Oumuamua era un iceberg di azoto?

Secondo una nuova affascinante ipotesi si staccò da un corpo celeste simile a Plutone, poi ci fece visita nel suo vagabondare nello Spazio interstellare

Un'elaborazione grafica dell'asteroide Oumuamua (ESO, il Post)
Un'elaborazione grafica dell'asteroide Oumuamua (ESO, il Post)

Da più di tre anni numerosi astronomi sono alle prese con un enigma interstellare: capire l’origine di Oumuamua, un oggetto proveniente dall’esterno del nostro sistema solare che ci ha fatto brevemente visita nel 2017. Dopo avere fatto numerose ipotesi, scomodando anche gli alieni, ora un gruppo di ricercatori ritiene di avere trovato la spiegazione più plausibile. Oumuamua sarebbe un grande frammento di un pianeta nano simile a Plutone che si staccò in seguito alla collisione con un asteroide, finendo poi a zonzo per lo Spazio interstellare.

Le conclusioni degli astronomi Alan Jackson e Steven Desch, entrambi dell’Arizona State University (Stati Uniti), sono state pubblicate in due ricerche sulla rivista scientifica Journal of Geophysical Research: Planets, suscitando interesse intorno a un tema ancora molto dibattuto. Il loro lavoro ha basi piuttosto solide, ma non tutti sono convinti dalle conclusioni e ritengono che rimangano ancora diverse questioni aperte.

Strana visita
Oumuamua fu avvistato per la prima volta verso la fine di ottobre del 2017 grazie alle osservazioni del telescopio Pan-STARRS1, che si trova sull’isola di Maui alle Hawaii. I dati avevano fatto rilevare che lo strano oggetto spaziale si stesse allontanando rapidamente dal Sole a una velocità intorno agli 80 chilometri al secondo.

Successive osservazioni avevano consentito di stimarne la traiettoria, arrivando alla conclusione che l’oggetto provenisse dall’esterno del nostro sistema solare e che lo avesse poi attraversato velocemente prima di perdersi nuovamente nello Spazio interstellare.

L’orbita seguita dall’asteroide Oumuamua (ESO)

I primi ricercatori ad averlo osservato decisero di chiamarlo Oumuamua, parola che in hawaiano significa “messaggero”. La sua presenza era stata rilevata quando ormai l’oggetto spaziale si era allontanato dalla Terra, rendendo più difficili le successive osservazioni. Dai dati raccolti sui suoi movimenti, gli astronomi conclusero che Oumuamua rotolasse su se stesso e che avesse una forma allungata, una sorta di grande sigaro spaziale (la forma fu messa in discussione in seguito).

Cometa, asteroide, astronave aliena
Inizialmente gli astronomi ipotizzarono che si potesse trattare di una cometa, perché corpi celesti di questo tipo possono facilmente modificare la propria orbita, staccandosi dagli ammassi in orbita intorno a una stella. Il fatto che però Oumuamua non avesse una coda, formata dai gas e dalle polveri che si staccano dal nucleo ghiacciato centrale in seguito all’avvicinamento al Sole, aveva spinto altri ricercatori a ipotizzare che si trattasse di un asteroide, sempre proveniente da un sistema solare diverso dal nostro.

Nei giorni dopo le prime osservazioni, i ricercatori notarono che Oumuamua aveva iniziato ad accelerare, man mano che si allontanava dal Sole. Questa circostanza sembrava portare qualche conferma all’ipotesi della cometa, perché i gas che si formano dalla superficie conferiscono una certa spinta.

Elaborazione grafica di come sarebbe apparso il corpo celeste Oumuamua nel suo allontanamento dal sistema solare (Hubble)

Non riuscendo a spiegare completamente il fenomeno, alcuni dissero che fosse il momento di pensare fuori dai normali canoni e misero in circolazione un’ipotesi affascinante, per quanto poco probabile: Oumuamua era un’astronave aliena. Si disse che la sua strana forma, la velocità e la traiettoria seguita fossero compatibili con una tecnologia come quella delle “vele solari”, che consentirebbe di viaggiare a velocità molto più alte di quelle raggiunte finora.

Nel 2019 l’ipotesi aliena fu scartata dopo un’analisi più approfondita dei dati, che portò a definire “un’origine puramente naturale” di Oumuamua. Le ricerche proseguirono portando a una letteratura scientifica piuttosto densa al riguardo. Tra le varie ipotesi, spiccò quella di alcuni ricercatori che ipotizzarono che l’oggetto fosse una sorta di grande iceberg di idrogeno, formatosi nelle gigantesche nubi di polveri dalle quali hanno origine le stelle.

Frammento di ghiaccio
L’idrogeno congela a -270 °C, una temperatura vicina allo zero assoluto (la minima teoricamente raggiungibile), e i ricercatori non avevano una spiegazione molto affidabile su come Oumuamua si potesse essere mantenuto così freddo anche nel suo passaggio nel nostro sistema solare, relativamente caldo.

Jackson e Desch, gli autori del nuovo studio, si sono messi a studiare l’ipotesi dell’iceberg e hanno esplorato alcuni elementi alternativi all’idrogeno, il cui ghiaccio non è mai stato osservato in natura. Hanno concluso che Oumuamua potrebbe essere costituito da azoto ghiacciato, proprio come i ghiacciai che si trovano su Plutone e che abbiamo scoperto nel 2015 grazie alle osservazioni della sonda New Horizons.

L’ultima foto prima del massimo avvicinamento della sonda New Horizons al pianeta Plutone (NASA.gov)

I due astronomi spiegano che Oumuamua si era rivelato piuttosto risplendente, con caratteristiche simili a quelle della superficie di Plutone e di Tritone, una delle lune di Nettuno, corpi celesti che sappiamo essere ricoperti dall’azoto ghiacciato.

La nuova ipotesi è che, circa mezzo miliardo di anni fa, un asteroide andò a sbattere contro un oggetto simile a Plutone, facendone staccare un grande pezzo. Inizialmente il frammento era arrotondato, poi nel corso del suo vagabondare nello Spazio interstellare sarebbe diventato più affusolato, a causa dell’influenza di fenomeni come i raggi cosmici.

Oumuamua sarebbe poi arrivato nella periferia del nostro sistema solare verso la fine degli anni Novanta, quando aveva ormai perso circa metà della propria massa. Avvicinandosi sempre di più al Sole, avrebbe continuato a perdere materiale. Inoltre, trasformandosi in gas, l’azoto avrebbe fornito un’ulteriore spinta al corpo celeste facendolo allontanare velocemente. Avrebbe raggiunto nuovamente la periferia del sistema solare quando aveva ormai un decimo della massa iniziale.

Dubbi
Jackson e Desch ritengono che questa spiegazione sia migliore rispetto ad altre perché dà una risposta a buona parte delle domande formulate in questi anni su Oumuamua: la provenienza, l’accelerazione subita, la perdita di massa e la composizione, derivante da un gas piuttosto comune e che abbiamo già osservato allo stato solido.

Non tutti sono comunque completamente convinti dal nuovo studio e sostengono che diverse domande restino ancora senza risposta. Non è per esempio chiaro quanto sia comune che oggetti di questo tipo lascino i loro sistemi solari per intraprendere itinerari più creativi verso altre stelle, come il nostro Sole. L’osservazione di Oumuamua potrebbe essere stata estremamente fortuita se il fenomeno fosse raro, o il segno che in futuro potremmo rilevare il passaggio di altri corpi celesti simili se fosse più comune.

Una risposta, o per lo meno qualche indizio in più, potrebbe arrivare nel corso dei prossimi anni grazie all’entrata in servizio di nuovi e potenti telescopi. Tra le inaugurazioni più attese c’è quella dell’Osservatorio Vera Rubin in Cile, dotato di un telescopio molto potente che svolgerà campagne osservative per fotografare il cielo notturno nell’emisfero australe. Oumuamua non tornerà, ma ne sentiremo ancora parlare.