I dati della settimana sul coronavirus in Italia

L'andamento dei contagi si conferma in crescita, soprattutto in due regioni: Emilia-Romagna e Lombardia

Negli ultimi sette giorni è stato registrato un numero di contagi da coronavirus maggiore rispetto a qualsiasi settimana dall’inizio dell’anno. Dal 26 febbraio al 4 marzo sono stati trovati 130.684 nuovi casi di positività, il 26,8 per cento in più rispetto al monitoraggio di venerdì scorso. Anche nella settimana precedente c’era stata una crescita significativa, del 25,6 per cento.

I dati confermano che il numero dei contagi è tornato a crescere dopo un mese di stabilità (tra la seconda settimana di gennaio e metà febbraio). Esattamente come durante la prima ondata di un anno fa, anche ora l’epidemia sembra essere concentrata solo in alcune regioni e non in tutta Italia.

La situazione epidemiologica è complessa anche a causa dell’impatto delle varianti sulla trasmissione del contagio. Gli esperti concordano sulla maggiore contagiosità di alcune varianti, soprattutto quella inglese, e questo ha provocato un aumento dei nuovi casi in alcune aree particolari.

Secondo i risultati dell’ultima indagine rapida condotta dall’Istituto superiore di sanità (ISS) sui risultati dei tamponi molecolari fino al 18 febbraio, nelle regioni italiane il 54 per cento delle infezioni da coronavirus è dovuto alla “variante inglese”. La percentuale è in crescita rispetto al 17,8 per cento rilevato nella prima indagine rapida del 12 febbraio. Questa variante, sempre secondo uno studio dell’ISS, ha una trasmissibilità media superiore del 37 per cento rispetto ai ceppi non varianti del virus.

La contagiosità è dimostrata anche dall’andamento dei nuovi positivi nelle regioni dove sono stati trovati più casi di variante. In Lombardia, una delle regioni dove è stata registrata una crescita significativa, la variante inglese è stata trovata nel 64,3 per cento dei tamponi sequenziati. In Campania, altra regione dove i contagi sono aumentati, il 59,3 per cento dei tamponi è risultato positivo alla variante inglese.

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Il numero dei decessi continua a rimanere alto, anche se si conferma in calo. Nell’ultima settimana le morti legate al COVID-19 sono state duemila, con un ritmo di decrescita inferiore rispetto a quello registrato nell’ultimo mese.

Il numero dei decessi è uno degli indicatori più importanti per capire a che punto è l’epidemia, nonostante in questa fase sia sottoposto a molte variabili. Innanzitutto l’età media delle persone ricoverate in terapia intensiva, che si è abbassata a 60 anni: un dato che indica maggiore possibilità di sopravvivenza rispetto allo scorso anno, quando l’età media dei ricoverati in gravi condizioni era più alta.

Vanno poi valutati gli effetti della campagna vaccinale sulle persone con più di 80 anni, quelle più a rischio. Nei paesi dove la somministrazione delle dosi è in fase più avanzata, come nel Regno Unito e in Israele, si sta osservando un significativo calo dei ricoveri tra le fasce della popolazione già vaccinate.

L’area con la più alta incidenza di decessi rispetto alla popolazione è la provincia autonoma di Bolzano, con 6,2 morti ogni 100mila abitanti negli ultimi sette giorni. L’incidenza è leggermente cresciuta in Abruzzo, passato da 6 a 6,1 decessi ogni 100mila abitanti negli ultimi sette giorni, mentre è calata in Umbria dove si è passati da 8,5 a 6 decessi ogni 100mila abitanti.

La regione con l’incidenza più bassa è la Valle d’Aosta con 0,8 decessi ogni 100mila abitanti.


Per la prima volta dall’inizio dell’epidemia è stata introdotta una soglia ben precisa per decidere la chiusura delle scuole, compresi gli asili nido. Il DPCM approvato martedì prevede che la chiusura delle scuole «può essere disposta» dai presidenti delle regioni e delle province autonome in tutte le aree in cui siano stati rilevati oltre 250 casi settimanali di contagi da coronavirus ogni 100mila abitanti. Inoltre la chiusura sarà disposta nelle zone rosse.

La scelta deve essere fatta dai presidenti di regione, quindi il decreto contiene ancora un certo grado di discrezionalità, ma la soglia di 250 casi è molto precisa: non concede interpretazioni ed evita problemi come avvenuto finora.

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Al momento sono molte le province che superano la soglia di 250 casi settimanali ogni 100mila abitanti. L’incidenza più alta si registra in provincia di Brescia, con 527 nuovi casi ogni 100mila abitanti. C’è una situazione delicata anche ad Ancona, dove nell’ultima settimana sono stati trovati 515 casi ogni 100mila abitanti, a Bologna, con 512 casi ogni 100mila abitanti, e a Forlì-Cesena, con 467 casi ogni 100mila abitanti.

Il ritmo di crescita dei contagi piuttosto elevato ha convinto molte regioni a istituire nuove misure restrittive a livello locale, provinciale o comunale. Da quando a metà gennaio sono state reintrodotte le zone rosse locali, molte regioni hanno scelto di provare ad arginare i contagi con provvedimenti specifici per ogni singola area. Per questo motivo è difficile tracciare un quadro complessivo delle misure restrittive in vigore in tutta Italia.

La scorsa settimana, la Regione Lombardia aveva disposto una nuova zona arancione in tutta la provincia di Brescia, dove è stata registrata l’incidenza più alta, in otto comuni della provincia di Bergamo e in uno della provincia di Cremona.

Da venerdì 5 marzo e fino al 14 marzo, a causa del peggioramento della situazione epidemiologica, è stata introdotta una zona arancione “rafforzata” in tutta la regione: significa che oltre alle misure della zona arancione chiudono tutte le scuole a eccezione degli asili nido, che nelle pubbliche amministrazioni – dove possibile – è obbligatorio lo smart working, che non si può andare nelle seconde case e che sui mezzi pubblici sono obbligatorie le mascherine chirurgiche.

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In Emilia-Romagna, un’altra regione dove è stato registrato un aumento dell’incidenza del 41 per cento rispetto all’ultimo monitoraggio, dal 4 marzo sono stati inseriti in zona rossa tutti i comuni della Città metropolitana di Bologna e della provincia di Modena, mentre quelli della provincia di Reggio Emilia sono in arancione “scuro”. «Se la crescita dei contagi avvenuta negli ultimi quindici giorni non trova una accelerazione nella risposta, rischiamo di esserne travolti», ha detto il presidente Stefano Bonaccini.

In questo grafico viene mostrato l’andamento del numero di casi settimanali nelle ultime settimane. Si osserva un deciso aumento in Lombardia, dove nell’ultima settimana sono stati registrati 27.938 nuovi positivi, e anche in Emilia Romagna con 17.240 nuovi positivi. Sono aumentati i casi settimanali anche in Campania, nel Lazio, in Toscana e in Piemonte.

Il confronto tra il numero di casi settimanali per 100mila abitanti e la variazione percentuale rispetto ai sette giorni precedenti è utile per cercare di capire l’evoluzione nel tempo della situazione epidemiologica. Come si può osservare nel grafico, l’Emilia-Romagna è la regione dove si è registrata la crescita maggiore rispetto ai sette giorni precedenti, e già in presenza di un’incidenza elevata. Significa che l’epidemia è ancora in espansione.

Anche altre regioni – Lombardia, Marche e Campania – sono nel quadrante delle aree in peggioramento. Questa settimana la Sardegna, prima regione ad essere inserita in zona bianca, ha numeri che indicano una situazione stabile.

Secondo l’ultimo aggiornamento, sono nove le regioni con un tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva superiore al 30 per cento. Il 30 per cento è la soglia di allerta fissata dal ministero della Salute ed è uno degli indicatori usati per stabilire il colore delle regioni. Superano questa soglia Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, provincia autonoma di Trento, provincia autonoma di Bolzano e Umbria.

In Lombardia il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva è rimasto sopra il 30 per cento nonostante negli ultimi sette giorni sia aumentato il numero dei posti disponibili, da 1.248 a 1.416.

La crescita in Lombardia e in Emilia-Romagna è confermata anche dai dati relativi agli ingressi settimanali in terapia intensiva. In questa infografica si può vedere l’andamento settimanale: i ricoverati aumentano anche in Veneto, mentre rimangono stabili in tutte le altre regioni.

Dalla metà di febbraio è cresciuto il tasso di positività dei tamponi molecolari. Se la percentuale dei tamponi positivi sul totale di quelli fatti si mantiene bassa significa che il sistema di tracciamento sta funzionando. Purtroppo non sembra essere così, in questa fase. Su questo indicatore però influiscono tante variabili, tra cui le diverse politiche di screening adottate dalle singole regioni.

Il numero di tamponi eseguiti negli ultimi sette giorni continua a rimanere alto, oltre la soglia di due milioni, ma inferiore rispetto a 2 milioni e 112mila tamponi eseguiti nei sette giorni precedenti. Nell’ultima settimana sono state testate 722mila persone. Il numero stabile di tamponi e un contemporaneo aumento dei contagi sono segnali della minore efficacia nel trovare i contagiati e quindi evitare la trasmissione del virus.

Al momento in Italia sono state somministrate 3,4 milioni di prime dosi del vaccino. 1,5 milioni di persone hanno ricevuto la seconda dose, completando la protezione.

Negli ultimi giorni i ritmi di vaccinazione sono aumentati rispetto alla scorsa settimana: mercoledì 3 marzo sono state superate le 170mila somministrazioni. Le aziende sanitarie stanno vaccinando le persone con più di 80 anni, inserite nella fase 2 della campagna vaccinale, il personale scolastico e le forze dell’ordine, categorie previste nella fase 3 e vaccinate con AstraZeneca.

La Valle d’Aosta si conferma prima regione per percentuale di utilizzo delle dosi a disposizione: ha somministrato il 92,1 per cento delle dosi consegnate finora. Anche la provincia autonoma di Bolzano utilizza un numero alto di dosi, l’86,8 per cento di quelle consegnate, e lo stesso avviene in Toscana, dove è stato somministrato l’84,2 per cento delle dosi a disposizione. La percentuale più bassa di utilizzo si registra in Calabria: 59,6 per cento.