazzi che erano degenti come me».

Massimiliano Mattei si prepara ai campionati europei e mondiali di surf adattato nel cortometraggio di Elena Mannocci (che ringraziamo per la possibilità di mostrarlo qui)

Uscito dall’ospedale Mattei aveva tra le sue prime preoccupazioni come tornare a fare surf: non era facile, senza riuscire più a muovere le gambe.

«La voglia era tanta, ma non posso negare che avevo paura di entrare in acqua nelle mie condizioni. Questa condizione psicologica mi tenne lontano dal mare per cinque anni. Tornai a fare surf in un contesto particolare: ero a Manila per recuperare un po’ delle cose che avevo lasciato là, dopo l’incidente. Alcuni miei amici avevano fondato un’accademia di surf nelle Filippine. Mi portarono in una piscina con onde artificiali. Fu quella l’occasione di tornare a planare su una piccola onda, in un contesto protetto. Fu l’occasione per sbloccarmi».

Mattei non poteva resistere lontano dalle onde: «l’acqua è magia totale». Ha cercato di capire quali esperienze c’erano in giro per il mondo che gli potessero consentire di surfare nelle sue condizioni. Si rese conto che in particolare negli Stati Uniti c’erano molte cose da imparare.

«In America ci sono tanti militari che rientrano dai teatri di guerra con delle lesioni importanti ed è evidente che hanno più esperienze di qualsiasi altro paese del mondo». Mattei capì che l’esempio da seguire era il modello della fondazione Life Rolls On, creata dal surfista tetraplegico californiano Jesse Billauer, due volte campione del mondo.

Il passaggio dalla teoria alla pratica fu veloce. «Sono andato a comprare una tavola da Decathlon, ho applicato due idee che ho trovato su internet e così ho realizzato un primo prototipo di tavola da surf adattata alla mia tecnica e alle possibilità di movimento che avevo io dopo l’incidente. Sono entrato in acqua e ho fatto la mia prima nuova esperienza da surfista».

Da quella rudimentale attrezzatura c’è stata una continua crescita di conoscenze, di relazioni con professionisti per sviluppare tavole sempre migliori che lo hanno portato ad avvicinarsi alle competizioni e, un po’ alla volta, a fare gare in tutto il mondo.

Massimiliano Mattei mentre surfa (Per gentile concessione di Happywheels)

«Gli amici che vivevano la mia stessa condizione, il mare e il surf sono stati la mia vera clinica. L’ambiente che mi ha permesso di recuperare la forma fisica, la forza e soprattutto la fiducia in me stesso». Dopo avere fatto diverse esperienze, nel 2015 è nata l’Associazione Happy Wheels – Asd che ha come finalità l’integrazione e il miglioramento della qualità della vita per le persone con ridotta capacità motoria.

Il progetto su cui Mattei si è più impegnato è Surf4all: un percorso cominciato con altri due ragazzi nella sua stessa condizione che aveva l’obiettivo di rendere concreto il sogno di tornare a surfare dopo un incidente, e di fare questa esperienza insieme, in autonomia e sfruttando le potenzialità riabilitative di questa attività.

Il progetto Surf4all
Surf4all si basa su un’attività formativa. L’obiettivo è fornire a chi partecipa i principi fondamentali del surf e gli strumenti per condurre, controllare e utilizzare nel migliore dei modi la tavola da surf. Si tratta di un percorso di formazione all’adapting surfing. La base di questa scuola di surf e sup (stand up paddle, cioè stare su una tavola in acqua e spostarsi utilizzando una pagaia) era a Tirrenia, presso il Bagno degli americani.

«Noi li abbiamo ospitati» spiega Davide Bani, uno dei gestori del bagno. «Abbiamo dato loro uno spazio, quattro-cinque cabine a disposizione, abbiamo predisposto le passerelle, le sedie job, un altro tipo di sedie ancora… Per chi fatica a muoversi ci sono piccole cose che diventano dei grandi problemi. Ad esempio il momento dell’entrata in acqua dalla carrozzella, l’uscita. A volte queste persone ci riescono da sole, altre volte c’è bisogno di un aiuto e i bambini che frequentano il bagno si sono rivelati molto importanti nell’agevolare la soluzione di questi problemi. Sono arrivati ragazzi e ragazze a cui mancavano gli arti, altri con problemi alla vista. Percepire la loro gioia e l’emozione di fare per la prima volta un bagno in mare è stato per noi davvero bello. Non nego che all’inizio ci fosse qualche dubbio, le persone normali a volte possono essere spietate, e invece questa si è rivelata un’esperienza importante per tutti. Quando in un ambiente ci sono persone allegre tutto diventa migliore. Tutti abbiamo imparato qualcosa da questa storia».

Non stiamo parlando di grandi numeri (soprattutto negli ultimi due anni), ma di una presenza costante di poche decine di persone. «Poi ci sono stati gli eventi» precisa Bani, «e in quei momenti siamo diventati un punto di riferimento per molte persone che arrivavano da tutta Italia e, in qualche caso, anche dall’estero».

Mattei spiega che «il progetto prevedeva delle lezioni teoriche, ma soprattutto delle sessioni dimostrative pratiche, l’organizzazione di eventi dedicati a chi voleva vivere senza barriere il mare e lo sport. Ma soprattutto per insegnare il surf tra le persone con disabilità per dare a tutti la possibilità di fruire dei vantaggi psicofisici che la pratica di questo sport regala ai suoi praticanti. Tra l’altro, una volta, è venuta a trovarci per vedere che cosa stavamo facendo anche Bebe Vio».

Mattei è molto orgoglioso quando sottolinea che quella è stata la prima attività didattica che ha fatto del surf un’attività inclusiva. «È stato un successo perché gli operatori, i volontari, tutti quanti avevano a che fare con il progetto hanno dimostrato una grande apertura e una piena condivisione dei principi dell’inclusione applicati al surf e a tutte le discipline che si possono fare nel mare».

Il sogno olimpico
Oggi Massimiliano Mattei abita in Andalusia: anche se da quelle parti ci sono poche onde, lui continua a fare surf. «Non è un buon periodo. Non pensavo di farmi male anche alle braccia. Sono reduce da due infortuni ad entrambe. Nonostante tutto continuo, anche se quest’anno ho dovuto rinunciare al campionato mondiale».

Nei tre mondiali di Adaptive Surf a cui ha partecipato, Mattei ha ottenuto risultati sempre migliori, tanto che nel 2018 in California si è classificato terzo nella categoria AS4, vale a dire “prono non assistito”. L’anno successivo ai campionati europei in Portogallo ha vinto la medaglia d’oro di categoria.

Gli atleti della Surf4all sono affiliata con CIP, CONI, FISW, ISA (International Surf Association) e si stanno impegnando per ottenere il riconoscimento del surf adattato come disciplina para-olimpica.

Massimiliano Mattei (Per gentile concessione di Happywheels)

Il loro obiettivo, più che Parigi 2024, è Los Angeles 2028.

«Sembra uno sport povero, in fondo si può pensare che ci sia solo una tavola da legarsi ad un piede ed è tutto fatto» osserva Mattei. «Invece non è così. C’è da viaggiare molto. Quando arriviamo nei paesi dove ci sono le gare dobbiamo trovare delle strutture senza barriere architettoniche e adatte alle nostre esigenze, avere dei servizi di trasporto compatibili con le nostre difficoltà. Spesso tutti questi aspetti comportano dei costi elevati. Il mio obiettivo è diventare un atleta professionista delle Fiamme Oro. Vorrebbe dire essere pagato e supportato dall’organizzazione della Polizia di Stato».

Alla domanda su come si vede tra qualche anno Mattei risponde che si augura di essere ancora su un surf per diversi anni. «Mi piace la competizione per un confronto più con me stesso che con gli altri. In fondo Kelly Slater è ancora tra i primi surfisti normo del mondo. Ha 50 anni e arriva primo in competizioni dove ci sono ragazzi di 22 o 23 anni. Mi piacerebbe fare come lui. Il mio sogno è andare o come atleta o come tecnico alle prime para-olimpiadi di Los Angeles».

«Abbracciare il mare», «l’acqua come magia» le immagini che evoca Mattei richiamano “tempi eroici” del surf e la sua origine tra gli indigeni della Polinesia. Il primo scrittore che descrisse l’emozione del surf fu Jack London nel 1885 (in La crociera dello Snark). Lo scoprì in uno dei suoi viaggi nel Pacifico, là dove è stato inventato.

Mentre l’onda viaggia, quest’acqua si ammucchia servizievolmente a formare l’onda, la gravità fa il resto e tu vai giù, scivolando per tutta la sua lunghezza. Se ancora ti sta a cuore l’idea che mentre scivoli l’acqua si stia spostando con te, immergi le braccia e tenta di pagaiare; troverai che devi essere molto rapido a fare una bracciata perché quell’acqua sta cadendo all’indietro con la stessa velocità con cui ti stai precipitando in avanti.

In generale il surf è uno sport che presenta pericoli. Si fa in mare, lontano dalla riva, dove le onde e le correnti sono significative. Per affrontare queste situazioni oltre ad essere ottimi nuotatori è necessario conoscere le dinamiche delle correnti marine per ottenere dei vantaggi di navigazione.

In Italia praticare il surf non è facile. Prima di tutto è necessario inseguire le condizioni meteorologiche favorevoli: serve il vento ma soprattutto le onde, e gli appassionati di questo sport possono passare molti giorni senza poter surfare.

Le onde sono formate dalla combinazione di tre parti: la parete, cioè dove l’onda ancora non si è chiusa; la cresta, la parte superiore, che poi diventa lip (il cosiddetto punto di rottura), e la schiuma (oppure il tubo quando l’onda è molto ripida).

Purtroppo per gli amanti di questo sport in Italia non c’è Huntington Beach, in California: il posto migliore del mondo dove fare surf. Il primo che ha surfato in Italia pare sia stato un australiano, Peter Troy, una specie di ambasciatore del surf per passione.

Il Bagno degli americani
Il Bagno degli americani è un ampio pezzo di spiaggia, tra i più grandi del litorale. Quasi diecimila metri quadri di superficie. Era una zona militare. Qui si pagava solo in dollari e all’inizio potevano entrare solo americani. Era l’unico bagno di proprietà dell’esercito statunitense in Europa e in estate i militari venivano da tutte le basi del continente. Stiamo parlando di 20/30mila persone che piombavano qui, campeggiavano, facevano il barbecue, avevano i carrelli frigo pieni di birra… il bagno era parte integrante della base di Camp Darby.

Gli italiani potevano solo passarci passeggiando sul bagnasciuga, ma di fatto era una zona extraterritoriale. Il periodo d’oro della spiaggia coincise con l’attività cinematografica degli studi di Tirrenia. C’erano i grandi attori, le star come Sophia Loren. Alla fine degli anni Sessanta cominciò il ridimensionamento: arrivarono i licenziamenti del personale italiano, i tagli alle spese militari americane fino ad arrivare a dismettere la gestione del bagno sotto la presidenza di Obama. Il bagno a quel punto è passato al demanio che lo ha ceduto al comune di Pisa, ma con una serie di inevitabili impicci burocratici e amministrativi.

Cinema e mare
Davide Bani è uno dei fondatori della cooperativa che oltre a gestire lo storico cineclub pisano l’Arsenale ha ottenuto la gestione del Bagno degli Americani, sul lungomare di Tirrenia, frazione del comune di Pisa, a metà strada tra Livorno e Pisa. «Da quasi quarant’anni noi abbiamo il cineclub, ora è il più antico d’Italia tra quelli attivi. Siamo in centro a Pisa e abbiamo più di 8.000 associati. Molti sono studenti universitari (la città ha 89mila residenti e più di 40mila studenti, la maggioranza fuori sede)».

È un bagno apparentemente normale: d’estate ci sono gli ombrelloni, i lettini, il bar… Tra le sue attività ce ne sono altre di impegno sociale e culturale. «C’è la spiaggia e non è scontato perché poco più a sud di Livorno la costa è rocciosa. Alle nostre spalle, oltre le dune, c’è la pineta oasi del WWF». La convenzione tra il Comune e gli attuali gestori del bagno – per effetto della pandemia – è stata prorogata per un altro anno.

«Non è facile fare degli investimenti in questa fase. Ce ne sarebbe bisogno. Questa è stata progettata come una struttura “chiusa” e ad accesso limitato: le domeniche di bel tempo passano da qui due-tremila persone, nelle serate anche cinquemila. La nostra ambizione, poi, è di aprirci ancora di più con accordi con l’associazionismo non solo locale e promuovere l’accessibilità al mare, coinvolgendo tanti nuovi soggetti. Il nostro sogno è tenere aperto per 12 mesi all’anno. Fare del bagno un luogo dove conoscere e apprezzare il mare nella sua interezza: come ambiente, l’importanza delle mareggiate, la necessità di tenere puliti la spiaggia e l’acqua. Il mare non è un “oggetto di consumo”. Io credo che il bene pubblico, anche se lo gestisce un privato, deve considerarsi pubblico, comune. Però a chi fa questo lavoro deve essere consentita la rendita, che è cosa diversa dal profitto. Per sopravvivere è necessario che ci sia una rendita».

Che cosa c’entra la gestione di un bagno con un cinema?

«Tra di noi qualcuno ha ritenuto questa iniziativa una “pericolosa deviazione”. Abbiamo “fatto il salto” e abbiamo portato sulla spiaggia il nostro modo di vedere il mondo, le nostre proposte culturali. Quest’anno abbiamo fatto 42 proiezioni cinematografiche al centro della spiaggia su un maxischermo gonfiabile. Abbiamo montato un ledwall che consente di proiettare anche durante il giorno. Dalle due e mezzo del pomeriggio si proiettavano cartoni animati per i bambini».

L’altro elemento che distingue l’attività del Bagno degli americani è l’accessibilità. «Noi vorremmo tenere aperto 24 ore su 24. Non sempre è possibile, ma l’area del bagno è sorvegliata costantemente e ci sono delle situazioni come la vigilia di Ferragosto quando tanti ragazzi vogliono fare la spiaggiata. Quasi tutti i bagni chiudono perché temono problemi, noi invece teniamo aperto. Offriamo servizi e questa per noi è una forma di apertura, anche mentale».

Apertura e accessibilità sono per Bani sinonimi. «Dare la possibilità di fruire della spiaggia e il mare il disabile, la mamma con la carrozzina, chi si è fratturato la gamba, l’anziano… sono cose per noi essenziali. Sono tutte persone che hanno gli stessi problemi. Se fossero servizi da proporre solamente per i disabili sarebbero già fondamentali perché stiamo parlando di diritti, non di concessioni. Noi ci siamo convinti che il principio riguarda o riguarderà tutti noi».

Per avere un’idea delle dimensioni dell’impegno è importante sapere che per gestire questa struttura la cooperativa si avvale della collaborazione di 30 dipendenti ogni estate, parecchi dei quali sono gli stessi da sei anni.

Tombolo

Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia, diario di un viaggio svolto tra maggio del 1953 e ottobre del 1956, descrive questa zona così:

Niente rimane della Livorno arruffata del dopoguerra, quando le vicine pinete, specialmente quella del Tombolo, avevano fama sinistra per le gesta di negri evasi, segnorine e contrabbandieri. Resta, diffuso un po’ dovunque, l’umore mangiapreti, l’inclinazione spendereccia, il gusto di discutere e di gestire. Le sostanze del mercato nero si sono già quasi tutte dissolte. Piazza XX Settembre, già sede di un fiorente mercato nero, oggi sonnecchia. Si smerciavano nel dopoguerra generi di contrabbando pregiati, penicillina, per esempio, stupefacenti; si scambiavano merci, scarpe contro cravatte, vestiti contro generi alimentari.

In poche righe sono descritti tutti gli ambienti che stanno attorno alla base americana di Camp Darby.

Tombolo divenne dopo il ’45 una terra di nessuno, senza regole, senza legge. Un posto dove non entravano né le forze di polizia americane o alleate (la Military Police, MP) né, tantomeno, quelle italiane. Era il regno incontrastato di disertori, trafficanti di ogni genere, contrabbandieri, prostitute (quelle che Piovene chiama “segnorine”).

Nell’estate 1948 – si legge qui – un delegato della Santa Sede in visita alla città la descriveva come «una piccola Napoli» e «sotto alcuni punti di vista, peggio di Napoli», denunciando specialmente le conseguenze che la realtà di Tombolo provocava sull’infanzia. «Le truppe alleate (bianchi e neri) soltanto da pochi mesi hanno lasciato la zona! E i giovani, i ragazzi, i bimbi? Hanno formato la legione degli sciuscià. […] Sono stati ladri a sette anni, ruffiani nell’età delle favole, contrabbandieri nell’età dell’asilo».

Per i toscani e non solo, Tombolo divenne un posto infernale e la sua fama fu incrementata da libri come Dopo l’ira di Silvano Ceccherini e Tombolo città perduta di Gino Serfogli (giornalista del quotidiano La Gazzetta di Livorno).

Nel novembre 1946 La Domenica del Corriere uscì con la prima pagina dedicata ad una retata fatta a Tombolo, disegnata da Walter Molino. Per farsi un’idea più precisa di che cosa fosse Tombolo prima del 1951 si possono anche guardare due film che lo raccontano con il linguaggio e la forma del neorealismo italiano (che non nascondono anche le radici di un certo razzismo italiano).

La pineta divenne la scenografia di: Tombolo, paradiso nero del 1947 di Giorgio Ferroni (su YouTube si trova la versione integrale) con la sceneggiatura di Rodolfo Sonego e Indro Montanelli o Senza pietà del 1948 (anche questo integrale su YouTube) di Alberto Lattuada con soggetto, sceneggiatura e “collaborazione alla regia” di Federico Fellini.

Camp Darby
In realtà gran parte della pineta di Tombolo, confinante con Coltano, dal 1951, dopo un accordo tra Stati Uniti e Italia, è occupata dalla base americana dedicata a William Orlando Darby, generale morto durante la guerra in Italia nel ’45.

Nel 1954, in piena Guerra fredda, venne firmato il «Bilateral Infrastructure Agreement» (Bia), poi definito «accordo ombrello», con cui si regolava la presenza militare statunitense in territorio italiano e si decideva l’installazione di diverse basi militari, tra cui quelle di Camp Ederle (Vicenza), Aviano (Pordenone), Gaeta (Latina), Napoli, Sigonella (tra Siracusa e Catania) e, appunto, Camp Darby.

Erano accordi rimasti totalmente segreti fino al 1999 e prevedevano tra l’altro che «il Governo degli Stati Uniti si impegna a usare le strutture previste dall’accordo nello spirito e nel quadro della collaborazione Nato. Il Governo degli Stati Uniti si impegna a utilizzare le installazioni previste dall’accordo esclusivamente per ottemperare alle sue responsabilità Nato, e, in ogni caso, a non usarle per propositi bellici, se non a seguito di disposizioni Nato o previo accordo con il Governo italiano». Dal punto di vista logistico, Camp Darby è nelle condizioni migliori per essere uno dei depositi di armi più importanti d’Europa: accanto ad un porto, all’autostrada e con la ferrovia che entra addirittura dentro la base.

Non si sa cosa esattamente ci sia dentro la base, che impressiona per le dimensioni. Passando in auto accanto sulla strada provinciale si impiegano minuti prima di arrivare da un capo all’altro.

Qualcosa però dalla base usciva e molti oggetti andavano (e in maniera minuscola vanno anche oggi) ad alimentare un mercato che nel tempo si è sempre più ridotto, ma che ha vissuto molti anni di successo, erede dei grandi movimenti del mercato nero ai tempi dei traffici illeciti di Tombolo, alla fine degli anni ’40.

Il mercatino degli americani
Parliamo del Mercatino degli americani, che era centrale a Livorno e aveva tutta roba di importazione. Oggetti spesso usati, sempre a prezzi convenienti, ma con la particolarità di essere introvabili altrove.

Il mercatino americano (Claudio Caprara/Il Post)

L’eskimo, ad esempio, ha fatto la sua prima comparsa in Italia proprio lì. «Compravamo queste cose usate dall’esercito americano» ricorda Davide Bani. «Poi si trovavano le sigarette di contrabbando. Le prime radioline a transistor… Andare al mercatino americano era come entrare nella casba di Marrakesh, concentrato nel centro di Livorno».

Piero Salvini, per gli amici “Capello”, sembra un anziano surfista californiano. Oggi è il responsabile del Mercatino degli americani che da quattordici anni è stato trasferito ai bordi del porto di Livorno. «Ho cominciato a lavorare al mercatino come commesso nel 1976, quando ho smesso di andare a scuola. Poi mio babbo l’anno dopo mi comprò il banco che gli costò 15 milioni di lire, un prezzo enorme, a quell’epoca un appartamento ne costava 25. Era il momento clou del mercatino: c’erano più di 80 banchi, era sempre pieno, la gente veniva da tutt’Italia».

Salvini ha passato dodici ore al giorno tutti i giorni accanto alla sua bancarella. «Io la mia vita l’ho passata al mercatino. Ho avuto molte soddisfazioni, ma certo anch’io comincio ad essere stanco».

Capello sostiene che ancora oggi ci sono ancora dei prodotti di qualità che si trovano solo qui e che c’è ancora richiesta. Con molto orgoglio tiene nel cellulare il messaggio di Massimiliano Allegri che gli chiede dei capi di abbigliamento. Capello riconosce che ormai il declino di questa “istituzione locale” è forte.

«Gente ne gira parecchia, ma molti hanno chiuso per raggiunti limiti d’età. Ormai siamo rimasti una decina di ambulanti e la situazione purtroppo è triste».

Per maggiori informazioni sull’Associazione Happy Wheels e il progetto Surf4all si può scrivere a: happywheelsasd@gmail.com

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