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  • Martedì 27 luglio 2021

Lo storico processo al cardinale Angelo Becciu

Per la prima volta un cardinale sarà giudicato da laici, nel procedimento sul più grosso scandalo finanziario recente del Vaticano

Angelo Becciu durante una conferenza stampa il 25 settembre 2020. (AP Photo/Gregorio Borgia)
Angelo Becciu durante una conferenza stampa il 25 settembre 2020. (AP Photo/Gregorio Borgia)

È iniziato martedì, in Vaticano, un processo che non ha precedenti: davanti ai giudici del Tribunale di Prima Istanza della Città del Vaticano è comparso, per essere giudicato, il cardinale Angelo Becciu, ex Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi ed ex Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. Mai prima d’ora, in epoca moderna, un cardinale era comparso in un processo se non davanti a suoi pari, e cioè ad altri cardinali.

Becciu è accusato di peculato, abuso d’ufficio e subornazione, cioè l’offerta di denaro a un testimone per manipolarne la deposizione. Al centro del processo ci sono le indagini sull’acquisto di un palazzo, ex proprietà dei grandi magazzini Harrods, in Sloane Avenue, a Londra, pagato molto di più del suo effettivo valore. Sono coinvolti altri investimenti sospetti, che secondo l’accusa sarebbero stati effettuati o coperti da Becciu utilizzando soldi provenienti dall’Obolo di San Pietro, e cioè il fondo fatto di piccole e grandi donazioni che i fedeli affidano al Papa (ma in realtà alla Segreteria di Stato vaticana) perché venga redistribuito in opere di carità.

Con Becciu sono a processo altre nove persone, personale ecclesiastico e laico della Segreteria di Stato e figure dirigenziali della Autorità di Informazione finanziaria (l’autorità antiriciclaggio vaticana), oltre a personaggi esterni, del mondo della finanza internazionale.

Era stato Papa Francesco il 30 aprile, con un Motu Proprio (una decisione presa di propria iniziativa), a stabilire che anche cardinali e vescovi possano essere processati dal tribunale ordinario, composto da giudici laici, sempre però dopo l’assenso del Papa stesso. Prima venivano giudicati solo da una giuria composta da altri cardinali. L’assenso del Pontefice al processo per Becciu, sul maggiore scandalo finanziario che ha coinvolto il Vaticano negli ultimi anni, era arrivato a metà giugno. La sala stampa vaticana aveva comunicato così la decisione di Papa Francesco:

«Le attività istruttorie, svolte anche con commissioni rogatoriali in numerosi altri paesi stranieri (Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo Slovenia, Svizzera), hanno consentito di portare alla luce una vasta rete di relazioni con operatori dei mercati finanziari che hanno generato consistenti perdite per le finanze vaticane, avendo attinto anche alle risorse, destinate alle opere di carità personale del Santo Padre.
L’iniziativa giudiziaria è direttamente collegabile alle indicazioni e alle riforme di Sua Santità Papa Francesco, nell’opera di trasparenza e risanamento delle finanze vaticane; opera che, secondo l’ipotesi accusatoria, è stata contrastata da attività speculative illecite e pregiudizievoli sul piano reputazionale nei termini indicati nella richiesta di citazione a giudizio».

Lo scorso 24 settembre Angelo Becciu, influente cardinale, entrò nell’ufficio del Pontefice alle 17.40 (fu lui stesso ad annotare gli orari e a renderli noti ai giornalisti durante una conferenza stampa). Ci andò pensando di essere stato convocato per una normale udienza, convinto di parlare di questioni legate alla Congregazione delle Cause dei Santi: si trovò invece al centro di un enorme scandalo. Alle 18.02 (orario sempre annotato da Becciu) non era più Prefetto della Congregazione dei Santi ed era diventato un cardinale senza più diritti. La punizione non aveva precedenti. Il Papa lo congedò con freddezza, ha raccontato poi Becciu. I due avevano un rapporto stretto: ogni giovedì Santo, il Papa andava a pranzo nella residenza di Becciu, tradizione continuata fino a quest’anno.

Papa Francesco e Angelo Becciu. (Stefano Speziani/ANSA)

Qualche giorno prima il Papa era stato informato di un’indagine che i magistrati vaticani stavano seguendo sulla destinazione effettiva dei fondi dell’Obolo di san Pietro, che viene raccolto in tutte le chiese il 29 giugno, giorno di San Pietro e Paolo. In realtà, grazie anche a un sito internet, si possono fare donazioni in qualsiasi periodo dell’anno. Si tratta di una somma che negli ultimi anni è costantemente diminuita fino ad arrivare a circa 45 milioni di euro.

Quei soldi vengono investiti in fondi di investimento, società per azioni, attività di vario genere: il film su Elton John Rocket Man e l’ultimo capitolo di Men in Black, tra gli altri, sono stati prodotti anche con denaro dell’Obolo. Gli uomini della finanza vaticana investono dove pensano logicamente di poter trarre maggior guadagno. I soldi, frutto di quegli investimenti speculativi, assieme a quelli dell’investimento iniziale, servono sì a opere di carità decise direttamente dal Papa. Ma soprattutto, per la maggior parte, vanno a ripianare il deficit delle finanze vaticane e a mantenere la mastodontica macchina della Chiesa universale, dagli uffici dei cardinali alle nunziature in ogni parte del mondo, fino ai vari dicasteri.

Dietro alcune operazioni di investimento la magistratura vaticana ha iniziato a intravvedere la possibilità di reati gravi come truffa e corruzione. L’operazione su cui i magistrati del Vaticano hanno posto maggiore attenzione è l’investimento nel fondo Athena Capital Global Opportunities Fund del finanziere Raffaele Mincione, avvenuto all’inizio del 2014. L’investimento fu in parte mobiliare (100 milioni) e in parte immobiliare (altri 100 milioni) e comportava tra l’altro l’acquisto del palazzo in Sloane Avenue a Londra. Ma si rilevò subito perdente.

La società finanziaria, oltre ad acquistare l’edificio, utilizzò il denaro per operazioni ad alto rischio, tra cui tentativi di scalate a istituti bancari come la Banca Carige. Fu a quel punto che la Segreteria di Stato decise di uscire dall’investimento ed entrare in possesso dell’immobile. Per farlo si affidò a un altro finanziere, Gianluigi Torzi, che però con una serie di operazioni riuscì a sottrarre al Vaticano il controllo del palazzo di Sloane Avenue.

I pubblici ministeri che formulano l’accusa nel processo a Becciu e agli altri nove imputati individuano in Enrico Crasso, banchiere vaticano, e Fabrizio Tirabassi, commercialista che aveva acceso alle casse del Papa, le figure che, ottenendo provvigioni, avevano introdotto Torzi e Mincione (entrambi imputati nel processo) negli ambienti vaticani. Per restituire la piena disponibilità del palazzo al Vaticano, secondo l’accusa, Torzi volle una sorta di buonuscita di 15 milioni di euro: è accusato infatti di estorsione.

In definitiva, solo nel bilancio 2019, presentato con oltre 20 mesi di ritardo, il palazzo di Sloane Avenue comportò perdite intorno ai 50 milioni di euro, mentre altre perdite arrivarono da altri investimenti immobiliari effettuati a Londra dalla società Sloane & Cadogan. Tutto questo sarebbe avvenuto senza che l’autorità antiriciclaggio vaticana esercitasse un vero controllo.

Stando alle ricostruzioni delle indagini, in tutta l’operazione di Sloane Avenue il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, sarebbe stato all’oscuro: mentre secondo i pubblici ministeri era ben informato Becciu, all’epoca Sostituto segretario di Stato per gli affari generali. Secondo i pubblici ministeri vaticani ci sarebbe stato lui dietro le offerte di acquisto per il palazzo di Londra. Becciu avrebbe anche tentato di fare cambiare versione a monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato fino al 2019 che, in un memoriale consegnato ai magistrati, ha raccontato i passaggi dell’intera vicenda. È lui il grande testimone, non imputato nel processo proprio grazie alla sua collaborazione.

I tre pubblici ministeri vaticani, Gian Piero Milano, Alessandro Diddi e Gianluca Perone, conducono l’accusa. Giuseppe Pignatone, ex procuratore della Repubblica di Roma, è il presidente del tribunale chiamato a giudicare Becciu e gli altri nove imputati. La Segreteria di Stato vaticana si è costituita parte civile ed è rappresentata dall’ex ministro della Giustizia del governo Monti, l’avvocata Paola Severino.

I magistrati, che dovranno accertare per quale motivo gli investimenti furono affidati a Mincione e Torzi, durante il procedimento cercheranno di appurare anche come mai dalla Segreteria di Stato tra il 2018 e il 2019 furono versati 575.000 euro nella casse della società di Cecilia Marogna, la Logsic, con sede a Lubiana, per non meglio precisate operazioni umanitarie segrete in Africa e Asia. Il sospetto è che in realtà siano finiti in attività e acquisti che nulla hanno a che vedere con operazioni umanitarie. La Marogna, sempre secondo l’accusa, sarebbe stata introdotta in Vaticano proprio da Angelo Becciu.

Infine i magistrati contestano al cardinale il finanziamento della cooperativa sociale del fratello Antonino, la Spes, con fondi della Segreteria di Stato. Secondo i pubblici ministeri quelle somme sono state «ampiamente utilizzate per finalità diverse da quelle caritatevoli cui erano destinate».

Nella richiesta di rinvio a giudizio per Becciu e gli altri imputati, i pubblici ministeri vaticani hanno scritto di essersi trovati di fronte a «un marcio sistema predatorio e lucrativo, talora reso possibile grazie a limitate, ma assai incisive, complicità e connivenze interne». Il cardinale ha invece parlato di trame oscure contro di lui. Ha detto, in una nota diffusa alla stampa:

«Sono vittima di una macchinazione ordita ai miei danni, e attendevo da tempo di conoscere le eventuali accuse nei miei confronti, per permettermi prontamente di smentirle e dimostrare al mondo la mia assoluta innocenza. In questi lunghi mesi si è inventato di tutto sulla mia persona esponendomi ad una gogna mediatica senza pari al cui gioco non mi sono prestato, soffrendo in silenzio, anche per il rispetto e la tutela della Chiesa, a cui ho dedicato la mia intera vita»