• Italia
  • Domenica 31 gennaio 2021

Che fine faranno i navigator

Dall’introduzione del reddito di cittadinanza hanno aiutato centinaia di migliaia di persone a trovare lavoro, ma dal 30 aprile potrebbero essere loro a doverne cercare uno

La protesta dei navigator in Campania (ANSA/CESARE ABBATE)
La protesta dei navigator in Campania (ANSA/CESARE ABBATE)

Il prossimo 9 febbraio si terrà il primo sciopero dei navigator, assunti a luglio 2019 per aiutare i beneficiari del reddito di cittadinanza a trovare un lavoro. I navigator protestano perché il 30 aprile terminerà il contratto con ANPAL, l’agenzia nazionale delle politiche attive per il lavoro, e nonostante la scadenza piuttosto ravvicinata non ci sono ancora certezze sul loro futuro. Ieri la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha detto che «è il caso di prorogare il contratto dei navigator»: una posizione interlocutoria che non dà sicurezze ai giovani consulenti.

Se il rinnovo del contratto dipendesse solo da una valutazione tra costi e benefici, forse la decisione sarebbe più semplice. Ma i navigator e il reddito di cittadinanza sono una delle scommesse politiche del Movimento 5 Stelle, che aveva considerato la loro attivazione un obiettivo irrinunciabile del primo governo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto dalla Lega. La crisi della nuova maggioranza insieme al PD, gli attacchi di Matteo Renzi al reddito di cittadinanza, le dimissioni del presidente del Consiglio e l’incertezza politica che sta affrontando l’Italia non aiutano a capire che fine faranno i navigator.

– Leggi anche: Renzi sta riuscendo a tirarla per le lunghe

Chi sono i navigator
La parola “navigator” entrò nel dibattito pubblico alla fine del 2018, quando Luigi Di Maio ne parlò durante una puntata della trasmissione Porta a Porta. Di Maio spiegò che i navigator sarebbero stati dei “facilitatori”, assunti per lavorare nei Centri per l’impiego con il compito di aiutare i beneficiari del reddito di cittadinanza a trovare un lavoro. Dopo un’articolata selezione, ne furono assunti 2.978 e distribuiti nei Centri per l’impiego in tutta Italia sulla base della popolazione residente. Il contratto dei navigator è iniziato 18 mesi fa, precisamente il 31 luglio 2019 quando venne organizzata una giornata “motivazionale” nella sala Santa Cecilia del Parco della Musica di Roma.

– Leggi anche: La grande convention dei “navigator”

Secondo i dati diffusi da ANPAL, i navigator hanno un’età media di 35 anni, il 54 per cento sono donne, circa il 10 per cento ha anche un’attività da lavoratore autonomo, e sono tutti laureati con un voto medio di 107. Il loro contratto prevede una retribuzione di 27mila euro lordi all’anno, circa 1.400 euro al mese, più trecento euro di rimborso spese. Hanno in dotazione un iPad e un personal computer. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, 308 navigator hanno cambiato lavoro, quindi al momento sono 2.670 i consulenti operativi nei Centri per l’impiego. L’investimento totale dello stato è di circa 180 milioni di euro.

Persone in attesa in un centro per l’impiego a Milano (LaPresse – Vince Paolo Gerace)

Numeri e risultati
Già ad aprile 2020, a un anno dall’introduzione del reddito di cittadinanza, era chiaro che la misura non riusciva a conciliare i due obiettivi per cui era stata pensata: il contrasto alla povertà e il sostegno alle politiche attive del lavoro. Un problema di cui si sono resi conto anche i principali sostenitori. A fine settembre Conte ha parlato di un possibile “tagliando” al reddito di cittadinanza, cioè a eventuali modifiche. Anche Luigi Di Maio, in un lungo intervento sul Foglio, ha spiegato che sarebbe stato opportuno «ripensare i meccanismi separando nettamente gli strumenti di lotta alla povertà dai sostegni al reddito in mancanza di occupazione».

– Leggi anche: Cosa non ha funzionato con il reddito di cittadinanza

A inizio novembre Domenico Parisi, presidente di ANPAL, ha diffuso alcuni dati significativi durante un’audizione alla commissione Lavoro della Camera. Parisi ha detto che al 31 ottobre 352mila persone hanno avuto almeno un rapporto di lavoro «successivamente alla domanda per ottenere il reddito di cittadinanza». Le persone tenute alla sottoscrizione del “Patto per il lavoro”, cioè le persone che possono lavorare e non sono in condizioni tali da chiedere l’aiuto dei servizi sociali, sono 1 milione e 369mila. Quindi solo il 25,7% è riuscito a firmare almeno un contratto.

Analizzando dati ancor più di dettaglio emerge che solo 192mila hanno un contratto attivo. Tra le 352mila persone che hanno firmato almeno un contratto, il 15,4% ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato, il 4,1% ha ottenuto di apprendistato, e il 65% un contratto a termine. Gli altri beneficiari hanno avuto collaborazioni o contratti intermittenti. Prendendo in esame la categoria professionale, sono circa 55mila i beneficiari che hanno avuto un contratto di lavoro con la qualifica di “Professioni non qualificate nel commercio e nei servizi” (il 15,6% del totale). Più di 48mila, invece, hanno svolto un lavoro nelle attività ricettive e della ristorazione.

In questa mappa, la distribuzione provinciale della percentuale di beneficiari del reddito di cittadinanza con un contratto di lavoro attivo al 31 ottobre 2020.

Le tante difficoltà
Il più grande limite delle politiche attive legate al reddito di cittadinanza è l’intricato rapporto tra regioni, comuni, Centri per l’impiego e ANPAL: ognuno ha un ruolo nella gestione dei beneficiari, ma spesso questi enti si parlano con grande difficoltà. Nonostante il coordinamento dei Centri per l’impiego sia un compito delle Regioni e delle Province, i navigator sono stati assunti da ANPAL, che è controllata dal ministero del Lavoro. Fin dall’inizio, i direttori dei Centri per l’impiego non hanno potuto coordinare direttamente i navigator senza prima passare dagli uffici regionali di ANPAL, con uno spreco di tempo ed energie.

Durante le settimane di formazione dei navigator, il presidente di ANPAL Domenico Parisi parlò di un software che avrebbe aiutato a incrociare la domanda con l’offerta di lavoro. Un programma chiamato “Mississippi Works”, inventato da Parisi e utilizzato dallo stato del Mississippi. Della versione italiana di questo software però non c’è mai stata traccia. «Se ci sono riuscito in Mississippi creando 50mila posti di lavoro in 8 anni, credo che si possa fare anche in Italia», disse Parisi. Al momento i navigator utilizzano le stesse banche dati che vengono consultate dai lavoratori dei Centri per l’impiego, perché non esiste una banca dati nazionale.

Le parole dei navigator
Antonio Lenzi è fondatore di AN.NA, un’associazione nazionale nata come punto di riferimento per i navigator, ma senza prerogative sindacali. Lenzi sostiene che non sia corretto giudicare il lavoro dei navigator solo sulla base del numero di beneficiari del reddito di cittadinanza che hanno firmato un contratto. «Prima di tutto perché dopo cinque mesi dall’inizio è arrivata la pandemia. E poi perché bisogna conoscere il contesto in cui operiamo», ha detto a La Stampa. «Il nostro utente medio è un ultra quarantenne con bassa scolarizzazione, professionalità vicina allo zero e ridottissima occupabilità: è chiaro che serve tempo. Ci sono centinaia di casi di persone che abbiamo convinto a prendere almeno la licenza media: non è forse un successo? E spesso ci troviamo ad avere a che fare con casi che possono solo essere destinati ai servizi sociali».

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro Luigi Di Maio durante la presentazione della card del reddito di cittadinanza (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Nicola Pisciavino, 34 anni, è navigator a Treviglio, in provincia di Bergamo. Al Fatto Quotidiano ha raccontato di aver aiutato 300 beneficiari del reddito di cittadinanza, più dei 150 previsti da contratto. «Nonostante il Covid e i tanti ostacoli burocratici e informatici, il nostro lavoro è apprezzato e i risultati ci sono», ha detto. «Quando si parla di beneficiari del reddito di cittadinanza da prendere in carico, non parliamo di semplici disoccupati, ma di persone a bassa o bassissima istruzione, che non hanno la patente e non hanno mai lavorato o sono lontane dal mercato del lavoro da molti anni».

Cosa succede adesso
Lo scorso dicembre alla Camera e al Senato erano stati presentati due emendamenti alla legge di Bilancio – firmati da Claudio Cominardi e da Gianmauro Dell’Olio del Movimento 5 Stelle – per prolungare il contratto dei navigator fino al 31 dicembre 2022. Dopo una trattativa interna alla maggioranza, gli emendamenti vincolanti sono stati trasformati in ordini del giorno, quindi in atti che raccomandano e non impongono al governo di prolungare i contratti.

Per evitare che i navigator vengano lasciati a casa dall’1 maggio (festa dei lavoratori, tra l’altro), ci sono due ipotesi. La prima è che il contratto venga prolungato fino alla fine del 2021, come accennato dalla ministra del Lavoro Catalfo. La seconda ipotesi invece prevede che almeno una parte dei navigator possa partecipare ai bandi promossi dalle Regioni per aumentare il personale dei Centri per l’impiego. La procedura di selezione, però, è ancora ferma a causa dell’emergenza coronavirus.

Reddito di cittadinanza, il concorso per Navigator alla Fiera di Roma (ufficio stampa ANPAL)

Secondo la NIdiL Cgil, la categoria sindacale che rappresenta e tutela i lavoratori atipici, i soldi per il rinnovo ci sono. «Le risorse per il reddito di cittadinanza sono nella manovra e si può pescare da lì per dare continuità al lavoro dei navigator», ha detto la segretaria nazionale Silvia Simoncini. «Non basta mettere delle toppe, serve una visione sulle politiche attive del lavoro per mettere a frutto l’investimento fatto sui navigator e per rilanciare il tema dell’occupabilità che questo Paese deve porsi come una priorità».

Un’altra data importante è il 31 marzo, quando scadrà il blocco dei licenziamenti introdotto dal governo lo scorso anno. È ancora presto per capire quali saranno gli effetti, ma diversi osservatori prevedono che ci saranno migliaia di licenziamenti e di conseguenza un afflusso maggiore nei Centri per l’impiego. Insomma, nei prossimi mesi potrebbe esserci ancora bisogno dei navigator, e non solo per i possibili licenziamenti, ma anche perché il contrasto alla disoccupazione è un obiettivo da 3 miliardi di euro previsto nel Recovery Fund. Entrambi questi capitoli – blocco dei licenziamenti e Recovery Fund – sono legati all’evoluzione della situazione politica. Fino a quando non ci sarà un nuovo governo è molto difficile capire cosa succederà.