Elon Musk e Jeff Bezos litigano per la Luna

Entrambi volevano portarci di nuovo gli astronauti con le loro aziende spaziali, ma la NASA ha scelto quella di Musk e Bezos non l'ha presa bene

di Emanuele Menietti – @emenietti

Elon Musk e Jeff Bezos di solito competono ai primi posti della classifica delle persone più ricche della Terra, ma ultimamente litigano per la Luna. Il primo ha appena vinto con la sua SpaceX un bando della NASA per tornare sulla Luna a oltre 50 anni dalle missioni Apollo, battendo il secondo che ora ha fatto ricorso. Nel mezzo ci sono i piani estremamente ambiziosi degli Stati Uniti per tornare sul nostro satellite naturale e il futuro delle esplorazioni spaziali con esseri umani verso Marte.

La competizione tra Musk e Bezos per lo Spazio non è nuova, ma finora era stata relativamente pacifica e accompagnata da molto fair play, con reciproci complimenti per i successi delle loro iniziative verso l’orbita terrestre.

Musk e SpaceX
Musk, che oltre a essere CEO di SpaceX controlla diverse altre aziende a cominciare da Tesla per la produzione di automobili elettriche, è convinto che la salvezza dell’umanità passi dal diventare una specie “multiplanetaria”, e che Marte sia il candidato ideale per realizzare questo obiettivo e iniziare a colonizzare lo Spazio.

Tutti i successi raggiunti finora da SpaceX – dal trasporto di satelliti in orbita a basso costo grazie ai suoi razzi riutilizzabili alle missioni in appalto per conto della NASA – sono stati orientati a raccogliere e reinvestire enormi quantità di denaro per sviluppare “Starship”, il sistema di trasporto che secondo Musk renderà possibile la sua visione e aprirà l’era dei viaggi interplanetari verso Marte.

Bezos e Blue Origin
Bezos, dal canto suo, finora aveva mantenuto progetti meno ambiziosi, al punto da far ritenere che avesse fondato la sua azienda spaziale Blue Origin come passatempo, da coltivare per svagarsi dai propri impegni giornalieri da capo di Amazon. In effetti, in questi anni Blue Origin si è dedicata soprattutto alla sperimentazione di New Shepard, un razzo riutilizzabile meno potente di quelli di SpaceX e che dovrebbe essere impiegato per il turismo spaziale con voli suborbitali, per far sperimentare l’assenza di peso per qualche minuto a danarosi clienti prima di tornare coi piedi saldi a terra.

L’azienda ha comunque avviato da tempo la costruzione di New Glenn, un razzo molto più potente, ma ha accumulato ritardi e il primo prototipo non sarà probabilmente pronto prima del prossimo anno. Le cose potrebbero cambiare ora che Bezos ha annunciato di volersi ritirare entro la fine del 2021 da CEO di Amazon, proprio per dedicare più tempo alla sua impresa spaziale.

Elaborazione grafica di un futuro lancio di New Glenn (Blue Origin)

NASA e SpaceX
Progettare, sviluppare e mantenere razzi per i lanci spaziali è piuttosto costoso e anche per questo motivo le compagnie spaziali private cercano di ottenere appalti dalle agenzie spaziali, che dispongono di risorse pubbliche. Il governo statunitense destina ogni anno svariati miliardi di dollari per le numerose attività della NASA, che a sua volta coinvolge le aziende del settore privato per portare avanti i propri progetti.

Negli ultimi anni, SpaceX è diventata il principale partner della NASA per parte delle attività che l’agenzia spaziale ha deciso di affidare totalmente ai privati. Tra queste c’è il trasporto degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), che in seguito alla dismissione degli Space Shuttle nel 2011 era stato affidato all’Agenzia spaziale russa (Roscosmos). Seppure con qualche ritardo, dallo scorso anno la NASA è tornata a lanciare gli astronauti dal suolo statunitense grazie a SpaceX, che ha terminato lo sviluppo e i test della capsula da trasporto Crew Dragon, spinta in orbita dal suo razzo riutilizzabile Falcon 9.

L’atterraggio controllato del primo stadio di un razzo Falcon 9, al rientro sulla Terra dopo un lancio orbitale (SpaceX)

La NASA aveva affidato a Boeing il compito di sviluppare un sistema di trasporto alternativo, in modo da avere una seconda opzione per ogni evenienza. La società statunitense – famosa soprattutto per essere uno dei più grandi produttori al mondo di aerei per il trasporto di linea – ha accumulato numerosi ritardi e problemi tecnici che hanno finora impedito di mettere in servizio la sua capsula Starliner. Anche SpaceX aveva accumulato qualche ritardo, ma i risultati positivi ottenuti finora hanno portato la NASA a vedere l’azienda e Musk come interlocutori più affidabili, anche per i piani verso la Luna.

Ritorno
L’ultimo astronauta a mettere piede sul nostro satellite naturale fu Eugene Cernan con la missione Apollo 17 nel 1972. Da allora nessun essere umano è tornato sulla Luna, sia per la pericolosità delle missioni di questo tipo sia perché per diverso tempo l’interesse scientifico verso il corpo celeste a noi più vicino si era sensibilmente ridotto.

Le cose sono cambiate negli ultimi anni, con il concretizzarsi dei progetti per raggiungere Marte non solo con i robot, come facciamo con successo da diverso tempo, ma anche con gli esseri umani. Prima di impelagarsi in una missione così impegnativa è necessario sperimentare astronavi, equipaggiamenti e sistemi di atterraggio: per farlo la NASA ritiene che la Luna sia un terreno di prova ideale e con il vantaggio di essere relativamente più vicino alla Terra.

Il primo passo di un progetto così ambizioso è il programma Artemis, annunciato qualche anno fa e che prevede di tornare sulla Luna in tempi stretti. L’amministrazione di Donald Trump avrebbe voluto raggiungere l’obiettivo nel 2024, scadenza ritenuta impraticabile da molti esperti. La nuova amministrazione di Joe Biden ha finora mantenuto gli obiettivi di Artemis, ma senza fornire indicazioni precise sull’anno in cui ci sarà la missione inaugurale con il primo allunaggio di un’astronauta.

(NASA)

Per provare ad accorciare i tempi e mantenere una certa coerenza nei piani di coinvolgimento diretto del settore privato, nel 2020 la NASA aveva assegnato a tre aziende spaziali il compito di progettare un modulo di discesa (lander) da utilizzare per consentire agli astronauti di compiere l’ultimo pezzo del viaggio verso la Luna, quello dall’orbita intorno al satellite alla sua superficie. Oltre a SpaceX, erano state coinvolte la società Dynetics, che lavora spesso con l’esercito statunitense, e Blue Origin, dopo che Bezos aveva mostrato un certo interesse per le missioni lunari e per estendere le attività della propria azienda oltre il turismo spaziale.

La scelta
All’epoca si era immaginato che la NASA avrebbe mantenuto un approccio simile a quello seguito per il trasporto degli astronauti sulla ISS, selezionando quindi due aziende tra quelle candidate per lo sviluppo dei lander lunari. Con sorpresa di molti, a metà aprile l’agenzia ha invece annunciato di avere scelto la proposta di SpaceX e basta, affidandole un contratto da 2,9 miliardi di dollari per riportare gli astronauti sulla Luna.

Il contratto riguarda solamente il primo allunaggio con astronauti, ma SpaceX dovrà comunque realizzarne almeno uno di prova senza equipaggio a bordo. Blue Origin, Dynetics ed eventualmente altre aziende spaziali potranno in futuro candidarsi per le altre missioni di Artemis e non solo, ma salvo imprevisti è quasi certo che sarà SpaceX ad avere più visibilità e prestigio di tutte. Il primo astronauta di colore e la prima astronauta a mettere piede sulla Luna scenderanno da un’astronave con il logo di SpaceX bene in evidenza.

Non sono state fornite motivazioni ufficiali sul perché la NASA abbia scelto una sola proposta, invece di portarne avanti due per avere alternative e soprattutto stimolare la concorrenza tra le società coinvolte per mantenere i tempi di consegna. La spiegazione più plausibile, ripresa anche da alcune fonti interne all’ente spaziale, è che non ci fossero sufficienti risorse economiche per finanziare lo sviluppo in parallelo di due proposte. Il Congresso degli Stati Uniti ha infatti allocato circa 850 milioni di dollari per quest’anno per lo sviluppo dei lander lunari, rispetto a una richiesta della NASA che era stata di circa quattro volte tanto. La strategia scelta è stata dichiarata dai responsabili del progetto “la migliore” per l’attuale situazione.

Ricorso
Nel bando non era del resto specificato quante aziende sarebbero state selezionate, con riferimenti alla possibilità di sceglierne ”fino a due”. Quelli di Blue Origin non l’hanno comunque presa bene e lunedì 26 aprile hanno presentato un ricorso al Government Accountability Office (GAO), la sezione del Congresso che si occupa di revisioni in vari settori legati agli stanziamenti di denaro pubblico. Secondo l’azienda, la NASA non avrebbe colto i vantaggi della proposta di Blue Origin, sottovalutando al tempo stesso alcuni problemi che potrebbero emergere seguendo il progetto di SpaceX. (Anche Dynetics ha presentato un ricorso al GAO.)

Blue Origin aveva elaborato la propria proposta in collaborazione con Lockheed Martin, Northrop Grumman e Draper, tre aziende attive da tempo nel settore aerospaziale e con diversi contratti con la NASA. Nella primavera del 2019, Jeff Bezos aveva organizzato un evento a Washington per presentare il progetto, mostrando anche un modello dimostrativo del lander, chiamato Blue Moon. Il veicolo ricordava molto il modulo lunare (LEM) delle missioni Apollo. All’epoca Bezos non aveva però fornito molti dettagli su come raggiungere l’orbita lunare e gestire l’allunaggio.

Jeff Bezos alla presentazione del modello dimostrativo di Blue Moon nel 2019 (Blue Origin)

Musk aveva risposto all’annuncio con un tweet sarcastico nel quale invitava Bezos a smettere di “stuzzicare” con i suoi annunci, implicando che questi non portassero mai a qualcosa di concreto. Il 27 aprile scorso, commentando la notizia del ricorso presentato da Blue Origin, Musk ha invece pubblicato un tweet laconico ricordando che a oggi l’azienda non ha comunque un sistema per raggiungere l’orbita terrestre, e di conseguenza per spingere qualcosa verso la Luna.

Blue Origin lavora da tempo a New Glenn, un razzo progettato per competere con quelli realizzati da SpaceX, per portare tra le 13 e le 45 tonnellate di materiale in orbita, a seconda della distanza da raggiungere dalla Terra. Il progetto ha subìto diversi ritardi e il razzo non ha ancora effettuato un lancio sperimentale. Dopo avere accumulato un ritardo di quasi due anni, Blue Origin confida di riuscire a compiere un lancio dimostrativo entro la fine del 2022, ma i tempi potrebbero essere più lunghi.

Bezos non ha commentato direttamente l’esclusione e il ricorso, lasciando l’incombenza al CEO di Blue Origin, Bob Smith. Intervistato dal New York Times, Smith ha spiegato che l’azienda aveva presentato alla NASA una proposta da 6 miliardi di dollari, più del doppio rispetto a quella di SpaceX, ma di non avere potuto negoziare la cifra con ulteriori incontri come invece permesso alla società di Musk: «Non abbiamo avuto la possibilità di fare cambiamenti e revisioni ed è totalmente ingiusto».

Nella loro valutazione finale, gli esperti della NASA avevano definito “accettabili” gli aspetti tecnici sia della proposta di Space X sia di Blue Origin, ma quest’ultima aveva ricevuto un “molto buono” sulla parte gestionale a fronte di un “eccezionale” per SpaceX. Smith non ritiene che nel giudizio siano state prese in considerazione le molte variabili e gli aspetti che rimangono in sospeso del progetto lunare presentato dalla sua diretta concorrente.

Starship sulla Luna
Al di là del ricorso, ci sono in effetti numerosi dettagli ancora da chiarire sulla proposta di SpaceX e su come questa si potrà integrare nel resto del programma Artemis, già in corso e con costose decisioni ormai assunte. Per il primo allunaggio di Artemis, l’azienda propone di utilizzare la sua Starship, l’enorme astronave sperimentale alta come un palazzo di 16 piani ancora in fase di sviluppo e con alcuni prototipi lanciati in Texas, finora con risultati decisamente esplosivi.

Musk, noto per essere molto ottimista sui tempi, sostiene che Starship sarà pronta nel 2023 per effettuare i primi voli sperimentali con astronauti, e di conseguenza potrebbe essere impiegata anche per la missione lunare. Per volontà di Musk, SpaceX ha sostanzialmente abbandonato la progettazione di nuovi razzi come il Falcon 9 e si è dedicata quasi interamente a Starship e alla costruzione di Super Heavy, un enorme razzo alto 72 metri che avrà il compito di spingere in orbita l’astronave, che poi potrà proseguire il proprio viaggio verso la Luna e forse un giorno verso Marte.

In teoria, Starship e Super Heavy insieme avrebbero potenza e autonomia necessarie per effettuare una missione lunare senza il coinvolgimento di altri sistemi, ed è su questo aspetto che analisti e osservatori hanno sollevato qualche dubbio. La NASA lavora ormai da anni al proprio Space Launch System (SLS), un potente razzo con la capacità di spingere la capsula spaziale che ospita gli astronauti (che si chiama Orion) verso l’orbita lunare.

Il piano è simile a quello delle missioni Apollo di oltre 50 anni fa: prevede che, una volta intorno alla Luna, Orion si agganci a un lander nel quale si trasferiscono gli astronauti per raggiungere il suolo lunare. A differenza delle missioni Apollo, il lander viene trasportato verso la Luna separatamente dalla capsula che ospita gli astronauti.

Ogni lancio di SLS dovrebbe costare intorno a 1 miliardo di dollari, e per questo la NASA confida di poter ridurre i costi grazie a Starship. SpaceX vuole rendere riutilizzabile la sua astronave e quindi meno costosa da gestire.

La parte centrale dello Space Launch System (SLS) che avrà il compito di spingere la capsula Orion verso la Luna (NASA)

Allunaggio
Se il piano non subirà modifiche, per la prima missione di Artemis che compirà l’allunaggio (ce ne saranno prima altre preparatorie) un equipaggio di astronauti raggiungerà l’orbita lunare a bordo di Orion.

Qui la capsula attraccherà a Starship, partita separatamente dalla Terra, e gli astronauti si trasferiranno a bordo della grande astronave che compirà poi un atterraggio controllato sulla Luna. L’operazione non appare molto razionale, considerato che gli astronauti viaggeranno per giorni su un veicolo spaziale molto piccolo, per poi compiere la parte più breve del loro viaggio su un’astronave enorme. Per intendersi, sarebbe un poco come fare un lungo viaggio su un’utilitaria e arrivati a destinazione mettersi alla guida di un autobus per cercare parcheggio.

Starship sulla Luna in un’elaborazione grafica (NASA)

Spinta da Super Heavy per lasciare la Terra, Starship dovrà essere inoltre rifornita in orbita per avere sufficiente autonomia per raggiungere la Luna e fare ritorno. A oggi nessun veicolo spaziale di dimensioni così grandi ha compiuto manovre di rifornimento in orbita e ogni aspetto dell’operazione deve essere ancora testato.

SpaceX spera di farlo entro i prossimi due anni, anche se per ora Starship assomiglia più a un grande silo per la conservazione dei cereali che a un’astronave vera e propria, versatile come la descrive Musk. SpaceX ha comunque ottenuto in pochi anni risultati senza precedenti nella storia dei lanci spaziali. I suoi razzi riutilizzabili si sono rivelati potenti, affidabili e redditizi: le capacità nell’azienda non mancano.

Blue Origin si sarebbe dovuta occupare di inviare il proprio lander Blue Moon, molto più piccolo di Starship, intorno alla Luna e di renderlo poi disponibile per le attività di allunaggio. Il GAO avrà 100 giorni per pronunciarsi sul suo ricorso. Secondo gli osservatori difficilmente ci saranno modifiche alle scelte della NASA, anche in considerazione della riduzione del budget disponibile per i lander lunari.

Corsa allo Spazio
Al di là della decisione del GAO, il confronto tra Musk e Bezos proseguirà nei prossimi anni e diventerà probabilmente più serrato man mano che SpaceX e Blue Origin si avventureranno in nuove iniziative spaziali. La competizione tra le due società potrebbe ricordare ad alcuni, certo su scale diverse, la cosiddetta “corsa allo Spazio” che durante la Guerra Fredda vide competere gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

Ora la sfida sembra essersi spostata dal settore pubblico a quello privato, ma a ben vedere solo parzialmente. Il futuro di SpaceX e di Blue Origin dipende strettamente dalle scelte della NASA, che viene finanziata con soldi pubblici dagli Stati Uniti; la loro capacità di sviluppare nuovi sistemi, che potranno poi essere impiegati per scopi diversi dai programmi spaziali statunitensi, è legata ai contratti miliardari per progetti come Artemis e in prospettiva per quelli legati alla costruzione di una stazione orbitale intorno alla Luna e, ancora più avanti nel tempo, per l’esplorazione di Marte con esseri umani.

La capsula spaziale Crew Dragon, collegata alla rampa di lancio (SpaceX)

Musk lo sa molto bene. SpaceX alla fine del 2008 rischiava di finire in bancarotta a causa delle grandi difficoltà nello sviluppare i razzi Falcon. Musk aveva praticamente dato fondo a tutte le risorse di cui disponeva e rischiava di perdere sia SpaceX sia Tesla. Due giorni prima di Natale, quando la fine sembrava vicina, arrivò una notizia che gli cambiò la vita. La NASA annunciò di avere selezionato SpaceX per assegnarle un contratto da 1,6 miliardi di dollari per effettuare 12 rifornimenti della Stazione Spaziale Internazionale.

Come avrebbe raccontato in seguito, alla notizia Musk si mise a piangere incredulo, sfogando lo stress accumulato nelle settimane precedenti. Il contratto con la NASA consentì a SpaceX di sviluppare i razzi Falcon 9 e la capsula da trasporto Dragon. I primi si sarebbero rivelati fondamentali nell’economia dell’azienda per trasportare in orbita satelliti a costi più contenuti, la seconda avrebbe fatto da base per costruire Crew Dragon e ottenere dalla NASA un secondo contratto, questa volta da 2,6 miliardi di dollari, per il trasporto degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Gli accordi portarono naturalmente grandi benefici anche alla NASA, a cominciare dalla possibilità di far nuovamente partire gli equipaggi dal suolo statunitense verso l’orbita terrestre a costi più contenuti. Quel salvataggio di 13 anni fa potrebbe essere valso la Luna.